Screening for referral in fisioterapia

Lo screening è un requisito indispensabile per il fisioterapista. Vediamo insieme i suoi step.

screening for referral
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“Il vero segno distintivo della professionalità è quello di riconoscere i limiti della propria professione” (rivisitata da Cateriche C. Goodman). Nulla di più vero. Chi di noi si affiderebbe a un professionista sanitario quando la problematica di salute presente necessità in realtà di un’altra figura professionale? Chi andrebbe dal proprio medico dopo aver saputo che, in realtà, non è laureato in medicina? Sarebbe folle.

Non di meno, oggi più che mai, in qualità di professionisti della salute siamo tenuti a rendere conto del nostro agire professionale e siamo chiamati a rispondere della nostra sicurezza, della nostra efficacia e della nostra efficienza (Legge Gelli). In questo senso, quale topic migliore della diagnosi differenziale, o meglio screening for referral, per “allinearsi” a questo scopo?

Il processo di screening for referral costituisce una serie di step la cui conoscenza risulta imprescindibile per la pratica clinica. Ricordiamo con quale domanda abbiamo aperto la nostra discussione nelle prime righe!

Ecco gli step dello screening for referral, ovvero tutti gli elementi necessari per scoprire

  1. Storia medica remota;
  2. Storia personale e familiare;
  3. Valutazione dei fattori di rischio e, aggiungiamo, conoscenza delle red flags;
  4. Presentazione clinica;
  5. Segni e sintomi associati riconducibili a patologie sistemiche;
  6. Revisione dei sistemi.

Il processo dello screening for referral in fisioterapia deve essere considerato efficace se eseguito attraverso una “doppia-modalità”. Da un alto, siamo coscienti del fatto che, conducendo una raccolta anamnestica attraverso uno schema specifico tale da “compilare” una check-list, tutto il processo risulterebbe inutile. Come logica conseguenza, anche lo screening for referral che altro non è che, se vogliamo, un parallelismo contemporaneo ad anamnesi ed esame fisico, non potrà mai essere così lineare come una successione di step standard. Dall’altro, sappiamo che ogni elemento dello screening con referral non può essere tralasciato perché di vitale importanza per l’analisi delle diverse logiche di interconnessione delle informazioni inerenti allo stato di salute generale. In sintesi, siamo di fronte a un processo dinamico, non standard e che, allo stesso tempo, non può mancare di alcuna informazione.

Screening for referral: i tasselli essenziali

1. Storia medica remota.

Rientrano in questo step tutte le informazioni inerenti allo stato di salute del paziente che fanno parte del suo “passato”. Necessariamente ed esclusivamente informazioni legate a patologie serie? Anche, ma non solo. Rientrano in questa categoria anche traumi precedenti (come potrebbero essere traumi in iper-estensione del tronco in età giovanile e gravità di una spondilolistesi o traumi di altra natura), interventi chirurgici (con conseguenze – in termini di impairment o rischio di sviluppo di problematiche secondarie all’intervento chirurgico stesso – anche a lungo termine) o altro ancora.

2. Storia personale e familiare.

Per quanto io non sia certo di poter sancire un confine netto tra la storia medica remota e quella presente, è probabile che la storia medica personale e familiare, essendo “venduta” dagli autori e dalla nostra pratica clinica come “più presente” rispetto a quella remota, sia più trasversale e riguardi, principalmente, tutto lo spettro di familiarità e fattori di rischio del paziente. Alcuni esempi calzanti potrebbero essere le patologie neoplastiche, così come quelle infiammatorie di natura reumatologica di cui conosciamo, o meglio dovremmo conoscere, quantomeno la sintomatologia generale che deve insospettire il professionista non medico che si interfaccia con il paziente in accesso diretto.

3. Valutazione dei fattori di rischio e, aggiungiamo, conoscenza delle red flags.

Anche per questo punto, nonostante non sia possibile dividere in modo netto ciascuno dei 6 punti che stiamo discutendo insieme, ritengo che il ragionamento sia ancor più complesso rispetto ai precedenti. La valutazione dei fattori di rischio prevede una conoscenza, quantomeno generale (ma sufficiente), dei fattori predisponenti, concorrenti o protettivi di alcune patologie di competenza medica. L’esempio più semplice probabilmente è quello dei fattori di rischio per le patologie cardiovascolari, come alti livelli di LDL, fumo, ipertensione, diabete, obesità addominale, eccesso di alcol e così via.

E se il paziente con quello che il professionista precedente ha inquadrato come dolore di spalla (destro o sinistro) benigno di natura neuro-muscolo-scheletrica (come un dolore di spalla correlato alla cuffia dei rotatori con eventuale dolore irradiato al braccio) fosse dovuto, in realtà, ad altro? È raro, ma è successo e l’abbiamo documentato in questo case report pubblicato su Archives of Physiotherapy.

Allo stesso tempo, i fattori di rischio per l’insorgenza di patologie serie – di cui stiamo parlando proprio per la loro “capacità” di mimare, talvolta, affezioni benigne di natura neuro-muscolo-scheletrica – dovranno obbligatoriamente “affiancarsi” alle red flags verso le quali, seppur alcune siano dei veri e propri fattori di rischio, vorrei dedicare un approfondimento specifico.

Le doverose riflessioni: il rosso red flags a volte sfuma

Esistono, a oggi, numerose definizioni di red flags e, probabilmente, il rischio è quello di fare più confusione che chiarezza in questo senso. Alcuni autori, nel corso degli anni, hanno confuso le red flags con le patologie serie, mentre altri, giustamente, le hanno inquadrate come segni e sintomi che devono “intimorire” il professionista. Noi abbiamo cercato di fare chiarezza e abbiamo definito le red flags, a scanso di equivoci e con il sostegno scientifico più consistente e robusto possibile, come “le red flags sono segni e sintomi potenzialmente indicativi di patologie serie che legittimano o motivano l’invio (referral) a un altro professionista della salute, sia esso in maniera provvisoria e temporanea o definitiva”.

Al di là della terminologia, ciò che in qualità di professionisti della salute dobbiamo tenere ben a mente è che, come vedremo per il processo dello screening for referral, l’interpretazione delle red flags deve essere affrontata in funzione sì del numero (sarà certamente più probabile essere di fronte a una patologia seria quando il paziente manifesta 6 o 7 red flags piuttosto che 2 – ma non è detto), bensì anche della visione di insieme ottenuta grazie, di nuovo, ai fattori di rischio, allo stato di salute generale passato e presente, alla familiarità e, come vedremo, al pattern (comportamento clinico) dei sintomi dall’insorgenza a “oggi”, durante la giornata, in risposta ai fattori aggravanti o allevianti, ai farmaci e così via. Le red flags non rientrano in una check-list nella quale “spuntare” ciascun quadratino in elenco. Le red flags vanno registrate tutte e sempre, ma il loro peso non è di certo matematico!

Basti pensare ai pazienti con low back pain acuto. Questi pazienti, dati alla mano, al momento della prima visita, potrebbero presentarsi alla nostra attenzione con un numero di red flags superiori a quanto potremmo aspettarci nel caso di quello che, in realtà, è a tutti gli effetti un disturbo muscoloscheletrico che possiamo gestire in autonomia senza referral ad altri professionisti della salute.

Quali red flags potrebbero manifestare?

Dolore notturno, impossibilità di mantenere la posizione supina, marcata restrizione di movimento in flessione anteriore del tronco – a volte impossibile – e così via. Non sono forse delle red flags? Certo che sì, sono 3 per l’esattezza. E se il paziente ha più di 50 o 55 anni? Saliamo a ben 4 red flags.

Se non ragionassimo, questo sarebbe il paziente il perfetto candidato da inviare a un altro professionista della salute, come un medico. Quattro red flags, effettivamente, sono tante. La brutta notizia (per la richiesta di “sforzo” cognitivo che ci richiede), come ci siamo detti nelle righe precedenti, è che in realtà questo non è in alcun modo un ragionamento clinico efficace ai fini “diagnostici” (come inquadramento del paziente che non è di nostra competenza) e, soprattutto, prognostici.

In sintesi, le red flags sono campanelli d’allarme che devono essere inseriti contestualmente alla presentazione clinica, ai fattori di rischio, allo stato di salute generale e a tanto altro. Non sono un mero elenco che, in caso di superamento della soglia del “molte red flags presenti” assume il significato del nostro referral.

4. Presentazione clinica.

Come si comporta un dolore muscoloscheletrico?

Come si comporta un dolore viscerale?

Come si comporta un dolore viscerale che si maschera come dolore muscoloscheletrico?

Ecco a voi il pattern del dolore che deve insospettire il professionista sanitario non medico che si interfaccia con pazienti con dolore (o altri sintomi) in accesso diretto. Cosa si intende per presentazione clinica? Tutto, ma entriamo nel merito di ciò che ci interessa e di ciò che, davvero, potrebbe fare la differenza. Ricordiamo che non ci stiamo destreggiando all’interno dell’anamnesi per individuare l’ipotesi diagnostica più probabile tra tendinopatia rotulea o dolore femoro-rotuleo in un giovane calciatore presentatosi in studio lamentando dolore anteriore di ginocchio in assenza di traumi. Stiamo ancora decidendo se questo è un paziente per noi!

Ecco cosa considerare:

  • Dolore notturno;
  • Dolore costante;
  • Dolore associato a segni e sintomi costituzionali;
  • Dolore che varia con l’assunzione di cibo;
  • Insorgenza traumatica o insidiosa;
  • Evoluzione;
  • Risposta ai fattori aggravanti e allevianti;
  • Risposta ai farmaci;
  • Risposta ai trattamenti precedenti;
  • Confronto tra evoluzione “attesa” del disturbo ed evoluzione reale.

Se questi elementi non rientrano nella raccolta anamnestica del nostro paziente, mi guarderei bene dall’assunzione di poter discriminare se il soggetto che sto per prendere in carico sia per me oppure no. Questi elementi sono determinanti per la comprensione dello stato di salute del paziente e, indagando nello specifico il comportamento dei sintomi sotto ogni punto di vista, arricchisce sensibilmente ciò di cui abbiamo parlato nel punto 1, 2 e 3.

5. Segni e sintomi associati riconducibili a patologie sistemiche.

Ecco i sintomi costituzionali, la serie di sintomi (e segni) indicativi di interessamento sistemico del corpo. Perché conoscerli quando potrebbe essere banale per un paziente non rivolgersi a un professionista non medico in caso di alcuni sintomi costituzionali, come febbre e brividi? La risposta è molto semplice: il paziente potrebbe non attribuire al proprio disturbo il suo dolore cervicale, per fare un esempio, e la febbre degli ultimi giorni. Allo stesso tempo, un’altra risposta facile, ma che fa emerge più ombre che luci sulla nostra professione, potrebbe essere quella legata al fatto che il professionista non medico, primo punto di incontro sanitario del paziente in accesso diretto, si dimentichi di chiederlo. “Beh, neanche da dire però!”. E invece succede, eccome che succede (nel case report citato nelle righe precedenti il paziente aveva fatto ben due accessi al pronto soccorso!).

Quali sono i sintomi costituzionali? Eccone alcuni:

  • Febbre;
  • Brividi;
  • Cefalea;
  • Fatica;
  • Perdita di appetito;
  • Sudorazione notturna;
  • Malessere generale.

Avanti tutta verso la chiusura del cerchio: la revisione dei sistemi.

6. Revisione dei sistemi.

Significa, in sostanza, tirare le somme. La revisione dei sistemi altro non è che il processo ultimo grazie al quale il clinico accorto, sicuro, efficace e responsabile attribuisce un significato concreto alle informazioni emerse nel corso dell’anamnesi e dell’esame obiettivo. Non solo, la revisione dei sistemi, in linea con ciò che Goodman, Heick e Lazaro sostengono, potrebbe essere considerata anche come, a detta mia, “un’ultima precisa occhiata”. Nel lavoro di questi autori si legge “[…] nel processo di screening, una revisione dei sistemi include l’identificazione di cluster di segni e sintomi che potrebbero essere caratteristici di particolari sistemi d’organo”.

Ad ogni modo, il discorso non cambia e i conti tornano ugualmente. Sia che riteniamo il processo di revisione di insieme come l’approfondimento di tali cluster di segni e sintomi o il processo attraverso il quale il professionista “tira le somme” al termine dell’anamnesi e dell’eventuale esame obiettivo, non ci discostiamo di molto. Il concetto è sempre lo stesso: lo screening for referral è un processo che deve divenire proprio di ciascun professionista e rappresenta il requisito indispensabile per l’esercizio professionale.

Se non fossimo sufficientemente convinti, poniamoci, di nuovo, la stessa domanda con cui abbiamo aperto questa discussione. Cos’era, seconda? Terza riga? La mia risposta è no, non ci andrei.