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Quello che esiste sono i nocicettori, la nocicezione e i neuroni adibiti alla nocicezione. I nocicettori sono dei neuroni sensoriali specializzati, in grado di avvertirci di stimoli potenzialmente pericolosi; questo avviene rilevando temperature o pressioni estreme o sostanze chimiche liberate a seguito di un danno. La nocicezione, sebbene sia un potente modulatore del dolore, non è certo l’unico.

Come clinici e professionisti, è fondamentale non ricadere nella trappola di questa “infelice banalizzazione”, come definita dal Dottor Wall: dobbiamo utilizzare “certe parole per descrivere uno stimolo e altre per una sensazione percepita” (1). La nocicezione non equivale al dolore.

“etichettare I nocicettori come fibre del dolore non è stata un’ammirabile semplificazione, bensì un’infelice banalizzazione. Gli autori dei libri di testo, con la scusa della semplificazione, continueranno ad alimentare questa banalizzazione. Gli esperimenti evidenziano che l’analisi finale che conduce alla percezione del dolore non è monopolizzata dalle proprietà dei recettori periferici dei nocicettori. La risposta dei nocicettori è solo uno dei fattori che convoglia nei meccanismi analitici centrali che possono generare molte sindromi percettive, tra cui il dolore.” Wall et al. 1986  

Come chiarifica il Prof. Wall nel suo libro “Pain The Science of Suffering”:

“il danno tissutale e il dolore non sono così strettamente connessi da poter essere considerati in maniera equivalente; dobbiamo quindi prestare attenzione e utilizzare certe parole per descrivere uno stimolo e altre per una sensazione percepita”.

Utilizzo questo test per capire se un collega, un medico, un operatore sanitario, un ricercatore o un professore è informato e aggiornato sul dolore: se utilizza una tassonomia scorretta o parole quali “nervi del dolore”, “fibre del dolore” o “segnali del dolore”, con grande probabilità ha una visione del dolore dogmatica e superata.

Come professionisti dobbiamo essere consapevoli che le aspettative (2) del paziente possono influenzare il dolore percepito, quindi c’è un rischio concreto nell’utilizzare questo linguaggio scorretto, in grado di influenzare negativamente il dolore e aumentarlo. È proprio quel dolore da cui stiamo cercando di liberare il paziente e da cui lui si aspetta di liberarsi quando si rivolge a noi come professionisti.

Le linee guida attuali (3) fanno un passo avanti ulteriore e spiegano che il clinico non dovrebbe utilizzare spiegazioni patoanatomiche come causa del dolore del paziente (per esempio il mal di schiena), né utilizzare strategie che possano aumentare (direttamente o indirettamente) la minaccia percepita o la paura che si accompagna al dolore.

Articolo tradotto ed adattato in italiano da “There is nothing called a pain “nerve”, pain fibre, or pain signal” di Lars Avemarie.


Bibliografia:

  1. Wall P, McMahon S. The relationship of perceived pain to afferent nerve impulses. Trends Neurosci. 9(6), 254–255 (1986).
  2. Cormier S, Lavigne GL, Choinière M, Rainville P. Expectations predict chronic pain treatment outcomes. Pain. 2016 Feb;157(2):329-38.
  3. Delitto A, George SZ, Van Dillen LR, Whitman JM, Sowa G, Shekelle P, Denninger TR, Godges JJ. Low back pain. J Orthop Sports Phys Ther. 2012 Apr;42(4):A1-57. Epub 2012 Mar 30.

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