Metodo McKenzie: i Pro ed i Contro

Il Metodo McKenzie o Diagnosi e Terapia Meccanica è un sistema di classificazione e trattamento per il mal di schiena…

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Il Metodo McKenzie o Diagnosi e Terapia Meccanica è un sistema di classificazione e trattamento per il mal di schiena originariamente proposto da Robin McKenzie nel 19811. Consiste in un inquadramento clinico del paziente basato sulla riposta sintomatica e meccanica a movimenti ripetuti e posizioni mantenute, indirizzando di conseguenza il piano terapeutico. Negli anni, è stato uno tra i corsi per fisioterapisti più celebri.

La leggenda vuole che McKenzie abbia cominciato a definire i concetti a supporto di questo modello a seguito di un curioso evento.  Si racconta che, all’inizio di una seduta, invitò un paziente ad accomodarsi sul lettino mentre si assentava alcuni minuti. Rientrato in studio, McKenzie trovò il paziente sdraiato prono sul letto al quale non era stato regolato lo schienale, rimanendo alzato. Intimorito che una simile estensione lombare potesse aggravare i sintomi, il fisioterapista esortò il paziente a voltarsi ma rimase sorpreso quando questi gli riferì che “il suo solito dolore lombare era scomparso”. Questo evento si dice abbia inspirato in McKenzie alcune riflessioni riguardo alla patomeccanica del low back pain (LBP) portandolo a elaborare un modello di classificazione e stratificazione dei soggetti con questa patologia che potessero rispondere positivamente a una serie di movimenti nelle varie direzioni, concetto alla base degli esercizi McKenzie. Inizialmente proposto per il mal di schiena, il metodo McKenzie è stato successivamente applicato e validato per la valutazione di tutto il rachide, come anche per le patologie degli arti e delle articolazioni periferiche2–6.


Come funziona il Metodo McKenzie?

Secondo McKenzie, attraverso gli elementi raccolti all’anamnesi e all’esame obiettivo, è possibile ricondurre la sintomatologia del paziente ad una delle tre sindromi meccaniche da lui codificate1.

Derangement: è la presentazione clinica più frequente7 e variabile e si caratterizza per un’ostruzione meccanica al movimento (solitamente di natura discale nella colonna). È caratterizzata dalla Preferenza Direzionale, ovvero una direzione di movimento che, attraverso i movimenti ripetuti o il mantenimento di una posizione, determina un miglioramento clinico rilevante dei sintomi e della mobilità del segmento8,9.  Altro concetto chiave è quello di Centralizzazione, ovvero di un fenomeno, spesso ma non sempre associato alla Preferenza Direzionale, per cui il dolore tende ad osservare una regressione disto-prossimale10,11. È il caso di un dolore lombare irradiato alla coscia che, in risposta ai movimenti ripetuti, recede progressivamente verso la schiena fino a scomparire. Clinicamente si è osservato che la maggior parte dei Derangement risponde positivamente all’estensione lombare (preferenza direzionale)7,12 e da questo può essere nato il fraintendimento comune che la terapia McKenzie consista in soli esercizi di estensione. I sintomi tipicamente descritti possono essere locali (schiena), riferiti (gamba) o radicolari con un’occorrenza costante o intermittente. Possono mutare rapidamente durante la giornata o nel tempo, con un esordio graduale o improvviso. Sono tendenzialmente influenzati dalle strategie di carico e dalle attività svolte durante l’arco della giornata, comportando disabilità 13,14.

Dysfunction: in questa sindrome prevale una deformazione meccanica di un tessuto lesionato che è origine del dolore. Sia essa inerente a strutture articolari o contrattili, la Disfunzione è sempre l’esito di un processo cicatriziale mal adattatitvo successivo a trauma o degenerazione. In conseguenza, si distingue clinicamente per un dolore intermittente, elicitato dallo stress meccanico sul tessuto, localizzato (a meno di coinvolgimenti radicolari) e sempre riprodotto dal movimento provocativo13–15. Un esempio idoneo potrebbe essere quello di una lesione muscolare non trattata che a distanza di tre mesi non presenta dolore a riposo, ma l’allungamento del tessuto riproduce i sintomi locali.

Postural: A differenza dei precedenti sottogruppi, non si osserva nessuna modifica patologica dei tessuti. Il dolore è prodotto da un carico meccanico, anche di bassa intensità, protratto nel tempo, che scompare cambiando posizione 13–15. Infatti, leggendo quest’articolo fino alla fine, non vedrete l’ora di alzarvi dalla sedia per “sgranchire” un po’ la schiena indolenzita. Sappiate che un “McKenzista serio” vi additerebbe come “Postural”. Questa popolazione di pazienti difficilmente ricerca cure mediche ma contraddistingue precise categorie di lavoratori (videoterminale, autisti, etc).

Altro: In questa categoria ricadono tutti quei quadri clinici non ascrivibili alle sindromi precedenti e che dunque non presentano un comportamento meccanico consistente e riconducibile. Si fa riferimento, ad esempio, a patologie spinali gravi (frattura del corpo vertebrale, compressione midollare, infezioni), vascolari (trombosi venosa profonda), infiammatorie (artrite), tumorali o che semplicemente non rientrano nelle sindromi meccaniche McKenzie.

Sulla base di questa classificazione il metodo McKenzie propone un approccio specifico per ogni sindrome descritta, enfatizzando, attraverso l’educazione del paziente, l’importanza dell’esercizio e dell’autotrattamento15.


I vantaggi del metodo McKenzie

Originariamente, il modello proposto da McKenzie1, aveva come finalità quello di fornire uno strumento pragmatico per la classificazione del Non Specific Low Back Pain (NSLBP). Tra le patologie muscolo-scheletriche questa è senza dubbio una delle più frequenti, con una prevalenza attestata tra l’85% e il 95% delle diagnosi di mal di schiena16–18. L’importanza di una tassonomia adeguata è evidente nel facilitare le decisioni cliniche, fornendo le basi per una corretta formulazione prognostica e per una scelta terapeutica efficace e condivisa tra i terapisti19. La ricerca dell’algoritmo filosofale ha condotto alla proposta di diversi sistemi di classificazione del dolore lombare in letteratura20–24, basati su caratteristiche differenti. Il metodo McKenzie propone una divisione in sottogruppi non specifici basati su caratteristiche cliniche, offrendo alcuni vantaggi indiscutibili a fisioterapisti e pazienti. Infatti, una delle caratteristiche principali della terapia McKenzie è di porre il soggetto al centro del piano riabilitativo, aumentando la consapevolezza sul proprio stato di salute e favorendo l’adozione di strategie attive (esercizio e auto trattamento). Questi aspetti riflettono le più recenti raccomandazioni inerenti la gestione del NSLBP25.

Altra parte centrale, indispensabile per migliorare l’aderenza al trattamento, riguarda la componente educativa circa le cause del dolore e su come l’esercizio sia in grado di condizionarle se svolto secondo le indicazioni terapeutiche. McKenzie, infatti, non guarda solo alla guarigione ma mira alla prevenzione delle recidive, fornendo al paziente gli strumenti necessari per raggiungere l’indipendenza nella gestione di un problematica che presenta un tasso di ricaduta stimato tra il 24% e l’ 80%26,27 e costi enormi per il sistema sanitario28,29.

Non meno importante è la tipologia di esercizio prescritto. La cosiddetta “ginnastica McKenzie” si fonda su semplici movimenti attivi, da ripetere poche volte e solitamente più volte al giorno1. Non sono richieste attrezzature o lunghe sessioni di “allenamento”. Ciò trova un ottimo riscontro nell’aderenza del paziente al trattamento, dove spesso, esercizi complessi o che richiedano troppo tempo, rappresentano un ostacolo nella gestione dei disordini muscolo-scheletrici cronici30–32, mentre strategie volte a motivare e ad aumentare la consapevolezza del paziente verso l’esercizio possono rinforzarla33,34.

Nella prospettiva del fisioterapista invece, il metodo McKenzie offre un modello di valutazione universale (non clinico dipendente), poiché basato sulla risposta riferita dal paziente. Già nell’impostazione dell’anamnesi, e successivamente nell’esame obiettivo, McKenzie propone l’utilizzo di una terminologia specifica (Meglio, Peggio, Produce, Aumenta, Centralizza, Abolisce, Nessun effetto etc) e della “Guida del semaforo” allo scopo di standardizzare la valutazione clinica1. Questo è testimoniato da un’elevata affidabilità inter esaminatore con un accordo che raggiunge il 95% nell’identificazione della centralizzazione nella sindrome derangement13,35,36. Tale implicazione ha una rilevanza clinica importantissima poiché offrirebbe la possibilità di un linguaggio condiviso tra i professionisti nell’inquadramento del NSLBP. Un ulteriore elemento di forza del metodo è la centralità dell’anamnesi nel riconoscere non solo le caratteristiche cliniche delle sindromi meccaniche, bensì quei segni e sintomi (detti anche red flags) che dovrebbero indurre il sospetto di una patologia grave e dunque il repentino invio ad uno specialista37. Lo Screening for referral o Diagnosi differenziale in fisioterapia è quel processo valutativo imprescindibile che orienta il clinico nella presa in carico di un paziente, sottoponendosi la semplice domanda “sono il professionista giusto per questa persona?”. Infine, ma non meno importante, per quanto riguarda il mal di schiena, è stato riportato un buon significato prognostico per il sottogruppo Derangement. Infatti nei pazienti con dolore acuto o cronico in cui si verificava la centralizzazione dei sintomi a seguito dei movimenti nella Preferenza direzionale sono stati osservati risultati fino a 7 volte migliori in termini di disabilità e assenza dal lavoro38. Sebbene sembra non avere relazione con la durata dei sintomi tende comunque a presentarsi meno frequentemente nel dolore cronico e in tempi più lunghi rispetto all’acuto39,40. Analogamente, una comparsa tardiva o assenza di Centralizzazione sono stati associati a risultati peggiori in risposta al trattamento McKenzie41,42.


I limiti del metodo McKenzie

In modo abbastanza semplice possiamo affermare che il limite più evidente del metodo McKenzie è di seguire un modello troppo biomedico. Sebbene sia stata introdotta e riconosciuta l’importanza degli aspetti bio psico sociali nell’eziologia del NSLBP43, McKenzie definisce “meccanici” questi disordini (si guardi al nome: Diagnosi e Terapia Meccanica) ed il razionale del trattamento proposto si basa su principi biomeccanici44–46. Sebbene non siano ancora state individuate le migliori forme di intervento, diverse pubblicazioni scientifiche hanno sottolineato il ruolo delle componenti psicologiche e sociali quali fattori prognostici in grado di influire il recupero da un episodio di mal di schiena47–49. Affrontare la sola causa meccanica significherebbe trattare un solo aspetto del problema, soprattutto nel dolore cronico, ove i processi di elaborazione del dolore possono indurre modifiche a livello corticale e sistemico50–52. Non per niente le principali raccomandazioni sulla gestione del mal di schiena in acuto suggeriscono un intervento basato sull’educazione: sconsigliare il riposo a letto, rimanere attivi, correggere le credenze errate, informare circa il decorso benigno del NSLBP ed evitare la medicalizzazione53,54. In tutto ciò non vi è niente di “meccanico”.

Inoltre, sebbene l’educazione alla comprensione della natura nocicettiva dei sintomi proposta da McKenzie potesse essere considerata soddisfacente negli anni ’90 ad oggi non rispecchia quelle che sono le ultime acquisizioni nella scienza del dolore55,56. Insegnare ad un paziente che il proprio dolore può dipendere dalla deformazione del disco intervertebrale racchiude in sé un potenziale effetto nocebo paragonabile ad  informarlo che l’esito della Risonanza Magnetica ha evidenziato alterazioni degenerative della colonna55,56. Altro aspetto da non sottovalutare invece, è il focus sul dolore. Proprio perché il principio di trattamento è incentrato sulla risposta sintomatica, è richiesta al paziente una costante attenzione sul comportamento del dolore nel tempo (aumenta, si sposta, irradia etc). Una tale domanda potrebbe alimentare emozioni negative e favorire uno stato di frustrazione relativo alle persistenza dei sintomi, sostenendone la natura57. Utilizzare un approccio volto a cambiare la percezione del paziente verso il dolore e la paura del movimento ha invece dimostrato ottimi risultati nella riduzione della disabilità58–60.

Nei sottogruppi indicati, il metodo McKenzie funziona davvero? Considerando il low back pain come popolazione di riferimento, una revisione con metanalisi del 200661 ha riscontrato un beneficio clinicamente irrilevante nella gestione acuta dei sintomi, conclusione confermata anche da un trial successivo62. In realtà, la vera efficacia di questo approccio potrebbe essere sottostimata dal fatto che, nei vari protocolli, non sempre vengono fornite sufficienti informazioni per capire se è stato effettivamente applicato il metodo così come proposto da McKenzie63. Infatti una revisione basata su sei Studi Randomizzati Controllati (RCT) ha riportato un effetto favorevole su dolore e disabilità nel breve termine per il gruppo che seguiva i principi del metodo McKenzie64. Invece, uno studio recente di Lam e colleghi, ha evidenziato come la ginnastica McKenzie non fosse superiore ad altre forme di esercizio nella gestione acuta del mal di schiena mentre nel cronico possa portare a risultati migliori su dolore e disabilità65. Ciò è stato puntualmente sconfessato da risultati di un RCT con follow up ad un anno, dove i livelli di dolore, recupero percepito e disabilità nel gruppo che eseguiva esercizi di controllo motorio erano sovrapponibili a quello che seguiva il trattamento McKenzie66.

Ad ogni modo, l’assenza di evidenze consistenti sull’efficacia di questo modello può trovare una spiegazione nella difficoltà a inquadrare in un costrutto biomedico un disordine così multifattoriale. Aspetti legati alla paura del movimento o kinesiofobia e alla correzione di credenze e comportamenti errati rappresentano per il clinico una grande sfida terapeutica e non trovano certo soluzione adeguata in un approccio meccanico. Un ultimo elemento che può essere visto come un possibile deterrente nel trattamento secondo McKenzie è che alcuni esercizi non si prestano a essere eseguiti facilmente durante l’arco della giornata. Un paziente cui sono state indicate dieci estensioni lombari da prono tre volte al giorno faticherà sicuramente a trovare le circostanze per potersi sdraiare ed eseguire il suo trattamento. In conseguenza, la bassa capacità di adeguare le caratteristiche dell’esercizio alle necessità del paziente potrebbe rappresentare un serio ostacolo al raggiungimento degli obiettivi terapeutici.


Conclusione

 Il metodo McKenzie rappresenta uno strumento semplice e funzionale per l’inquadramento di un paziente con una problematica muscolo-scheletrica1. Il ruolo dell’anamnesi e dell’esame obiettivo è fondamentale per riconoscere quei segni e sintomi che possono essere potenziali indicatori di patologie gravi o di una sindrome meccanica. Tuttavia, trascurare il dominio psicosociale che alimenta la complessità di una patologia e l’unicità di ogni individuo, potrebbe ridurre sensibilmente la potenza di un trattamento fisioterapico. Trattiamo gli impairments, non il Derangement!


Bibliografia