Medial Tibial Stress Syndrome (MTSS)

Ecco una guida per il fisioterapista su valutazione e trattamento della Medial Tibial Stress Syndrome (MTSS).

La medial tibial stress syndrome (MTSS), o sindrome da stress tibiale mediale, è una sindrome da overuse definita come un dolore indotto dall’attività fisica che manifesta i suoi sintomi lungo il profilo postero-mediale dei ⅔ distali della tibia.[1, 2] In questa regione, il dolore tipico della sindrome da stress mediale tibiale può essere tale da costringere il paziente a sospendere l’attività stessa; a partire dalla definizione appaiono quindi chiare le common features della sindrome: dolore e disabilità.

Conosciuta altresì con il nome di “shin splints” (in modo meno formale) o “tibial stress syndrome; in italiano è detta periostite. La medial tibial stress syndrome è uno dei più frequenti insiemi di segni e sintomi che colpiscono l’arto inferiore, in quanto presenta un’incidenza che varia dal 4% al 35%.

Scendendo più nello specifico l’incidenza cresce variando dal 13,6% al 20% nei runner e arrivando al 35% se si analizzano popolazioni di reclute militari.

Aumenti significativi del carico di allenamento, del suo volume o un’esposizione frequente ad esercizi ad alto impatto (attività di corsa e di salto su tutte) possono predisporre ad un quadro di sindrome da stress tibiale mediale.

Gli “overuse injury” come la medial tibial stress syndrome possono fermare o rallentare lo stile di vita attivo di una persona ed influenzare negativamente gli effetti fisiologici positivi del running.[3]

La sindrome da stress tibiale mediale è una lesione da stress che può essere considerata il precursore della frattura da stress, ed in quanto tale, è di fondamentale importanza conoscerne segni e sintomi per:

  • identificarla precocemente;
  • evitare un peggioramento clinico da lesione a frattura;
  • consigliare il percorso terapeutico più adatto al paziente.

Tipologia di pazienti

La popolazione target della medial tibial stress syndrome sono i pazienti con uno stile di vita attivo che praticano attività fisica e, per questo, nella pratica clinica è frequente riscontrarla soprattutto in atleti, runner e militari.[4] Attualmente il running è una delle pratiche di attività fisica più diffuse al mondo e le persone che si dedicano a questa tipologia di attività, soprattutto se di tipo ricreazionale/amatoriale, sono in aumento, così come sono in aumento le distanze medie in km percorse. Nonostante gli effetti benefici del running siano stati ampiamente dimostrati[5, 6], i runner che corrono di più (ore di allenamento/settimana) e che fanno distanze più lunghe (numero di km percorsi) sembrano essere quelli più a rischio.[3]

Facendo un focus sui runner amatoriali, questi spesso sono affetti da infortuni “running-related” causati da errori nel dosaggio e nella gestione dei carichi di allenamento.

La ricerca nel corso degli anni è riuscita ad identificare alcuni fattori di rischio sia intrinseci che estrinseci come:

  • genere femminile;
  • storia pregressa di MTSS (recidiva);
  • minore “esperienza” (pochi anni di corsa);
  • alto BMI;
  • aumentato navicular drop;
  • ROM della TT (rom in flessione plantare ridotto);
  • ROM in rotazione esterna dell’anca (aumentato, soprattutto durante la flessione anca).[3, 7]

Tuttavia è difficile basare il trattamento su questi fattori di rischio, in primis perché sono difficilmente modificabili. Anche per questo ad oggi non sono disponibili evidenze di alta qualità su strategie di trattamento basati sulla loro modifica.


Patofisiologia

La teoria alla base della patofisiologia della medial tibial stress syndrome non è univoca e presenta elementi contraddittori: alcuni autori in passato supportavano la tesi della fasciopatia crurale, mentre per altri autori più recenti è più da ricondurre ad un sovraccarico osseo (bone overload injury) dovuto ad overuse e stress meccanici importanti o ripetuti.

Altre teorie sono la trazione muscolare di soleo e flessore lungo delle dita alla loro inserzione prossimale sul periostio.[2, 8]


Diagnosi differenziale

Gli infortuni da stress nella zona tibiale sono i più frequenti in assoluto (sia stress reaction injuries che fratture). Un trauma/lesione da stress tipicamente si presenta con dolore al carico e dolore durante le attività della vita quotidiana, che si riduce con il riposo. In caso di medial tibial stress syndrome invece solitamente il dolore compare con l’attività fisica del paziente (tipicamente running).[9]

Di seguito vengono riportate alcune caratteristiche da considerare in clinica nel processo di diagnosi differenziale:

  • sensazione crampiforme o di bruciore localizzata nel compartimento posteriore, che se presente va in diagnosi differenziale con un quadro di Chronic Exertional Compartment Syndrome (CECS) e quindi la sindrome compartimentale cronica, che potrebbe presentarsi isolata o in associazione con MTSS;
  • presenza di intorpidimento, sensazioni di aghi o spilli nel piede durante l’attività fisica (anche questa andrebbe in diagnosi differenziale con la sindrome compartimentale);
  • presenza di gonfiore evidente o eritema lungo il margine mediale della tibia;
  • dolore non correlato al carico;
  • attenzione a tutti i sintomi non caratteristici della medial tibial stress syndrome che potrebbero quindi indicare un’altra patologia dell’arto inferiore più probabile.

Altre condizioni da tenere in considerazioni durante il processo di diagnosi differenziale:

  • neuropatie dell’arto inferiore;
  • fratture da stress;
  • osteosarcoma.

Elementi anamnestici

  • presenza di dolore indotto dall’esercizio fisico/attività lungo i ⅔ distali del margine postero-mediale della tibia;
  • il dolore è provocato dall’attività fisica (si presenta durante o in seguito ad essa) e si riduce con il riposo relativo (tuttavia i sintomi possono essere presenti per ore dopo l’allenamento prima di diminuire – aftersensation, specialmente in fase cronica);
  • il dolore familiare al paziente è evocabile alla palpazione per almeno 5 cm lungo il margine tibiale.

Esame obiettivo e valutazione

Nel momento in cui si sospetta dall’anamnesi un quadro di sindrome da stress tibiale mediale, il terapista deve procedere con:

  • osservazione: per la ricerca di gonfiore, eritemi o altre caratteristiche riconoscibili visivamente;
  • palpazione del margine postero-mediale della tibia: al paziente viene chiesto se la palpazione evoca il suo dolore familiare, ovvero quello percepito durante o subito dopo l’attività provocativa; se la palpazione lungo il margine postero-mediale della tibia per almeno 5 cm non evoca il dolore del paziente, altre condizioni cliniche che colpiscono l’arto inferiore dovrebbero essere prese in considerazione (es. rischio di frattura da stress);
  • palpazione delle strutture adiacenti per identificare se sono presenti altre zone di dolore o altre patologie associate che potrebbero modificare il quadro clinico ed allungare la prognosi del paziente;
  • valutare la presenza di eventuali restrizioni di movimento sia attive che passive a livello delle articolazioni di piede-caviglia;
  • valutare l’intera catena cinetica dell’arto inferiore;
  • test in carico per evocare il dolore familiare al paziente.

La diagnosi clinica di MTSS attraverso l’anamnesi e l’esame fisico risulta affidabile. Si nota che in circa il 32% dei casi dall’esame fisico possono emergere anche ulteriori problematiche associate all’arto inferiore.

L’imaging ha mostrato una scarsa abilità discriminatoria. L’incertezza è dovuta alle difficoltà nell’identificare quali “anomalie” strumentali siano correlate alla condizione clinica e allo stato attuale del paziente. L’utilizzo dell’imaging viene dunque consigliato per fare rule out di patologie come fratture da stress o osteosarcomi qualora vi fosse un sospetto clinico.[8]


Opzioni di trattamento

Sono numerose le opzioni di trattamento proposte nel tempo per trattare la sindrome da stress tibiale mediale. Alcune di queste sono: gait retraining, riposo, ghiaccio, massaggio, onde d’urto, stretching, programmi di forza, uso di tutori/ortesi/bracing, iniezioni. Tutti questi interventi hanno dimostrato scarsa efficacia. Non essendo a disposizione studi di alta qualità metodologica, il terapista dovrà ponderare le sue scelte sui risultati degli studi osservazionali a disposizione, sulle sue abilità di ragionamento clinico e sulle preferenze del paziente.[10, 11]

Partendo da questo doveroso presupposto, le strategie di gestione che vengono proposte nelle righe seguenti dovranno essere pesate ed interpretate con cautela in quanto basate su livelli di evidenza bassi.

Trattamento conservativo

L’impostazione del trattamento si può basare su tre pilastri: educazione, tecniche di desensibilizzazione e tecniche di aumento graduale del carico:

  • è importante prima di tutto discutere con il paziente riguardo le sue aspettative sul percorso riabilitativo e sulla prognosi. Partendo da studi più strutturati su altri distretti, appare evidente come sia importante analizzare questi aspetti soprattutto in ottica prognostica. Considerando la popolazione di pazienti più “colpita” da medial tibial stress syndrome, ovvero gli atleti, questi spesso risultano ultra-ottimisti riguardo la loro condizione e riguardo al tempo necessario per essere pain free e tornare alla loro attività.[10]
  • l’educazione del paziente può svolgere un ruolo chiave all’interno del programma terapeutico. L’educazione sarà mirata a spiegare la natura della sindrome da stress tibiale mediale e la relazione che questa può avere con il modello di carico/capacità di carico, e che quindi la severità dei sintomi dipenderà da quanto bene il paziente sarà in grado di gestire i carichi di allenamento in base alla capacità di tolleranza a questi del suo fisico. Caricare in modo graduale e costante, aumentando di <10% a settimana, potrebbe essere un buon riferimento per guidare il paziente verso il recupero (altri studi recenti hanno mostrato come un aumento di carico anche fino al 30% potrebbe essere sicuro).[10, 12]
  • un altro aspetto da considerare con il paziente durante la parte educativa sarà la spiegazione della grande variabilità nella presentazione di questa sindrome e della possibilità di andare incontro a dei flare-up della sintomatologia durante il percorso terapeutico;
  • le tecniche di desensibilizzazione possono rivelarsi utili nel momento in cui il paziente solitamente si presenta alla prima visita con molto dolore e disabilità associata; l’utilizzo del ghiaccio e l’avviso di ridurre i carichi possono essere una buona strategia per ridurre il dolore nel breve termine e per assicurarsi che il paziente possa riprendere a caricare in modo graduale il prima possibile. Altre strategie di desensibilizzazione da utilizzare in fase iniziale possono essere delle tecniche di trattamento locale dei tessuti molli;
  • essendo che i pazienti affetti da sindrome da stress tibiale mediale sono sensibili e suscettibili al “carico”, appare intuitivo come una corretta gestione dei carichi di allenamento e della loro graduale progressione sia di vitale importanza, anche in termini prognostici.[10] Benchè come accennato in precedenza ci sia ancora confusione riguardo alla patofisiologia, tra le opzioni più accreditate ci sono sono il “bony overload injury” e la fasciopatia crurale: in entrambe queste opzioni pare comunque utile approcciarsi con un carico graduale come testimoniato da trial recenti sul rimodellamento osseo e tissutale grazie al carico graduale (principio meccanotrasduzione);[13]
  • una combinazione di esercizi di carico graduale per la regione tibiale ed esercizi di forza per i flessori plantari di caviglia potrebbero essere la migliore strategia di gestione conservativa per gli atleti con MTSS;
  • assicurarsi che il carico fornito incontri la capacità di carico del paziente è una priorità;
  • la tecnologia può fornire un supporto con l’utilizzo di app per il monitoraggio dell’attività;
  • si può utilizzare il pain monitoring model e insegnare al paziente che un dolore 0-3 (tollerabile) è accettabile e sicuro in una scala numerica del dolore 0-10. Per la natura, la possibile evoluzione della patologia e la popolazione di pazienti colpita è meglio non eccedere.
  • è possibile utilizzare il MTSS score.[10]

Strategie di trattamento non conservativo:

Nei casi di sindrome da stress mediale tibiale recalcitrante, ovvero quando il dolore e la disabilità persistono nonostante il trattamento conservativo, a volte si ricorre all’intervento chirurgico. Questo solitamente consiste in una fasciotomia, associata o meno ad uno stripping periostale. Gli studi a disposizione sono pochi, di bassa qualità (case series) e con outcome riportati in modo confusionario. Partendo dal presupposto che la fisiopatologia alla base della medial tibial stress syndrome non è ad oggi confermata, il trattamento chirurgico non è da considerarsi l’approccio primario e dovrebbe essere evitato.[10] 


Prognosi

In termini prognostici alcuni studi evidenziano come la prognosi sia in media a lungo termine e che ci possono volere anche 90 giorni per tornare a correre per 20 minuti a moderata intensità con un dolore minimo. È evidente come per la maggior parte degli atleti questo non rappresenti il livello di attività target/desiderato, e infatti viene ipotizzato che nei pazienti con dolore da >3 mesi, la prognosi debba essere spostata a 9 o 12 mesi.[10]


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