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L’allenamento della forza è un tema di grande attualità ormai anche nel mondo della riabilitazione, sappiamo bene quanto le prove di efficacia sostengano l’uso dell’esercizio terapeutico nella gestione delle problematiche muscoloscheletriche a lungo termine.  Nonostante ciò, però, spesso ci mancano gli strumenti per poterlo attuare in modo consapevole e sicuro.

Ne parliamo con Saad Youssef, fisioterapista e laureato in Scienze Motorie, docente al Master in “Scienze e Pratica in Fisioterapia Muscoloscheletrica” presso l’Università del Molise.


Perché inserisci l’allenamento di forza nel programma riabilitativo?

 Per analogia. Perché inserisci un trattamento di modulazione del dolore nel paziente con sindrome dolorosa? Perché inserisci un trattamento di rieducazione in un paziente con rigidità post-chirurgica? O di controllo del tronco in un paziente con deficit neurologico acuto, centrale? Come per tutto ciò che gravita nel nostro lavoro, allenare la forza risponde alla regola dell’analisi dei bisogni e valutazione dell’impairment fisico. Ci dobbiamo muovere sempre in un contesto basato sull’ICF, che spiega e semplifica il nostro operato. Se il deficit di forza produce una limitazione delle attività e una restrizione della partecipazione, allora il deficit di forza merita di essere trattato.


Allenare la forza contro il dolore persistente: quali sono i primi parametri su cui fondi l’inizio del programma riabilitativo?

Partiamo da un presupposto fondamentale: la relazione “dolore persistente” = “debolezza” non è chiara, non è lineare, non è costante. C’è una tendenza, anche grazie al successo dei social e alla grandissima accessibilità alle informazioni, a semplificare alcuni concetti, o peggio ancora alla “reductio ad unum”. Ne consegue che lo studio che afferma, ad esempio, che l’esercizio di forza sia efficace nel trattamento del paziente con ALBP, venga interpretato con l’induzione “il paziente lombalgico cronico è un paziente debole”. Non è sempre così, dobbiamo porre attenzione anche agli aspetti psico-sociali della persona che abbiamo preso in carico, e valutare quale sia l’approccio migliore possibile in termini di tempo, costi, efficacia. Nella mia pratica clinica il paziente con dolore persistente viene prima di tutto educato a cosa sia il dolore, non è infrequente che l’intera seduta di valutazione sia svolta senza un reale esame fisico. Successivamente è indispensabile valutare la capacità di carico di quel paziente in relazione al suo contesto abituale. Il capoufficio non ha né ha bisogno della stessa capacità del triatleta! Allo stesso modo, una capacità adeguata di esprimere forza sarà differente per le diverse tipologie di paziente. Direi, in estrema sintesi, che in presenza di dolore persistente l’allenamento della forza è uno strumento al servizio della presa di coscienza, da parte dei pazienti, della possibilità di un cambiamento: mettersi in gioco, superare le difficoltà, creare resistenza alla fatica. In una parola, l’allenamento alla forza entra a pieno merito sotto l’egida della educazione.


Qual è il profilo clinico del paziente “tipo” a cui proporresti un programma di esercizi con dolore?

 Ti rispondo pescando dalla mia esperienza. Quanti errori! All’inizio applicavo quasi pedissequamente il modello “pain monitoring” inizialmente proposto da Thomeè e successivamente da K. Silbernagel per le tendinopatie dell’arto inferiore, e lo applicavo concettualmente anche al paziente lombalgico cronico. E’ un modello semplice, efficace, permette al paziente di gestire il sintomo e allo stesso tempo l’esercizio. Il problema è che non tutti i pazienti hanno chiaro il costrutto “dolore accettabile”, ci sono persone più resistenti, ci sono persone più evitanti, ci sono persone più difficilmente educabili e più in generale il sintomo tende a complicare un po’ le cose. Adesso il PMM lo riservo al paziente con tendinopatia, posto che riesca ad essere efficace nella spiegazione del modello, mentre per il paziente lombalgico preferisco lavorare su adattamenti dell’esercizio in modo che risulti il meno irritante possibile. Le eccezioni esistono sempre, per fortuna, in generale è la relazione terapeutica a guidarmi nelle decisioni.


Indicativamente, considerando la variabilità inter-paziente, ogni quanto effettui una rivalutazione nel periodo in cui il programma riabilitativo ha come “focus” l’allenamento della forza?

Le prime sedute sono estremamente chiaro. Il paziente sa che per avere dei risultati importanti e soprattutto stabili le scorciatoie non esistono! A mio avviso una rivalutazione troppo frequente dei guadagni di forza non ha senso, almeno per due motivi: prima di tutto i cambiamenti sono suscettibili di variazioni importanti anche a breve termine: inutile rincorrerli. In seconda battuta, come detto all’inizio, la forza è un mezzo e non un fine. Preferisco insistere, con il paziente, sui cambiamenti funzionali e nelle ADL. Mi interessa molto di più sapere che riescono a salire le scale facendo meno fatica, rispetto al sapere che sono in grado di sollevare 40 kg invece degli iniziali 20.


Durante le tue sedute, se dovessi ipoteticamente dirci quanto ti avvali dell’allenamento della forza che cosa ci diresti?

Qui sarò necessariamente breve e sintetico: la forza è un parametro fondamentale per la condizione fisica. Non sbaglio affermando che tutti i pazienti muscoloscheletrici per i quali un deficit di forza sia rilevante per il loro disturbo affrontano un programma specifico nel percorso riabilitativo. Qualcuno prima, qualcuno dopo, qualcuno anche in modo esclusivo. All’interno della singola seduta, se lo ritengo opportuno, il tempo dedicato a questo aspetto può essere anche il tempo totale della sessione.


In che modo un fisioterapista potrebbe beneficiare da un corso incentrato sull’allenamento della forza?

Allenare la forza non è complicato. Aggiustare la teoria dell’allenamento su un paziente muscoloscheletrico, lo è un po’ di più. Credo che il fisioterapista moderno possa beneficiare di un corso su cosa sia e come si possa allenare la forza perché è l’anello mancante nella formazione di base, perché si possa uscire dall’esercizio terapeutico 3 serie da 10, perché sia effettivamente riconosciuto come uno strumento al servizio del professionista e se ne riconoscano pregi e limiti, punti di forza e criticità.


I corsi con Saad Youssef

 

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