8 bugie che hai imparato nel corso di laurea in fisioterapia

Scopri 8 bugie che potresti aver imparato durante il corso di laurea in fisioterapia

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Conseguire la laurea in Fisioterapia non è una cosa semplice. Passiamo tre anni all’interno di una classe competitiva in cui impariamo una montagna di cose. Probabilmente anche tu avrai speso molte notti in biblioteca a studiare ed integrare le informazioni apprese, e molte di loro rimarranno impresse nella tua memoria per lungo tempo.

Dopo la laurea e con l’inizio dell’attività professionale ti accorgi che le cose cambiano: dopo le prime entusiasmanti immersioni nella letteratura sulla fisioterapia, ti rendi conto che le cose sono molto più grigie di quanto sembrino a scuola. Le informazioni che apprendiamo sono soggette a molti dubbi e critiche.

Ci sono spesso una varietà di opinioni (sia ben supportate che non) su un determinato argomento in fisioterapia. Ciò che mi sorprende è che molte delle cose che abbiamo imparato all’università non erano esattamente così… accurate.

La ricerca spesso ci racconta storie diverse e la verità nella riabilitazione muscolo-scheletrica risulta spesso difficile da trovare.

Qui ci sono 8 bugie che ho imparato durante il corso di laurea in fisioterapia.


1. L’articolazione sacro-iliaca può “uscire”, essere valutata e quindi essere corretta con tecniche di energia muscolare e manipolazioni.

In alcune delle nostre lezioni, abbiamo appreso che il dolore alle articolazioni sacro-iliache potrebbe essere correlato con un disallineamento delle ossa pelviche. Ci è stato detto che i fisioterapisti possono valutare questi disallineamenti e sono in grado di correggerli con alcune tecniche specifiche per ciascuna “disfunzione” trovata. È stato gratificante sapere che potevamo imparare a trovare rotazioni sacrali ed ipomobilità e successivamente “sistemare” i nostri pazienti in pochi minuti. Seppur ci sia una qualche plausibilità biologica e biomeccanica nella teoria, ci sono alcuni aspetti problematici che devono essere valutati.

Innanzitutto, è discutibile quanto le articolazioni sacro-iliache si muovano.

Uno studio che esplora il movimento dell’articolazione sacroiliaca con la modellazione 3D è giunto alla conclusione che l’articolazione non si muove di molto. La quantità di movimento era di qualche grado per ciascun piano di movimento e risultava quindi troppo piccola rendendo difficile qualsiasi palpazione seria. Gli autori suggeriscono che “il movimento della SIJ è limitato a piccole quantità di rotazione e di traslazione che ci suggeriscono che i metodi clinici che utilizzano la palpazione per diagnosticare una disfunzione della sacro-iliaca possono avere una limitata utilità clinica” (Goode, 2008).

Nel complesso, l’articolazione sacro-iliaca si muove di circa due gradi su tutti i piani … una quantità che va sicuramente oltre a quella che un essere umano è in grado di sentire con le proprie mani (Vleeming, 2012).

Inoltre, i test manuali che utilizziamo per rilevare questi movimenti sono in gran parte inaffidabili. Abbiamo imparato a palpare i punti di riferimento ossei, così come alcuni test speciali.

Questi test hanno dimostrato di avere scarsa sensibilità, affidabilità tra valutatori o affidabilità intra-valutatore e sono quindi di dubbio valore clinico (Sutton, 2013; Levangie, 1999; Riddle, 2002). Alcuni di questi studi hanno persino cercato di valutare l’esperienza del terapeuta, ma non hanno riportato alcuna differenza significativa.

O’Sullivan e Beales riassumono bene:

“… il rispetto dei paradigmi [Dolore al cingolo pelvico] basato sulla disfunzione del movimento intra-pelvico, sui difetti posizionali e sull’instabilità pelvica non è basato sull’evidenza. I test non hanno validità e scarsa affidabilità, ed i terapeuti riferiscono spesso di perdere la fiducia nelle loro abilità di terapia manuale a causa di un’auto-percepita incapacità di ‘sentire movimenti intra-pelvici’ come gli esperti che li insegnano “(2013).

Ci hanno anche insegnato tecniche manuali complicate per correggere queste disfunzioni, e abbiamo trascorso molte notti a studiare per le esercitazioni e i potenziali scenari clinici che avremmo incontrato su di loro. Mettendo da parte dubbi sul movimento sacro-iliaco e sulla nostra capacità di individuarli, c’è qualche ragione per credere che queste tecniche correggano effettivamente le disfunzioni dell’articolazione sacroiliaca? Se un’articolazione sacro-iliaca può spostarsi ed “uscire” dalla sua normale posizione, cosa può impedire che lo spostamento si ripeta? Se non può muoversi e non possiamo decidere da che parte deve essere corretto, perché preoccuparsi delle tecniche di energia muscolare in primo luogo?

Quando i ricercatori hanno effettivamente valutato la posizione delle articolazioni sacro-iliache dopo la manipolazione, hanno scoperto che non si riposizionavano (Tullberg, 1998). Mentre c’è sempre più ricerca sul dolore dell’articolazione sacroiliaca da esplorare, un approccio più ragionevole può includere test di provocazione del dolore, esposizione graduale al carico, educazione alla scienza del dolore e manipolazioni; con l’obiettivo esplicito di alleviare il dolore e non di effettuare qualche riposizionamento.

Qualcosa di interesse clinico può accadere con il tradizionale approccio biomeccanico alla “disfunzione” dell’articolazione sacroiliaca, ma è improbabile che sia dovuto strettamente al disallineamento e alla correzione delle ossa pelviche.


2. Il KINESIO TAPING è una tecnica aggiuntiva che puoi aggiungere alla tua cassetta degli attrezzi.

La popolarità del Kinesio Taping è esplosa ed è abbastanza facile trovare varie marche Taping elastico in qualsiasi farmacia. Le affermazioni che circondano i benefici del Kinesio Taping sono molte (alcuni umili, altre oltraggiose) che più comunemente includono:

  • Ridurre il dolore;
  • Migliorare la forza muscolare;
  • Regolare il Tono;
  • Migliorare la circolazione;
  • Ridurre il gonfiore;
  • Migliorare le prestazioni.

Abbiamo appreso un assortimento di diverse tecniche di applicazione, dove in ciascuna delle quali varia il posizionamento, il taglio e la tensione del nastro, al fine di facilitare il raggiungimento di un determinato obiettivo. Sembrava un modo semplice, economico per migliorare le condizioni del paziente. Mentre i miei professori facevano attenzione a non esagerare con i benefici, è stato presentato come un qualcosa con molti effetti positivi.

La letteratura riguardante il kinesio taping ci narra però una storia diversa. Ci sono molti studi che suggeriscono che il Kinesio Taping può in realtà ridurre il dolore, ma non meglio di un Taping-Placebo (Gonzales-Iglesias, 2009; Simsek, 2012; Castro-Sanchez, 2012; Parreira, 2014; Kocyigit, 2015; Wageck, 2016). Inoltre, gli studi condotti per valutare gli effetti inibitori o facilitatori del Kinesio Taping hanno trovato risultati discordanti, suggerendo che il Taping non intervenga molto per inibire o facilitare la funzione muscolare (Gomez-Soriano, 2013; Anandkumar, 2014; Fernandez De Jesus, 2015; e Cai, 2016). Infine, il kinesio taping non si è dimostrato efficace per la riduzione del gonfiore della caviglia (Nunes, 2015).

Molte revisioni sistematiche e meta-analisi non sono riuscite a trovare alcun effetto significativo oltre la riduzione del dolore nel breve termine (Mostafavifar, 2012; Williams, 2012; Morris, 2013; Csapo, 2014; Montalvo, 2014; Parreira, 2014; Kalron, 2015; Lim, 2015; Nelson, 2016).

Parreira scrive:

“Quando utilizzato per una serie di patologie muscolo-scheletriche, il Kinesio Taping non ha avuto alcun beneficio rispetto a sham taping / placebo o rispetto a delle terapie attive. Il beneficio era troppo ridotto per essere clinicamente utile, o gli studi erano di bassa qualità. Pertanto, le evidenze attuali non supportano l’uso di Kinesio Taping per i disordini muscolo-scheletrici (2014)”.

La maggior parte dei trials clinici e delle revisioni suggeriscono che il kinesio taping può ridurre il dolore di piccole quantità nel breve termine, ma è improbabile che possa fare qualsiasi altra cosa.

Quando è stato comparato con un Taping Sham, altri interventi o a nessun tipo di intervento, gli effetti non sono risultati clinicamente rilevanti per nessun tipo di esito. Con uno sguardo onesto alla letteratura, è chiaro che il kinesio taping abbia un valore clinico molto basso, e le affermazioni riguardanti i suoi benefici sono esagerate. Questo mette in discussione il suo valore come strumento all’interno della nostra cassetta degli attrezzi.


3. La spalla congelata progredisce attraverso le fasi dolorosa, di congelamento e di scongelamento, con piena risoluzione.

A scuola, abbiamo imparato che la spalla congelata è una condizione caratterizzata da una limitazione del movimento attivo e passivo che generalmente progredisce attraverso alcune fasi differenti. Nella fase di “Freezing” avviene una diminuzione del range di movimento, seguita da una fase di “Frozen”, caratterizzata da una range estremamente limitato di movimento con una rigidità generale e una successiva fase di “scongelamento”, in cui il range di movimento migliora.

Dopo la progressione attraverso queste fasi, la funzionalità della spalla inizierebbe tornare alla normalità. Un recente lavoro di Wong et al mette questa progressione in discussione. Gli autori hanno valutato quattro studi di coorte e tre RCT che hanno esaminato la progressione del range di movimento e della funzionalità nel tempo per i pazienti a cui è stata diagnosticata la spalla congelata. Hanno scoperto che non c’erano evidenze a sostegno della progressione attraverso le fasi sopra citate e che la spalla congelata non è una condizione auto-limitante che alla fine si risolve da sola.

“La mancanza di una ricerca primaria oltre il più basso livello di evidenza per supportare la teoria del decorso naturale della spalla congelata, combinata in particolare con prove più evidenti che sostengono il contrario, porta a una raccomandazione: la teoria che fa riferimento al fatto che le spalle congelate progrediscono e migliorano la condizione di rigidità fino ad ottenere un recupero completo senza un trattamento supervisionato dovrebbe finire (Wong, 2016)”.


4. La terapia con ultrasuoni è utile per i pazienti con disturbi muscoloscheletrici.

Questa potrebbe essere un po’ la scelta più semplice, ma è un po’ sconfortante che questo sia qualcosa che ancora venga proposto. Nella nostra classe, abbiamo tenuto una lunga lezione su tutti gli aspetti degli ultrasuoni: teoria, meccanismi, benefici, rischi per la sicurezza, terminologia ecc.

Ho passato molte ore memorizzando le impostazioni degli ultrasuoni assicurandomi di conoscere la differenza tra 1 Mhz e 3 Mhz. Qualche settimana fa, ho avuto un paziente che elogiava i benefici degli ultrasuoni per il suo precedente intervento di protesi di ginocchio e mi chiedevo perché non li stessi usando per il suo trattamento attuale.

Prima ancora di guardare la ricerca, gli ultrasuoni hanno una discutibile plausibilità biologica, sono proposti come trattamento in grado di raggiungere una vasta gamma di obiettivi terapeutici, e vengono indicati per quasi tutte le condizioni che trattiamo. Questi fatti dovrebbero sollevare una bandiera rossa e la ricerca dietro di essa confermano la sua mancanza di utilità. Una revisione sistematica degli ultrasuoni per le condizioni muscolo-scheletriche non ha trovato nulla di eccitante:

“… in conclusione, la grande maggioranza di 13 studi randomizzati con metodi adeguati non conferma l’esistenza di differenze statisticamente significative o clinicamente importanti tra gli ultrasuoni ed ultrasuoni sham. L’entità degli effetti del trattamento riportati sembra essere bassa e probabilmente di poca rilevanza clinica (van der Windt, 1999)”.

Altre due revisioni hanno trovato conclusioni simili per disordini degli arti inferiori e per il mal di schiena cronico, rispettivamente (Shanks, 2010; Ebadi 2014). In molti di questi studi, l’ultrasuonoterapia è stata confrontata con gli ultrasuoni sham (lasciano la macchina scollegata o non la accendono proprio) e non hanno rilevato differenze negli esiti misurati.

L’efficacia di una modalità è davvero compromessa quando gli studi dimostrano che non è necessario accenderla perché funzioni.

Mentre la marea sta girando, come visto con l’APTA che raccomanda formalmente di non utilizzare agenti passivi come gli ultrasuoni per il trattamento a lungo termine, l’ultrasuono terapia persiste ancora. L’ultrasuono rappresenta l’esempio per eccellenza della discordanza tra la ricerca scientifica e la pratica clinica e, come neo-laureati, dovremmo rimanere all’avanguardia delle migliori evidenze disponibili.


5. Le tue capacità di palpazione miglioreranno nel tempo.

Ricordo di aver appreso dell’importanza del multifido durante i trattamenti di stabilità vertebrale, e ci hanno insegnato come palparlo durante la sua attivazione. I nostri compagni di gruppo erano posizionati in quadrupedia  e chiedevamo loro  di eseguire estensioni di braccio e gamba opposte, mentre palpavano  il multifido. Non era rilevante il fatto che avremo dovuto palpare attraverso strati di pelle, muscoli e grasso.

Sicuramente mi sentivo un novizio perché non riuscivo a sentire un cavolo (Cazzo? Niente?).

Ci è stato detto che alla fine saremmo stati in grado di rilevare minuscole variazioni delle posizioni spinali, dei trigger points, nei pattern di attivazione muscolare alterati, nel movimento intervertebrale passivo e in molti altri. Per molte delle nostre valutazioni ci è stato detto che man mano che avremo fatto esperienza le nostre capacità palpatorie sarebbero migliorate fino ad un livello accettabile. La letteratura ci suggerisce qualcosa di leggermente diverso.

Mentre l’esperienza può aiutare a migliorare le capacità cliniche, la palpazione semplicemente non è così affidabile per molte delle cose che facciamo come fisioterapisti. In una revisione sistematica della palpazione delle SIPS, gli autori scrivono “anche se è stato confermato che le procedure palpatorie possono rilevare dei disallineamenti sottili, fissazioni e variazioni nei tessuti molli in pazienti con disturbi neuro muscoloscheletrici, e che le abilità palpatorie richiedono molto tempo per essere acquisite, ci sono poche prove in questo momento a sostegno di queste affermazioni riguardo alla palpazione delle SIPS (Cooperstein, 2016)”.

In un’altra revisione sistematica riguardante test di palpazione a livello spinale, gli autori hanno dichiarato che gli esaminatori più esperti non sono andati meglio di quelli meno esperti.

Il livello di esperienza clinica degli esaminatori non ha migliorato l’affidabilità delle procedure; cioè, i clinici esperti non sono risultati più bravi degli studenti in termini di affidabilità del test palpatorio. Contrariamente alla credenza comune, il consenso degli esaminatori sulla procedura utilizzata, l’addestramento appena prima dello studio o l’utilizzo di soggetti sintomatici, non ha migliorato l’affidabilità dei test diagnostici che riguradano la palpazione spinale, confermando le conclusioni fatte in precedenza da altri ricercatori. “(Seffinger, 2004)

Inoltre, due revisioni hanno concluso che la palpazione manuale dei trigger point è in gran parte inaffidabile (Myburgh, 2008; Rathbone, 2017). Abbiamo buone ragioni per pensare che le cose che ci hanno insegnato a palpare non sono abbastanza affidabili per essere utili e dovremmo cercare di fare diagnosi in un’altra maniera.

Prima che i fisioterapisti più anziani prendano questa dichiarazione in modo sbagliato, lasciatemi suggerire che sì l’esperienza conta e senza dubbio può aiutarti a metterti in una posizione di vantaggio, ma io e molti altri studenti avevamo la percezione che mentre accumulavamo esperienza nella vita reale, saremmo diventati dei detective del corpo con incredibili capacità di palpazione.

La letteratura ci suggerisce che per molti dei test clinici che si basano sulla palpazione, non abbiamo le mani magiche, indipendentemente dal livello di esperienza.


6. Gli effetti della terapia manuale sono biomeccanici e specifici.

Ci è stato insegnato che la terapia manuale può essere mirata in modo specifico ai tessuti trattati; puoi manipolare la giunzione cervico-toracica, trovare quel trigger point ed eliminarlo, o mobilizzare una costa ruotata e riportarla in posizione.

Mentre non c’è dubbio che molti fisioterapisti abbiano successo con queste tecniche, il modo esatto per cui funzionano non è ancora del tutto chiaro. Ancora più importante, dalla ricerca risulta che una parte dell’effetto della terapia manuale è non-specifico.

Per prima cosa, tutti gli interventi terapeutici, inclusa la terapia manuale, sono soggetti a fattori contestuali e fattori psicobiologici che possono influenzare i risultati (Testa, 2016). Questi includono, le convinzioni e i comportamenti del terapeuta, le aspettative del paziente, le preferenze, le precedenti esperienze, la relazione terapeutica, la comunicazione verbale e non verbale e il layout, la pulizia e l’estetica del setting clinico (Testa, 2016). Una certa percentuale degli effetti dei trattamenti manuali è dovuta a questi fattori, e la percentuale (quella esatta sarebbe difficile da quantificare) risulta più alta di quanto pensassimo inizialmente.

Secondo, abbiamo buone evidenze che suggeriscono che i nostri trattamenti manuali non modificano la struttura biologica o alterano la biomeccanica in alcun modo significativo.

Per quanto riguarda gli effetti del trattamento della terapia manuale. Bialosky et.al. scrive:

“Non sono stati identificati cambiamenti strutturali duraturi, i fisioterapisti non sono in grado di identificare in modo attendibile le aree che richiedono MT, le forze associate a MT non sono specifiche per una determinata area e variano tra gli operatori, la scelta della tecnica non sembra influenzare i risultati e le risposte ai segni e sintomi si verificano in aree separate dalla regione di applicazione. L’efficacia della MT nonostante le incongruenze associate a un presunto meccanismo biomeccanico suggerisce che meccanismi aggiuntivi potrebbero essere pertinenti “(2009).

La posizione dell’articolazione sacroiliaca non cambia dopo la manipolazione (Tullberg, 1998), e si possono manipolare e mobilizzare segmenti sopra o sotto quello “disfunzionale” e ottenere risultati simili (Cleland, 2005). Fino ad oggi nessuna letteratura ha dimostrato effetti biomeccanici di lunga durata derivanti da tecniche manuali (Wellens, 2010). Per i fan del release miofasciale, la quantità di forza per deformare la fascia è ben al di là della capacità di un umano di dare o ricevere (Chaudhry, 2008).

Sebbene la letteratura scientifica e una serie di prove aneddotiche suggeriscano che la terapia manuale abbia effetti positivi e clinicamente utili, non sappiamo ancora esattamente come funzioni. Tuttavia, è chiaro che le spiegazioni eccessivamente meccaniche che suggeriscono di alterare tessuti specifici e di modificare la biomeccanica non sono più sufficienti. C’è di più dietro questa storia e sono stati proposti modelli integrativi che tengono conto di queste considerazioni.


7. I pattern capsulari descrivono i pattern di perdita di movimento nelle articolazioni rigide.

Questo mi ha persino sorpreso. I pattern capsulari erano il tormento della mia esistenza a scuola. Ed ecco qua, giovane studente di fisioterapia, per favore memorizza i modelli di perdita di movimento (apparentemente) arbitrari per ogni articolazione del corpo.

I pattern capsulari di perdita del movimento sono stati originariamente descritti dal chirurgo ortopedico James Cyriax, in un nobile tentativo di classificare diverse lesioni e condizioni. Il pensiero era che se qualcuno aveva un problema in corso con la capsula articolare, ci sarebbero stato specifici modelli di limitazione del movimento ad indicarlo.

Il problema è che c’è poca ricerca per sostenere queste affermazioni.

Un’indagine sulla validità della regola di Cyriax per l’artrosi dell’anca e del ginocchio, ha rilevato che i modelli tipici di perdita di movimento per questi pazienti non seguono le regole in modo coerente (Dekker, 1998). Uno studio simile è stato eseguito per studiare la coerenza dei pattern di perdita del movimento per i pazienti con diagnosi di capsulite adesiva e ha scoperto che mentre la rotazione esterna era tipicamente più limitata, le limitazioni nell’abduzione e nella rotazione interna non erano significativamente differenti (Mitsch, 2004). Nel tentativo di determinare una CPR per la diagnosi dell’artrosi dell’anca, i ricercatori hanno scoperto che il modello tradizionale descritto da Cyriax non ha aiutato nella diagnosi (Sutlive, 2008). La ricerca di riferimenti alla fine ti porta al testo di Cyriax e non a ricerche approfondite.

Quante volte un test deve essere giusto perché sia ​​utile? Indubbiamente vedrai pazienti che, per caso o no, avranno una perdita di movimento in un’articolazione che corrisponde alle regole come predetto da Cyriax. Ciò significa che il paziente ha davvero un problema capsulare? Non penso che ci siano abbastanza evidenze per dirlo con certezza a questo punto.

In definitiva, la ricerca finora mi lascia nella posizione di dubitare della validità e dell’utilità dei pattern capsulari, e di essere un po’ turbato per tutto il tempo che ho passato a memorizzarli.


8. Il test di insufficienza dell’arteria vertebro-basilare può esaminare quelli a rischio prima della terapia manuale cervicale.

Prima di eseguire manipolazioni sul rachide cervicale, ci è stato insegnato che dovevamo eliminare qualsiasi potenziale rischio di problemi all’arteria vertebrale; alcuni degli interventi che facciamo collocano il collo in varie posizioni, e dato che le arterie vertebrali portano il sangue al cervello, dobbiamo assicurarci che ci sia un sufficiente flusso di sangue durante il trattamento. Anche in pratica, ci è stato richiesto di eseguire il VBI e valutare i nostri pazienti per capogiri e altri potenziali sintomi.

Abbiamo alcune ragioni per dubitare dell’utilità di questo test.

Idealmente, un test di questa natura sarebbe altamente sensibile; etichetterebbe accuratamente le persone con VBI come positive. In questo modo, se otteniamo un risultato negativo nel test, possiamo assumere con sicurezza che il paziente non ha insufficienza vertebro-basilare, e possiamo continuare con i nostri trattamenti manuali.

Una revisione sistematica della letteratura per quanto riguarda la sensibilità e la specificità del test VBI ha rivelato che non c’erano abbastanza studi per trarre conclusioni definitive. Ma, a parte i difetti metodologici, i valori di sensibilità che hanno trovato vanno da 0-57%, che sono troppo bassi per essere utili (Hutting, 2013). Per essere più indulgenti, per quanto possiamo dire scientificamente, il tradizionale test VBI eseguito dai fisioterapisti è di dubbia utilità.

Essere consapevoli dei segni e dei sintomi di insufficienza vertebro-basilare è fondamentale, e l’esecuzione di un’indagine accurata riguardo la storia del paziente può aiutare a mitigare il rischio di eventi avversi. Con tutte le prove disponibili, tuttavia, il test VBI non ha dimostrato di aiutarci in modo significativo con questo obiettivo.

Ormai, spero tu ti senta a disagio …

Dopo aver trascorso un po’ di tempo a leggere articoli su articoli e a curare i pazienti nel mondo reale, mi sono reso conto che le cose sono molto meno certe di quanto sembravano quando ero a scuola. Nella scienza, cerchiamo di sbagliare sempre meno; cioè possiamo non arrivare alla verità in un profondo senso epistemologico, ma possiamo almeno sforzarci di sfidare sempre le nostre convinzioni, essere aperti alle evidenze e essere disposti a cambiare idea quando la scienza punta in una nuova direzione.

Un nuovo laureato di 25 anni fa avrebbe potuto scrivere una lista completamente diversa. La stessa cosa accadrà senza dubbio con i neolaureati a 25 anni da oggi. Lo scopo di questo articolo non era quello di lamentarsi dell’educazione che ho ricevuto o di esplorare i pregiudizi dei miei professori, ma di mostrare che la fisioterapia è una professione in costante evoluzione.

Dobbiamo assicurarci di evolvere verso la giusta direzione. Essere un fisioterapista significa impegnarsi ad impara a vita; l’educazione non si ferma dopo che ottieni quel “diploma” o l’e-mail “PASSATO” dal FSBPT. Spetta a noi, neolaureati, stare al passo con la ricerca, mettere in discussione i dogmi della fisioterapia e abbandonare i trattamenti antiquati.

Questo, lo dobbiamo ai nostri pazienti e a noi stessi per poter essere una generazione di fisioterapisti scettici, curiosi e riflessivi che cercano sempre di sbagliare il meno possibile.

Articolo tradotto ed adattato da 8 Lies I Learned In Physical Therapy School