Lesione del tendine d’Achille

Ecco una guida per il fisioterapista sulla valutazione e gestione della lesione del tendine d'achille.

lesione tendine d'achille

La lesione del tendine d’Achille è una condizione patologica caratterizzata dalla rottura parziale o completa del tendine che dal tricipite surale si inserisce sulla zona posteriore del calcagno.

Anatomia e biomeccanica

Il tendine d’Achille è il tendine più forte e il più spesso del corpo umano. È costantemente soggetto a carichi elevati, pari a 2-3 volte il peso di una persona durante la camminata e fino a 10 volte durante le attività ad alto impatto. Costituisce il tendine comune dei muscoli gastrocnemio e soleo, che decorre distalmente per inserirsi sulla tuberosità calcaneare posteriore, permettendo la flessione plantare del piede, fondamentale per camminare, correre e saltare.

Ha una lunghezza media di circa 15 centimetri, con il punto più stretto situato tra i 2 e i 6 centimetri prossimali all’inserzione calcaneare (Mansfield et al., 2022). Le porzioni prossimale e distale sono irrorate dall’arteria tibiale posteriore, mentre l’arteria peroneale provvede all’irrorazione della porzione più centrale. Poiché la porzione centrale è scarsamente vascolarizzata, è più vulnerabile a degenerazione e rottura (Park et al., 2020).

Epidemiologia

La rottura del tendine d’Achille rappresenta il 20% di tutte le rotture tendinee di grandi dimensioni. L’incidenza stimata varia da 11 a 37 casi ogni 100.000. Gli uomini sono più inclini alla rottura del tendine d’Achille rispetto alle donne. La lesione presenta una distribuzione bimodale per età, con il primo picco nei pazienti di età compresa tra 25 e 40 anni e il secondo picco in quelli di età superiore ai 60 anni (Park et al., 2020).

Classificazione

La lesione del tendine d’Achille può essere classificata in acuta o cronica, in base alle caratteristiche del meccanismo di rottura (a insorgenza improvvisa o progressiva, traumatico o da sovraccarico ecc.) e in base al fattore temporale relativo alla diagnosi, considerando l’evoluzione sintomatologica e l’intervallo post-infortunio, ovvero il tempo intercorso tra l’insorgenza del danno e il momento della diagnosi.

Patofisiologia

La lesione acuta si verifica frequentemente con un trauma distinto alla caviglia, spesso senza sintomi predittivi. La rottura è generalmente totale, le vere e proprie lesioni del tendine d’Achille parziali sono molto rare.

Le lesioni acute del tendine sono tipicamente causate da un impatto ad alto carico (ad esempio, un’improvvisa o violenta dorsiflessione della caviglia), o da un violento meccanismo di accelerazione-decelerazione (segnalato fino al 90% delle lesioni del tendine d’Achille correlate allo sport).

Le lesioni del tendine d’Achille sono estremamente comuni negli sport come calcio, tennis, corsa e salto. Tuttavia, 1/3 dei pazienti con questa patologia non pratica attività fisica intensiva (Tarantino et al. 2020).

La lesione cronica del tendine d’Achille è caratterizzata dalla formazione di tessuto riparativo a seguito dell’emorragia locale e della risposta infiammatoria regionale, al momento della lesione. Oltre al tessuto fibrocicatriziale interposto tra i monconi del tendine lesionato, si osserva la presenza di un difetto esteso con distacco e retrazione dello stesso, dopo un periodo di almeno 4-6 settimane tra la lesione iniziale e il momento della diagnosi.

Le alterazioni degenerative, infine, sono i reperti istologici più comuni nelle rotture tendinee spontanee (come elevata vascolarizzazione, disorganizzazione del collagene e ipercellularità relativamente vicina al sito di rottura) e possono portare a una riduzione della resistenza alla trazione e a una predisposizione alla rottura (Mansur et al., 2020).

Inoltre, diversi altri fattori giocano un ruolo nella patogenesi della lesione, tra cui: età, sesso, condizioni muscolo-tendinee subottimali, tecniche di allenamento inadeguate, infortuni pregressi, calzature inadeguate, scarsa vascolarizzazione tendinea e varie condizioni patologiche come malattie infettive, condizioni neurologiche, ipertiroidismo, insufficienza renale, diabete, arteriosclerosi, condizioni infiammatorie e autoimmuni, iperuricemia, anomalie del collagene geneticamente determinate e elevata concentrazione sierica di lipidi. Infine, farmaci come steroidi anabolizzanti e fluorochinoloni causano displasia delle fibrille di collagene, che riduce la resistenza alla trazione del tendine e aumenta il rischio di rottura (Tarantino et al., 2020).

Clinica

Da un punto di vista clinico, la lesione acuta del tendine d’Achille presenta evidenti caratteristiche: dolore, debolezza nella flessione plantare della caviglia, uno spazio palpabile di circa 4-6 cm prossimale al calcagno e un test di Thompson positivo per lesione (Mansur et al., 2020).

I pazienti con rottura cronica del tendine d’Achille, invece, presentano debolezza, instabilità, aumento della dorsiflessione della caviglia, gonfiore, dolorabilità e ispessimento del tendine e, a volte, dolore persistente (Feng et al., 2024). Tuttavia, molti pazienti, a causa del tempo trascorso dalla lesione iniziale, possono non lamentare dolore o gonfiore.

La progressione della patologia spesso porta il paziente a rivolgersi al medico o al fisioterapista a causa della debolezza nella flessione plantare della caviglia. Questa forza, pur essendo presente in tutti i flessori secondari, è fortemente smorzata dal protagonismo funzionale del tricipite surale. Questa compromissione colpisce direttamente le attività quotidiane, poiché può rendere impossibile stare in punta di piedi o camminare correttamente (Mansur et al., 2020).

Diagnosi

L’esame clinico per la diagnosi di rottura completa del tendine d’Achille ha mostrato una sensibilità tra il 73% e il 96% (Amendola et al., 2022).

Il test di Thompson (chiamato anche test di Simmonds-Thompson) è il test clinico utilizzato per valutare la possibile rottura del tendine d’Achille. È semplice, rapido e molto utile per confermare il sospetto di una lesione, specialmente in fase acuta. Viene eseguita una compressione del gastrocnemio e del soleo, con il paziente in posizione prona e con i piedi fuori dal lettino. Il test è positivo se la compressione non genera una flessione plantare di caviglia o se genera un movimento minimo.

Secondo la letteratura, ha una sensibilità e una specificità rispettivamente del 93% e del 96% (Thompson, 1962). In caso di lesione parziale, il test può risultare falsamente negativo: in questi casi, è consigliato associare l’esame clinico a ecografia o risonanza magnetica per una diagnosi più accurata.

Test di Thompson.

Per la rottura completa del tendine, l’ecografia ha mostrato una sensibilità e una specificità complessive rispettivamente del 95% e del 99%. Risultati comparabili (94% e 97%) sono stati dimostrati per rotture parziali (Aminlari et al., 2021).

Poiché la risonanza magnetica non è una modalità di imaging dinamica, non è affidabile nel determinare adeguatamente una rottura parziale o completa. Al contrario, l’ecografia è più efficace nell’identificare la sede della rottura, lo spazio tra le estremità lese del tendine e la rottura parziale o completa (Park et al., 2020).

Trattamento chirurgico

Il trattamento chirurgico prevede tecniche e approcci diversi a seconda della classificazione della lesione del tendine d’Achille che, come è stato scritto in precedenza, può essere acuta o cronica.

Trattamento chirurgico delle lesioni acute del tendine d’Achille

Le tecniche chirurgiche per il trattamento delle lesioni acute del tendine d’Achille sono diverse e differiscono soprattutto per l’esposizione diretta del tendine durante la riparazione.

La riparazione aperta prevede un’incisione longitudinale per esporre direttamente il tendine lesionato, consentendo una sutura precisa delle estremità. Questa tecnica offre una visualizzazione completa del sito di rottura, facilitando un allineamento accurato delle fibre tendinee. Tuttavia, è associata a un rischio maggiore di complicanze, come infezioni della ferita e problemi di cicatrizzazione, a causa dell’ampia esposizione chirurgica.

Inoltre, la dissezione del peritenonio può compromettere la vascolarizzazione locale, influenzando negativamente la guarigione. Studi hanno evidenziato che, sebbene la riparazione aperta riduca il rischio di re-rottura rispetto al trattamento non chirurgico, presenta un’incidenza più elevata di complicanze della ferita rispetto alle tecniche meno invasive (Munegato et al., 2018).

La tecnica percutanea prevede l’inserimento di suture attraverso piccole incisioni cutanee senza esposizione diretta del tendine. Questo approccio minimizza il trauma tissutale e riduce il rischio di infezioni post-operatorie. Tuttavia, l’assenza di visualizzazione diretta può comportare un rischio aumentato di lesioni al nervo surale e una possibilità di allineamento non ottimale delle estremità tendinee. Una meta-analisi ha mostrato che la riparazione percutanea ha un tasso di lesioni del nervo surale significativamente più alto rispetto alla riparazione aperta, ma con un tasso di infezioni inferiore e tempi operatori più brevi (Subasi et al., 2018, Cho et al., 2024).

La tecnica mini-open, infine, combina i vantaggi della riparazione aperta e percutanea, utilizzando una piccola incisione per visualizzare direttamente il sito di rottura e facilitare una sutura precisa. Questo approccio consente una migliore valutazione dell’allineamento tendineo rispetto alla tecnica percutanea, riducendo al contempo il rischio di complicanze della ferita.

Studi comparativi hanno evidenziato che la riparazione mini-open presenta tassi inferiori di re-rottura e lesioni del nervo surale rispetto alla tecnica percutanea, con risultati funzionali superiori misurati tramite punteggi AOFAS, una scala di valutazione clinica sviluppata dall’American Orthopaedic Foot and Ankle Society per misurare funzione, dolore e allineamento della caviglia e del piede, e ATRS, un questionario validato autocompilato sviluppato specificamente per pazienti con rottura totale del tendine di Achille che valuta sintomatologia e limitazioni funzionali (Cho et al., 2024).

Trattamento chirurgico delle lesioni croniche del tendine d’Achille

Le lesioni croniche, definite come rotture non trattate per oltre 4-6 settimane, presentano valutazioni chirurgiche significative a causa della retrazione tendinea, dell’atrofia muscolare e della degenerazione del tessuto.

Quando il gap tra le estremità tendinee è inferiore a 2 centimetri, è possibile effettuare una sutura diretta. Questa tecnica è poco invasiva e presenta buoni risultati funzionali, ma è applicabile solo in casi selezionati con gap ridotti.​

Per gap superiori a 3 centimetri, o in presenza di degenerazione significativa del tendine, il trasferimento del tendine flessore lungo dell’alluce rappresenta una soluzione efficace. Il tendine flessore lungo dell’alluce, situato in prossimità del tendine d’Achille, viene prelevato per sostituire o rinforzare il tendine lesionato. Questa tecnica offre una buona forza e funzionalità, con tassi di complicanze accettabili. Una revisione sistematica ha riportato che l’uso del tendine flessore lungo dell’alluce ha portato a miglioramenti significativi nei punteggi AOFAS e ATRS, con il 79% dei pazienti che ha ripreso le attività sportive (Maffulli et al., 2023).

Il trasferimento del tendine peroneo breve è indicato per gap inferiori a 6 centimetri. Il tendine peroneo breve viene prelevato per colmare il difetto tendineo, offrendo una buona resistenza e funzionalità. Questa tecnica è particolarmente utile nei pazienti con controindicazioni al prelievo del tendine flessore lungo dell’alluce. Studi hanno mostrato che il trasferimento del tendine peroneo breve ha portato a buoni risultati clinici, con un basso tasso di complicanze (Maffulli et al., 2023).

Per gap superiori a 5 centimetri, l’uso di innesti tendinei autologhi, come il semitendinoso o il gracile, è una soluzione valida. Questi tendini, prelevati dalla coscia, vengono utilizzati per ricostruire il tendine d’Achille, offrendo una buona resistenza e funzionalità. Tuttavia, questa tecnica comporta un aumento del tempo operatorio e potenziali complicanze nel sito di prelievo (Jiang et al., 2019).

Il sistema Ligament Advanced Reinforcement System (LARS) è una tecnica che utilizza un legamento sintetico per rinforzare la riparazione del tendine d’Achille in casi cronici. Studi hanno mostrato che l’uso del LARS può portare a un recupero funzionale soddisfacente, con tempi di ritorno all’attività ridotti e bassi tassi di recidiva (Ibrahim, 2009).

Trattamento conservativo

Anche il trattamento conservativo delle lesioni del tendine d’Achille varia a seconda della classificazione della lesione.

Trattamento conservativo della rottura acuta del tendine d’Achille

La gestione della rottura acuta del tendine d’Achille è ancora oggetto di dibattito. La preoccupazione principale con l’approccio conservativo riguarda la capacità del tendine di guarire correttamente senza una riparazione diretta, poiché una guarigione incompleta può causare debolezza muscolare o rischio di nuova rottura. Tuttavia, alcuni studi dimostrano che il tendine può guarire anche senza un contatto diretto tra le estremità lesionate, purché i tessuti siano ancora sani (Park et al. 2020).

Tradizionalmente, il trattamento conservativo prevede 6-8 settimane di immobilizzazione in gesso, inizialmente con la caviglia in flessione plantare, seguite da una posizione neutra. Questo metodo è stato associato a un tasso più alto di recidive rispetto alla chirurgia, ma ricerche più recenti hanno mostrato che riducendo i tempi di immobilizzazione e introducendo una riabilitazione precoce, i risultati migliorano sensibilmente (Khan et al. 2005).

Negli ultimi anni, la riabilitazione funzionale precoce si è affermata come elemento cruciale per il successo del trattamento conservativo. Rispetto al passato, oggi si consente una mobilizzazione anticipata, spesso grazie all’uso di tutori funzionali, che facilitano un recupero più rapido della mobilità e il ritorno alle normali attività quotidiane (Young et al., 2014).

Lesione del tendine d’achille: tutore

La gestione conservativa, dunque, non deve essere vista come una mancanza di trattamento, ma come un percorso attivo, basato su protocolli di riabilitazione strutturati. È fondamentale però che i pazienti siano ben informati e collaborativi; in caso contrario, può essere più sicuro optare per l’intervento chirurgico.

Durante i primi 8 mesi, i pazienti devono indossare un tutore per proteggere il tendine e prevenire movimenti dannosi. Le attività a basso impatto vengono gradualmente introdotte fino ai 6 mesi, mentre gli sport intensi sono generalmente permessi dopo. È importante considerare che il recupero della forza muscolare del polpaccio richiede un impegno costante e mirato, soprattutto nei primi 6 mesi, poiché il ritorno completo alla forza pre-infortunio è difficile da ottenere una volta superato il primo anno (Willits et al., 2010).

Un importante studio a lungo termine, infatti, ha confermato che, anche a distanza di 11 anni, la forza muscolare dei pazienti non era del tutto tornata alla normalità, sottolineando quanto sia essenziale una riabilitazione precoce, strutturata e aggressiva (Lantto et al., 2015).

Trattamento conservativo nelle lesioni croniche del tendine d’Achille

Nei pazienti con rottura cronica del tendine d’Achille non vi è praticamente alcuna possibilità concreta per un trattamento conservativo, a causa dell’elevato grado di limitazione causato dalla debolezza della muscolatura posteriore della gamba. La gestione non chirurgica dovrebbe essere riservata ai pazienti con gravi comorbilità e controindicazioni assolute a qualsiasi intervento chirurgico. Il trattamento conservativo si basa sul rafforzamento dei flessori secondari della caviglia (alluce, dita, peroneo, tibiale posteriore) e sull’uso di ortesi dorsali e anteriori che limitano l’iperestensione della caviglia e l’andatura calcaneare.

Anche i pazienti con bassa richiesta o affetti da patologie preesistenti che compromettono la guarigione dei tessuti (malattie vascolari, diabete, fumatori, malattie reumatiche ecc.) possono trarre notevoli benefici da una procedura, soprattutto se si considerano le opzioni meno invasive attualmente disponibili (Mansur et al., 2020).

Trattamento fisioterapico e riabilitazione dopo riparazione chirurgica del tendine d’Achille

Il percorso riabilitativo dopo la riparazione chirurgica del tendine d’Achille è un viaggio complesso e delicato, che richiede un approccio strutturato e basato su evidenze scientifiche. Lo studio “Rehabilitation and Return to Sports after Achilles Tendon Repair” di Marrone et al. (2024) proposto di seguito, offre una guida dettagliata e aggiornata, con un protocollo chiaro, strutturato e basato su evidenze scientifiche su come affrontare ogni fase della riabilitazione, con l’obiettivo di ottimizzare il recupero e facilitare un ritorno sicuro allo sport.

La lesione del tendine d’Achille è una delle più temute tra atleti e sportivi, sia per l’importanza biomeccanica di questo tendine che per i tempi di recupero lunghi e delicati. Negli ultimi anni, l’approccio riabilitativo è cambiato radicalmente grazie a una migliore comprensione dei meccanismi di guarigione e alle evidenze cliniche sempre più solide.

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Protezione della riparazione e prevenzione delle complicanze – fase post-operatoria immediata (0–2 settimane)

Il periodo subito successivo all’intervento chirurgico è critico. L’obiettivo principale è proteggere la riparazione tendinea, evitando qualsiasi sollecitazione eccessiva. Il paziente viene immobilizzato in uno stivale ortopedico o in un tutore rigido, con il piede mantenuto in flessione plantare per ridurre la tensione sul tendine.

Il carico sull’arto operato è vietato, e viene consigliato l’uso di stampelle. Sebbene la caviglia debba restare ferma, è importante lavorare sui muscoli prossimali (anca, ginocchio) con esercizi isometrici per preservare forza e trofismo. Contemporaneamente, il controllo dell’edema e la prevenzione di complicanze come la trombosi venosa profonda devono essere gestiti con grande attenzione.

Inizio della mobilizzazione controllata e carico protetto – fase di riabilitazione precoce (2–6 settimane)

Superata la fase più acuta, si può introdurre una mobilizzazione controllata della caviglia. Marrone et al. raccomandano di iniziare movimenti attivi fino alla posizione neutra (0° di dorsiflessione) senza spingere oltre.

Il carico sull’arto si incrementa progressivamente: dapprima parziale, poi completo, mantenendo sempre lo stivale ortopedico. In questa fase si introducono esercizi isometrici sub-massimali e, in pazienti selezionati, tecniche innovative come l’allenamento con restrizione del flusso sanguigno (BFR) per preservare la massa muscolare senza gravare sul tendine riparato. Educare il paziente a riconoscere i segnali di sovraccarico è fondamentale per una progressione sicura.

Recupero del range di movimento completo e della forza funzionale – fase di riabilitazione intermedia (6–12 settimane)

La terza fase della riabilitazione è cruciale per riconquistare range di movimento completo e forza muscolare adeguata. Il paziente abbandona progressivamente l’uso dello stivale per passare a scarpe da ginnastica, inizialmente con rialzo al tallone.

Si lavora sul recupero della dorsiflessione attiva oltre la posizione neutra, prestando attenzione a non stressare eccessivamente il tendine. Gli esercizi includono sollevamenti del tallone bilaterali e poi unilaterali, attività di equilibrio su superfici stabili e primi esercizi di resistenza leggera. Camminare correttamente, senza zoppia o compensazioni, è uno degli obiettivi principali di questa fase.

Sviluppo di forza, potenza e preparazione sport-specifica – fase di riabilitazione avanzata (12–24 settimane)

Tra il terzo e il sesto mese post-intervento, si entra nella fase avanzata della riabilitazione. È il momento di introdurre carichi più intensi e movimenti più dinamici. Salti, corsa leggera, cambi di direzione e primi esercizi pliometrici vengono integrati nel programma riabilitativo, sempre monitorando attentamente la qualità dei movimenti.

Gli esercizi diventano progressivamente più sport-specifici, adattandosi all’attività che il paziente desidera riprendere. Test oggettivi di forza, resistenza e pliometria aiutano a monitorare i progressi e a decidere quando procedere alla fase successiva.

Lesione del tendine d'achille: pliometria

Criteri di rientro e progressione sicura all’attività sportiva – ultima fase: ritorno allo sport (dopo 6 mesi)

Il ritorno allo sport è un traguardo ambito, ma deve essere affrontato con cautela. Secondo Marrone et al., alcuni criteri oggettivi devono essere soddisfatti prima del rientro alle attività sportive: forza del tricipite surale almeno pari al 90% rispetto al lato sano, capacità di eseguire almeno 10 sollevamenti del tallone unilaterali senza compensi e asimmetrie nei test di salto inferiori al 20%.

Una volta rispettati questi parametri, il paziente può riprendere la corsa progressiva, seguire esercizi sport-specifici e aumentare gradualmente l’intensità. Un monitoraggio continuo è comunque essenziale anche nei mesi successivi, per consolidare il recupero e prevenire recidive.

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Conclusione

Il percorso riabilitativo dopo la riparazione del tendine d’Achille è lungo, ma una gestione precisa e basata su evidenze scientifiche può fare la differenza tra un recupero ottimale e una cronicizzazione dei problemi.

Come fisioterapisti, il nostro compito è guidare il paziente lungo questo cammino, adattando ogni fase alle sue risposte cliniche, con l’obiettivo finale di un ritorno sicuro, efficace e duraturo allo sport e alla piena attività quotidiana.