Epitrocleite – Dolore mediale di gomito

Ecco una guida per il fisioterapista su valutazione e trattamento dell'epitrocleite, o dolore mediale di gomito.

L’epitrocleite, comunemente chiamata “gomito del golfista” è una tendinopatia del tendine flessore-pronatore comune del gomito causata da sovraccarico e/o overuse[1]. Viene anche comunemente chiamata: dolore mediale di gomito, epicondilalgia mediale o gomito del lanciatore.

L’epicondilite mediale è tipicamente caratterizzata da una serie di segni e sintomi tra cui[1,2]:

  • dolore localizzato a livello mediale del gomito con possibile irradiazione fino a all’avambraccio nella sua componente ulnare e a volte fino alle dita;
  • rigidità: generalizzata o associata a movimenti specifici (es. gesto del pugno);
  • formicolio: tipicamente a livello delle ultime due dita (occasionale).

Questa patologia non ha una prevalenza molto alta, infatti si stima che colpisca una percentuale che si aggira tra lo 0,3% e l’1,3% della popolazione generale, e tra il 3.8% al 8.2% in setting occupazionali[2,3]. È molto mento frequente rispetto all’epicondilite laterale (prevalenza compresa tra l’1,1% e il 4,0% nella popolazione generale[3]), ma sono tra loro associate nel 10-20% dei casi[2].

Per questo motivo è quindi necessario effettuare un adeguata valutazione ed esame obbiettivo atti ad individuare la problematica principale ed escludere altre patologie concomitanti così da intraprendere il miglior percorso terapeutico e risultato clinico possibile.


Tipologia di paziente

Le persone che si presentano con una epicondilite mediale hanno un range di età che può variare dai 12 agli 80 anni, nonostante la sindrome sia stata identificata come predominante tra la quarta e la sesta decade d’età[4].

Da un lato possiamo trovare soggetti sportivi che praticano attività che producono un alto carico a livello del gomito e che richiedono un’alta capacità di carico dell’articolazione, tra cui: baseball, softball, football americano, tennis, giavellotto, golf e sollevamento pesi. Dall’altro possiamo invece trovare soggetti lavoratori che durante la giornata svolgono attività che richiedono prese di forza o movimenti ripetuti a livello di avambraccio, polso e mano, o che riferiscono una lunga esposizione a strumenti vibranti.[2,3,5,6]


Patofisiologia

Attualmente la patofisiologia del danno non è stata precisamente definita. Le prime descrizioni ipotizzavano un processo infiammatorio che coinvolge la borsa omerale radiale, il periostio, la sinovia e il legamento anulare[1]. Successivi studi hanno invece rivelato che la normale architettura del collagene viene interrotta da una risposta fibroblastica e vascolare immature, processi riparativi incompleti, accompagnati da una scarsa risposta infiammatoria sia acuta che cronica[1]. Oggi è generalmente accettata la presenta di microlesioni caratterizzate da degenerazione angiofibroblastica del tendine con o senza calcificazione e con assente o incompleta risposta neurovascolare.[4]

La muscolatura interessata è quella facente parte del tendine flessore-pronatore comune, che convoglia cinque muscoli: pronatore rotondo, flessore radiale del carpo, palmare lungo, flessore ulnare del carpo e flessore superficiale delle dita. Recenti studi su cadavere però escludono l’implicazione del palmare lungo da questa patologia[2].


Diagnosi differenziale

L’epicondilite mediale di gomito entra in diagnosi differenziale con numerose patologie[2,4,7–9]:

  • neurite ulnare;
  • radicolopatia cervicale C6- C7;
  • tendinopatia;
  • instabilità o lesione del legamento collaterale ulnare;
  • epicondilite laterale;
  • neuropatia da compressione del nervo ulnare e mediano;
  • osteoartrite;
  • strappo muscolare;
  • patologie intrarticolari;
  • trauma;
  • presenza di corpi liberi (ossei/cartilaginei) articolari;
  • avulsione dell’epicondilo mediale;
  • osteofiti;
  • sinovite.

Inoltre, è stato visto come più del 84% dei pazienti occupazionali hanno disordini muscoloscheletrici concomitanti correlati al setting occupazionale da valutare ed escludere e tra questi: sindrome del tunnel carpale, epicondilite laterale, tendinite della cuffia dei rotatori.  Dall’altra faccia della medaglia, gli atleti dovrebbero essere valutati per una instabilità secondaria a trauma o danno indiretto del legamento collaterale ulnare del gomito[2].


Elementi anamnestici

Nel momento del colloquio iniziale conoscitivo con il paziente, possono essere presenti degli elementi anamnestici tipici del dolore mediale di gomito come[2–6,8,10]:

  • presenza di sintomatologia ad esordio insidioso con persistenza nonostante il riposo;
  • svolgimento di attività sportive che producono un alto carico a livello del gomito come baseball, softball, football americano, golf, tennis, weightlifting, bowling.
  • svolgimento di lavori che prevendono l’utilizzo di prese di forza ripetute o un carico maggiore di 5-20 kg e/o esposizione a forze vibranti costanti.
  • peggioramento dei sintomi durante lo svolgimento di attività di vita quotidiana che prevedono la flessione di polso (es. aprire una porta).
  • peggioramento dei sintomi durante l’attività sportiva, soprattutto se questa prevede lanci overhead. Il peggioramento in questo caso viene particolarmente riferito nella fase elastica di lancio (late coking) e accelerazione.

Atri elementi correlati che aumentano il rischio di incorrere in questa patologia sono[3]:

  • età compresa tra 40 e 60 anni;
  • diabete di tipo 2;
  • fumo di sigaretta;
  • alto BMI e circonferenza della vita soprattutto nelle donne;
  • esposizione a fattori psicosociali causa di stress e/o depressione (es. basso supporto lavorativo).

Esame obbiettivo e valutazione

Inseguito alla valutazione anamnestica è fondamentale oltre che ad una analisi dell’articolazione interessata, anche un focus sull’intera catena cinetica superiore ed in particolare sulla spalla. Spesso infortuni da overuse possono derivare da disfunzioni a livello delle varie articolazioni che la compongono, tra cui soprattutto la scapolo-omerale e scapolo-toracica.

La diagnosi di epicondilite mediale è essenzialmente clinica e le radiografie sono tipicamente negative a meno che la cronicità della condizione abbia creato modificazioni al periostio del condilo affetto.[8]

All’esame obbiettivo è importante valutare:

  • gonfiore, calore e sensibilità a livello del tendine comune flessore pronatore e sui ventri muscolari dei muscoli che lo compongono;
  • ROM passivo e dolore attraverso test passivi che includono supinazione ed estensione di polso a gomito esteso (il ROM non viene intaccato nella fase iniziali della patologia);
  • ROM attivo e dolore durante il movimento attivo;
  • forza muscolare tramite test attivi e resistiti.

Inseguito è opportuno utilizzare test specifici come il Golfer’s Elbow Test e dato che l’epicondilite mediale è spesso associata o coesistente con l’epicondilite laterale è bene utilizzare test opportuni per fare diagnosi differenziale come il Cozen’s Test, Mill’s Test e Kaplan’s Test.[2,11]

Infine, possono essere usate differenti scale di misure di outcome per una valutazione pre e post trattamento, tra cui:


Trattamento

Non esistono attualmente linee guida nella scelta del trattamento del dolore mediale di gomito. È comunque preferibile utilizzare un approccio conservativo in prima linea, mirato al miglioramento della sintomatologia e della funzionalità dell’articolazione al fine di accrescere la qualità della vita e il ritorno all’esecuzione delle attività limitate dal dolore.

Conservativo

L’approccio non chirurgico in una prima fase punta al miglioramento della sintomatologia infiammatoria: dolore, rossore, calore e gonfiore. Pertanto, è utile l’utilizzo del protocollo “P.E.A.C.E. and L.O.V.E.” ed in caso di necessità l’utilizzo di FANS.

Solo in un secondo momento, quando migliora la sintomatologia infiammatoria è importante incentrare il programma riabilitativo sull’incremento del ROM articolare senza dolore e sul recupero della forza. A tal proposito è consigliato l’utilizzo di mobilizzazione, stretching ed esercizi di rinforzo inizialmente utilizzando contrazioni isometriche da sole ed inserendo progressivamente contrazioni concentriche ed eccentriche. Uno studio di Hooglviet P. et. al del 2013[12] mostra la presenza di evidenze sul miglioramento della sintomatologia dolorifica usando stretching e rinforzo muscolare piuttosto che ultrasuono terapia e massaggio sia nel breve che nel lungo termine. Per quanto riguarda gli esercizi, in termini di forza misurata con il grip strength test non ci sono differenze statisticamente significative tra esercizi che usano contrazione concentrica ed eccentrica. Infine, ci sono evidenze contrastanti sull’utilizzo di manipolazioni spinali cervicali e toraciche da sole, che però risultano efficaci nel miglioramento della sintomatologia dolorifica, se associate ad un trattamento specifico in loco. Lo studio però presenta alcuni limiti e le evidenze sono di grado moderato o basso.

Infine, l’ultimo passo è quello di educare la persona al ritorno alle proprie attività di vita quotidiana, lavorativa e sportiva.

Altre tipologie di trattamento utilizzate possono essere:

  • onde d’urto nelle prime 6 settimane: può essere un utile intervento ma porta a risultati inferiori rispetto alle iniezioni steroidee[13];
  • Iniezioni steroidee: sembrano avere effetto nella riduzione del dolore a breve termine, ma possono portare ad una maggiore debolezza del tendine flessore-pronatore comune, causare una atrofia del tessuto adiposo sottocutaneo ed esacerbare la sintomatologia generale[14];
  • Altre tipologie di iniezioni: nel tempo sono state provate nuove tipologie di iniezioni, tra cui iniezioni di sangue autologo, di tossina botulinica, di plasma ricco di piastrine e la proloterapia[A1] . Quest’ultima e la tossina botulinica A sembrano avere risultati inferiori rispetto alle iniezioni steroidee. Invece l’iniezione di sangue autologo associata a dry-needling e l’utilizzo di sangue ricco di piastrine sembrano essere efficaci nella riduzione del dolore valutato con la scala VAS, ma le evidenze, nonostante siano incoraggianti non sono ancora certe[14].

Chirurgico

L’intervento chirurgico è generalmente un intervento di seconda linea che viene preso in considerazione dopo il fallimento del trattamento conservativo, solitamente non prima di 6 mesi. Esistono varie tipologie di intervento che dipendono dalla gravità della patologia e dall’interessamento di altre strutture circostanti. Indipendentemente dalla precisa metodologia chirurgica tutti gli interventi prevedono una incisione più o meno grande a livello dell’epicondilo mediale con esposizione dell’epicondilo e resezione del tessuto angiofibroblastico e/o necrotico[15]. Una delle ultime tecniche chirurgiche utilizzate è la tenotomia percutanea eco-guidata: è una tecnica mininvasiva in cui tramite la guida di un ecografo viene utilizzato uno strumento che produce oscillazioni ad alta frequenza e bassa ampiezza che traghettano le aree necrotiche ed angiofibroblastiche (aree ipo-ecogene all’ecografo). L’intervento sembra essere molto efficace nella rimozione di tali tessuti con un successo stimato tra il 95% e 100% all’ecografo.

Inseguito all’intervento chirurgico è comunque importante effettuare una fase di gestione post-operatoria che preveda il trattamento della cicatrice, del dolore, il miglioramento del ROM articolare e della forza, monitoraggio per evitare problematiche secondarie ed educazione alle attività di vita quotidiana.

Il management post-operatorio prevede che dopo circa 7-10 giorni dall’intervento, gli splint e in punti di sutura vengano rimossi. A questo punto è possibili iniziare con esercizi passivi ed attivi della mano, polso e gomito. Esercizi isometrici a 3-4 settimane postoperatorie, mentre a 6 settimane è possibile iniziare con esercizi più vigorosi, esercizi di forza che prevendono flessione di polso e pronazione dell’avambraccio. È poi necessario seguire un programma di rinforzo progressivo[4] ed educazione del paziente alle attività.

Uno studio del 2019 di Faqui H. et al. ha dimostrato come le Muscle Energy Technique (METs)e sono efficaci nel miglioramento di dolore, ROM e funzione in pazienti con rigidità post-operatoria a livello del gomito[16].


Prognosi

La prognosi del dolore mediale di gomito è favorevole. La terapia conservativa risulta efficace in una percentuale che varia dal 60% al 90% dei casi[14]. Infatti, molti pazienti possono tornare alle loro attività lavorative e/o sportive dopo aver completato il percorso riabilitativo ed una educazione all’esecuzione di tali attività.

In caso di fallimento del trattamento conservativo ed effettuato l’intervento chirurgico, generalmente una persona ritorna alle proprie attività dai 3 ai 6 mesi postoperatori[4].


Conclusione

Il dolore mediale di gomito o epicondilite mediale nonostante non sia tra le più comuni patologie dell’arto superiore, quando presente può indurre difficoltà o inabilità nelle attività di vita quotidiana, lavorativa e sportiva. Pertanto, è opportuno rivolgersi ad un esperto del settore in grado di valutare la condizione ed indirizzare verso il corretto percorso terapeutico atto a migliorare la sintomatologia e la qualità della vita.

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