Pain Neuroscience Education

La Pain Neuroscience Education è un trattamento che consiste in sessioni educative, rivolte principalmente a pazienti affetti da disordini muscolo-scheletrici…

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L’educazione neurofisiologica del dolore (Pain Neuroscience Education, PNE), conosciuta anche come Therapeutic Neuroscience Education (TNE), è un trattamento che consiste in sessioni educative, rivolte principalmente a pazienti affetti da disordini muscoloscheletrici (MSK) cronici (e non solo), durante le quali vengono spiegate nel dettaglio la neurofisiologia/neurobiologia del dolore ed i processi di elaborazione del dolore stesso attraverso il sistema nervoso[1]. L’obiettivo primario della PNE è quello di modificare le credenze del paziente attraverso una riconcettualizzazione del dolore, insistendo sul fatto che la percezione dolorosa non necessariamente viene elicitata da un danno tessutale[2].


Qual è la ragione del ricorso a un intervento di questo genere?

Originariamente il dolore era concepito attraverso un modello di tipo biomedico. Questo modello assumeva che esistesse un rapporto diretto tra il danno tissutale/stimolo nocicettivo e la sensazione dolorosa. Pertanto, il dolore si riteneva essere il risultato di un evento lesivo e i fattori psicologico-comportamentali erano considerati come una conseguenza del dolore ma non influenti sullo stesso[3]. Da un punto di vista strettamente biomedico, quindi, la medicina scientifica riduceva l’esperienza del dolore a un elaborato sistema di diffusione dei segnali nervosi, piuttosto che concepirlo come modellato e plasmato dalla persona che sta sperimentando il suo particolare contesto psico-socio-culturale[4]. Malgrado questa concezione del dolore possa avere un valore di tipo clinico nelle fasi acute degli eventi lesivo-traumatici, post-chirurgici od alcuni momenti specifici di alcune patologie, manca dell’abilità di dare una spiegazione ai complessi meccanismi associati al dolore, come i processi di sensibilizzazione centrale e periferica, i meccanismi di inibizione-facilitazione del dolore, la plasticità neuronale e le modificazioni endocrine e immunologiche, tutti implicati negli stati di dolore cronico[5].


Premessa sul dolore acuto e sul dolore cronico.

Il dolore è incredibilmente complesso[6]. Secondo la definizione dell’International Association for Study of Pain (IASP) del 1994 il dolore viene definito come “una esperienza emozionale e sensoriale spiacevole associata a un danno tissutale acuto o potenziale, o descritto in tali termini”[7]. Il dolore, da un punto di vista terminologico e temporale, si distingue in due grandi categorie: acuto e cronico. Il dolore acuto, da definizione, presenta un’insorgenza e una remissione in un arco temporale definito di massimo 12 settimane[8], mentre il dolore cronico è definito come il dolore che persiste oltre le 12 settimane[9], od oltre i 3-6 mesi[10]. Queste ultime definizioni, tuttavia, non sono completamente vere, o quantomeno sono parziali. Infatti, la cronicità del dolore non deve essere considerata esclusivamente come un’estensione temporale del dolore acuto, bensì come una risposta da maladattamento[11] nella quale si instaurano delle modificazioni dei meccanismi neurofisiologici della percezione, elaborazione e trasmissione degli stimoli dolorosi alla base di un circolo vizioso che si autoalimenta[12]. Infatti, nella letteratura scientifica, a partire dagli anni 2000, si è assistito a un radicale cambiamento nella visione del dolore, orientandosi verso una concezione secondo cui processi motivazionali, affettivi e cognitivi del paziente potessero modulare il dolore e potessero, talvolta, essere un importante fattore contribuente nella genesi del dolore stesso[3, 13-17].

L’obiettivo del presente articolo non è l’approfondimento dei fenomeni alla base della genesi e della persistenza del dolore cronico (o meglio, dolore persistente), ma è bene considerare che, alla luce delle più recenti acquisizioni scientifiche, il dolore persistente è di gran lunga più complesso della “semplice” visione esclusivamente biomedica e che, soprattutto, dolore non significa nocicezione.


Chi può beneficiare da questo intervento?

Prima di intraprendere un percorso riabilitativo con questo intervento, è fondamentale assicurarsi che la PNE sia effettivamente raccomandata per quel determinato paziente. A questo riguardo la letteratura scientifica ha suggerito quali potrebbero essere i pazienti beneficiari della PNE[18]. La PNE è raccomandata se:

  • La situazione clinica è caratterizzata e dominata da sensibilizzazione centrale (CS).
  • Sono presenti scorrette strategie per affrontare il dolore, concezioni errate rispetto al dolore, percezione di malattia inadeguate e fattori psicosociali (paura, evitamento, kinesiofobia, comportamento da malato, catastrofizzazione).

Come valutare la presenza di sensibilizzazione centrale?

Secondo una linea guida proposta Jo Nijs e colleghi in letteratura[19] i seguenti “step” potrebbero costituire per i clinici una progressione utile ai fini dell’identificazione della sensibilizzazione centrale e dei fattori psicosociali:

  • Diagnosi medica. Alcune patologie possono essere associate a sensibilizzazione centrale, ma non esserne uniformemente caratterizzate.
  • Raccolta anamnestica. Le richieste poste al paziente in sede anamnestica possono indirizzare il clinico verso il sospetto della presenza di sensibilizzazione centrale e attitudini inadeguate della persona.
  • Esame clinico. Una volta concretizzatosi il sospetto della presenza di sensibilizzazione centrale, in seguito alla positività dei primi due “step”, la progressione con l’esame clinico permette di valutare la funzione sensoriale del paziente attraverso la somministrazione di stimoli vibratori, dolorosi, tattili superficiali e termici.
  • Alcuni segni o sintomi potrebbero divenire evidenti esclusivamente nel corso del processo riabilitativo ed è fortemente raccomandato monitorare la risposta del paziente al trattamento.

Quali sono le modalità di somministrazione?

Sono stati condotti numerosi studi (RCT e non) riguardo la PNE. Complessivamente i formati di somministrazione sono tre:

  • Educazione individuale tramite colloquio orale.
  • Educazione di gruppo.
  • Educazione tramite consegna di un booklet (opuscolo) e/o materiale cartaceo.

È ragionevole supporre che, in virtù delle caratteristiche dei pazienti ai quali l’intervento è rivolto, il formato individuale (“face-to-face education”) sia quello di elezione. Non solo, secondo le linee di somministrazione di Jo Nijs e colleghi del 2011[18] il colloquio individuale costituisce la migliore modalità di intervento affinché il trattamento sia specifico e individualizzato per ogni paziente e perché si stabilisca un’alleanza terapeutica paziente-clinico che abbia un impatto positivo sugli outcome del trattamento[20]. Le linee guida prevedono:

  • Una prima sessione educativa di 30 minuti. Argomenti: fisiologia del dolore e sensibilizzazione centrale.
  • Compiti a casa (“homework”) tra la prima e la seconda sessione.
  • Seconda sessione individuale di 30 minuti. Argomenti: accertamento dell’avvenuta riconcettualizzazione del dolore e applicazione delle conoscenze nelle attività di vita quotidiana.
  • Prove di efficacia.

L’evoluzione delle scienze correlate al dolore degli ultimi 20 anni ha ritrovato un riscontro nelle prove di efficacia documentate in letteratura. Dal 2011 al 2019, infatti, sono state pubblicate sei revisioni sistematiche della letteratura [5, 21, 22, 23, 24, 25], le quali supportano l’efficacia della PNE sia nella riduzione del dolore e della disabilità percepita, sia nella sfera psicosociale del paziente (catastrofizzazione del dolore, auto-efficacia, paura del movimento, evitamento e altri fattori psicosociali). È bene che, tuttavia, questa tipologia di intervento non sia considerata come un intervento “hands-off”, escludendo il ricorso alla terapia manuale o all’esercizio terapeutico, bensì come parte integrante del trattamento fisioterapico. A questo riguardo, una revisione narrativa della letteratura[26] pubblicata sulla prestigiosa rivista “Physiotherapy theory and practice”, ha concluso che, alla luce dei risultati ottenuti dalla combinazione tra PNE e interventi come terapia manuale e/o esercizio terapeutico, sembrerebbe necessario adottare un approccio equilibrato nella gestione terapeutica dei pazienti affetti da dolore cronico di origine muscolo-scheletrica, riconcettualizzando il valore del trattamento “hands-on”.