Esame obiettivo del ginocchio

Vediamo insieme come padroneggiare l'esame obiettivo del ginocchio.

esame obiettivo ginocchio
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L’articolazione del ginocchio è soggetta spesso a infortuni e disturbi, i quali coinvolgono persone di tutte le età, sia sportive che sedentarie, e i sintomi in alcune di queste problematiche sono molto simili tra loro, perciò è di fondamentale importanza svolgere una valutazione che comprenda un’anamnesi dettagliata e un esame obiettivo accurato e preciso, lasciandosi guidare dal processo di ragionamento clinico per poter effettuare una diagnosi differenziale fisioterapica.

Al termine dell’anamnesi è opportuno avere in mente diverse ipotesi concrete riguardo la causa del dolore, in modo da pianificare il nostro esame obiettivo ed eseguire i test seguendo un filo logico e andando a ricercare determinate risposte, senza eseguire tutta la sequenza dei test in maniera casuale. Altrettanto importante è pianificare l’esame obiettivo sulla base della severità e dell’irritabilità del paziente, capendo cosa è possibile effettuare nel corso della valutazione e cosa è meglio evitare per non aumentare i suoi sintomi, falsando così anche la restante parte dell’esame.

In questo articolo verranno presentate in sequenza le varie fasi che compongono l’esame obiettivo: ispezione, palpazione, valutazione della mobilità articolare attiva e passiva, test funzionali, valutazione della forza e test speciali per determinate problematiche, sta al fisioterapista decidere che ordine seguire e cosa includere nella prima seduta con ogni paziente.

Ispezione

In stazione eretta

L’esame obiettivo inizia con il paziente in stazione eretta e la prima cosa da fare è l’ispezione, in modo da evidenziare subito differenze macroscopiche nella distribuzione del carico tra i due arti o atteggiamenti posturali differenti dell’arto coinvolto rispetto all’altro, i quali possono essere adattivi, ossia momentaneamente funzionali per ridurre il dolore, come il mantenimento del ginocchio in leggera flessione nei primi giorni post-trauma, o maladattivi, ossia non funzionali alla riduzione del dolore, anzi in questo caso il dolore migliora modificando quell’atteggiamento, ed è tipico trovarli in caso di dolore persistente.

È importante poter osservare durante l’ispezione l’intero arto così da evidenziare eventuali differenze macroscopiche nel volume della muscolatura, in particolare del quadricipite, ma anche il gonfiore articolare ed eventuali cicatrici.

Con il paziente in stazione eretta è possibile poi osservare se le ginocchia hanno un atteggiamento neutro, di valgismo o di varismo, e tutto ciò va poi ovviamente correlato con il dolore del paziente, per capire se può influire, in quanto molto spesso queste condizioni si trovano in persone asintomatiche[1]. È possibile in seguito osservare quello che viene definito angolo Q, ossia l’angolo che si forma tra la linea che unisce la SIAS al centro della rotula e quella che unisce il centro della rotula alla tuberosità tibiale, e mediamente è 13° negli uomini e 15° nelle donne e sembra essere in relazione con l’altezza della persona[2]. In ogni caso l’angolo Q statico non è correlato a dolore al ginocchio[3]; perciò, sarà più importante osservare l’angolo Q dinamico durante i test funzionali. Da notare in questa posizione anche l’atteggiamento sul piano sagittale (iperestensione, flessione, neutra) e quello sul piano orizzontale (rotazione interna, neutra, rotazione esterna).

È possibile poi evidenziare, se presente, una maggiore grandezza della tuberosità tibiale, tipica in bambini e adolescenti con il morbo di Osgood-Schlatter.

Supino

Facendo stendere il paziente in posizione supina possiamo osservare il ginocchio in posizione di riposo, notando innanzitutto se si estende completamente o se rimane leggermente flesso, in seguito possiamo oggettivare alcuni parametri come il gonfiore o il tono muscolare del quadricipite, ad esempio, prendendo la misura della circonferenza della coscia e del ginocchio con il metro da sarta, o attraverso alcuni test specifici per il gonfiore come il patellar tap test o lo stroke test, la cui affidabilità sembra aumentare maggiore è l’esperienza del tester[4].

In base a ciò che sospettiamo possiamo poi notare lo spessore del tendine rotuleo, eventuali lividi ed ematomi che fanno pensare a una lesione muscolare o tendinea, cicatrici o abrasioni.

Palpazione

Durante la palpazione è possibile apprezzare la dolorabilità del paziente nelle varie strutture del ginocchio. È particolarmente interessante nei casi di trauma, perché tra le Ottawa Knee Rules[5] sono presenti anche la dolorabilità elettiva alla palpazione della rotula e della testa del perone, perciò queste sono due aree da indagare.

Esecuzione delle Ottawa Ankle rules

In caso di dolore anteriore di ginocchio possiamo invece palpare diverse strutture interessanti: possiamo pinzare il tendine rotuleo e palparlo in tutto il suo decorso fino alla tuberosità tibiale, piuttosto che palpare il corpo di Hoffa o il tendine quadricipitale, e poi possiamo apprezzare l’interlinea articolare e il corno anteriore dei menischi interno ed esterno, la cui palpazione fa parte del cluster di Lowery per indagare la presenza di una lesione meniscale[6]. Anche se tutti questi non sono test validi a livello diagnostico, in clinica possono aiutarci a capire quale sia la struttura coinvolta nel dolore del paziente, e insieme al resto della valutazione possono aiutarci a indirizzare il trattamento. La palpazione può essere, inoltre, uno strumento di rivalutazione molto pratico per notare i miglioramenti del paziente da una seduta all’altra, oppure può aiutarci a monitorare alcune problematiche come le tendinopatie dell’atleta in season.

Oltre a queste strutture è possibile palpare anche i tendini degli ischio-crurali, della zampa d’oca e la bandelletta ileo-tibiale, oltre alle due diramazioni del nervo sciatico, ossia il nervo peroneo, appena posteriormente alla testa del perone e il nervo tibiale, all’interno del cavo popliteo, salvo variazioni anatomiche.

Mobilità articolare

Si prosegue con la valutazione della mobilità articolare, la quale è valutabile sia attivamente che passivamente. Il paziente si posiziona supino ed è possibile richiedere un’estensione attiva del ginocchio, in cui teoricamente dovremmo vedere il tallone che si stacca leggermente dal lettino con il ginocchio che rimane appoggiato; in seguito richiediamo una flessione attiva, e possiamo misurarla con un goniometro posizionato sull’epicondilo laterale del femore e con le due estremità che seguono i due arti in direzione del gran trocantere e del malleolo peroneale, oppure misurando la distanza tallone-gluteo; in seguito è possibile richiedere al paziente con il ginocchio in flessione di 90° e il tallone appoggiato una rotazione esterna e interna di tibia, facendo attenzione che il movimento avvenga a livello del ginocchio e non compensi con movimenti del piede o dell’anca.

Esecuzione della valutazione articolare dell’articolazione del ginocchio.

Dopo la valutazione dei movimenti attivi è possibile eseguire una valutazione dei movimenti passivi, in cui il terapista posiziona la mano craniale sulla porzione distale del femore e la mano caudale sulla caviglia o sul tallone e così valuta l’estensione, la flessione e le rotazioni, misurando l’ampiezza nello stesso modo, tenendo conto che questo potrebbe essere maggiore rispetto a quello attivo.

È ovviamente utile la valutazione della mobilità se viene fatta con un certo criterio e seguendo il ragionamento clinico, in quanto in base alle ipotesi scaturite dall’esame soggettivo il fisioterapista si aspetterà limitazioni diverse: ad esempio se il paziente ha avuto un trauma e ha il ginocchio gonfio è possibile che siano limitate la flessione e l’estensione di diversi gradi, tanto da non arrivare a 0° di estensione, oppure se sospetta un coinvolgimento dei menischi si aspetterà una limitazione negli ultimi gradi di estensione o di flessione sia attive che passive. Se invece il sospetto è un morbo di Osgood-Schlatter è possibile trovare una limitazione funzionale nel movimento attivo data dal dolore, ma il movimento passivo potrebbe essere libero. È importante che il terapista rimanga mentalmente aperto e ragioni durante l’esame obiettivo in quanto è possibile cambiare la propria ipotesi in corsa e orientarsi su altro rispetto a quello che si sospettava all’inizio.

 Test funzionali

Spesso le problematiche dell’articolazione del ginocchio non derivano unicamente dal ginocchio, ma subiscono un’influenza dalle altre articolazioni dell’arto inferiore o dalla schiena, oppure derivano da atteggiamenti sviluppati in seguito a infortuni passati. Per questo motivo è utile inserire all’interno della valutazione del ginocchio alcuni test funzionali che ci facciano capire come il paziente muove il ginocchio e l’intero arto inferiore durante le attività della sua giornata.

In base all’età, a ciò che il paziente riferisce in anamnesi e alle sue richieste lavorative e sportive è possibile inserire diversi test, vediamo un elenco dei principali:

  • Cammino: è possibile osservare il paziente mentre cammina cercando di notare se il passo è simmetrico, se in fase di stance stende il ginocchio e ha eventuali compensi sul piano frontale e se ha la giusta flessione in fase di swing.
  • Squat/alzarsi e sedersi/accovacciarsi: è uno dei primi test attivi che ci fa capire come il paziente carica il ginocchio, possiamo notare la dolorabilità nell’esecuzione del test, la qualità (ginocchio dominante o anca dominante, carico simmetrico o asimmetrico…) e la quantità di ripetizioni che il paziente riesce a eseguire senza dolore. Si può chiedere al paziente anche di accovacciarsi al massimo per vedere se ha problemi in flessione massima o paura nel fare il gesto.
  • Single leg stance: è un altro test utilizzabile spesso, consiste nel chiedere al paziente di rimanere in equilibrio su una gamba e anche qui si possono vedere la dolorabilità, la qualità (deviazioni di tronco, di ginocchio in valgismo o varismo, appoggio dell’altro piede…) e la quantità di secondi in cui il paziente riesce a mantenere la posizione, con gli occhi aperti e con gli occhi chiusi.
  • Salire/scendere da un gradino: spesso i pazienti con dolore al ginocchio riferiscono difficoltà in questi gesti, perciò nel caso li descrivessero durante l’esame soggettivo sarebbe utile vedere l’esecuzione di questo test, per capire in che momento arriva il dolore e la qualità dell’esecuzione (ginocchio/anca dominante, valgismo/varismo…)
  • Affondo: è utile per vedere la capacità del paziente di inginocchiarsi e risollevarsi, tendenzialmente è più difficile dello squat e il paziente a volte ha paura di farlo in caso di dolore, perciò potrebbe essere interessante vederlo insieme. Anche qui possiamo notare l’eventuale dolore del paziente, la qualità del gesto e la quantità di ripetizioni che il paziente riesce a eseguire.
  • Single leg squat: carica il ginocchio maggiormente rispetto allo squat e all’affondo; perciò, è utile se questi sono ben tollerati dal paziente. Solitamente si prende un riferimento e si chiede al paziente di eseguire lo squat fino a toccare il riferimento e tornare su, andando a verificare il dolore, la qualità e la quantità di ripetizioni eseguibili dal paziente.
  • Test di salto: sono test che si utilizzano solo con determinati pazienti, in particolare sportivi, nella cui disciplina praticata è richiesto di correre e saltare. I più comuni test di salto verticale utilizzati sono lo squat jump, il countermovement jump e il drop jump, valutabili con l’apposita strumentazione. Visivamente è comunque possibile osservare differenze nella qualità del movimento. Per la valutazione del salto orizzontale è possibile usare altri test come il Single leg hop test o il Single leg triple hop test. I test di salto verticale in particolare stanno assumendo molta importanza nella riabilitazione per infortuni al ginocchio, in quanto si ritrovano spesso impairment negli atleti al momento del ritorno in campo, in particolare post ACL-R[7].
  • Valutazione della corsa: nel caso in cui stessimo valutando un runner è possibile completare la valutazione con l’analisi della corsa, andando a ricercare differenze tra i due arti e provando a modificarla attraverso dei focus esterni.

Forza muscolare

La forza muscolare è una parte importante della valutazione del ginocchio, in quanto ci permette di trovare squilibri muscolari tra i due arti o all’interno dello stesso arto, che possono portare a dolore o essere un fattore di rischio per determinate patologie. È possibile misurarla in diversi modi:

  • Test muscolare manuale con la scala da 0 a 5: pratico perché non è necessaria nessuna strumentazione.
  • Test muscolare con dinamometro manuale: il terapista deve riuscire a stabilizzare il dinamometro in modo da limitare gli errori di misurazione.
  • Test muscolare con dinamometro a cella di carico: il dinamometro in questo caso viene stabilizzato tramite delle cinghie e questo permette di ridurre gli errori che possono verificarsi con l’utilizzo del dinamometro manuale[8].

Tutti questi 3 tipi di test valutano il picco di forza a un determinato angolo di flessione del ginocchio e si possono integrare con altri test come il test isocinetico o ad alcuni test che valutano la forza resistente di un muscolo o di un gruppo muscolare, chiedendo al soggetto di eseguire il numero massimo di ripetizioni di un determinato esercizio come il single leg squat o il single leg bridge.

La scelta del tipo di test da utilizzare dipende dalla strumentazione che abbiamo a disposizione, dal tipo di paziente che abbiamo davanti e dall’obiettivo, ad esempio se con un paziente anziano il test muscolare con dinamometro manuale può essere sufficiente perché la forza del terapista è superiore a quella del paziente, con un giovane sportivo è probabile che non sia sufficiente e si debba usare un dinamometro stabilizzato tramite una cinghia.

I muscoli che è importante testare sono il quadricipite, gli ischio-crurali, i muscoli dell’anca come abduttori, adduttori, flessori ed estensori e i muscoli della caviglia come il gastrocnemio, il soleo e il tibiale anteriore. Quali testare si decide in base al paziente che abbiamo davanti e alla sua problematica.

In questo articolo vedremo solo la posizione che si utilizza per misurare la forza dei muscoli con azione diretta sul ginocchio, ossia il quadricipite e gli ischio-crurali:

  • Quadricipite femorale: per testare la forza del quadricipite il paziente si posiziona seduto sul lettino, con le gambe a penzoloni e una cinghia che passa anteriormente alla caviglia. Il dinamometro viene legato ad essa e stabilizzato attraverso un’altra cinghia su una superficie rigida. A questo punto si chiede al paziente di spingere contro la cinghia al massimo della potenza come se volesse stendere il ginocchio e si ripete la prova per 3 volte, calcolando la media dei valori trovati.
  • Ischio-crurali: per testare la forza degli ischio-crurali è possibile sia mantenere il paziente nella stessa posizione, girato nel verso opposto in modo che al posto di spingere contro la cinghia per estendere il ginocchio egli spinga in direzione della flessione, oppure è possibile posizionare il paziente prono. Il ginocchio dell’arto da testare è flesso di 15° circa, la cinghia si posiziona posteriormente alla caviglia, e allo stesso modo di prima il dinamometro viene legato ad essa e stabilizzato su una superficie rigida tramite un’altra cinghia. È importante che la direzione delle cinghie sia perpendicolare alla gamba del paziente e sarebbe utile stabilizzare il suo bacino; a questo punto si richiede sempre al paziente di spingere con la massima potenza come se volesse piegare il ginocchio e si ripete la prova per 3 volte, calcolando la media dei valori trovati.

Test speciali

I test speciali sono invece quei test che vengono fatti solo nel caso in cui si sospetta una determinata lesione o una patologia, dividiamo infatti questa sezione sulla base delle possibili problematiche che riguardano il distretto del ginocchio:

Test per valutare il legamento crociato anteriore

la lesione del legamento crociato anteriore si verifica spesso nei pazienti che praticano sport multidirezionali come calcio, rugby, basket e la sua incidenza è in aumento negli ultimi anni. Le donne in particolare hanno un rischio 2 volte maggiore rispetto agli uomini[9]. Il meccanismo tipico lesionale descritto è un atterraggio da un salto o un cambio di direzione rapido, in cui avviene una traslazione anteriore di tibia associata a una componente rotazionale con il ginocchio attorno ai 15-20° di flessione. I test più utilizzati nel caso di sospetta lesione del crociato anteriore sono:

  • Lachman test: è un test molto utile perché è possibile effettuarlo in fase acuta subito dopo il trauma a causa della poca flessione richiesta, inoltre è il test con il più alto valore di sensibilità tra quelli disponibili[10,11]; il paziente è steso supino, con l’arto flesso di circa 30°, il terapista posiziona la mano craniale sulla porzione caudale e laterale del femore e la mano caudale sulla porzione superiore e mediale della tibia, a questo punto, stabilizzando il femore effettua una traslazione anteriore della tibia, comparando il movimento con il lato controlaterale. Il test è positivo se non si sente la sensazione di stop data dal legamento e se la traslazione è maggiore rispetto all’arto controlaterale.
Esecuzione del Lachman Test
  • Test del cassetto anteriore: è un altro test utile in caso di sospetto di lesione del LCA, è meno sensibile del Lachman ma più specifico[12], il paziente dev’essere però in grado di arrivare a circa 90° di flessione[13]. Per l’esecuzione del test paziente è supino, con il ginocchio flesso tra i 70° e i 90°, il terapista rimane seduto sul piede del paziente e posiziona i pollici sulla rima articolare e afferra il ginocchio con le dita lunghe di entrambe le mani nel cavo popliteo, a questo punto effettua una traslazione anteriore della tibia rispetto al femore, e il test è positivo se questa è maggiore rispetto all’arto controlaterale.
Esecuzione del Test del Cassetto Anteriore del ginocchio
  • Pivot shift test: questo è il test più specifico per la lesione al legamento crociato anteriore perché riproduce il meccanismo tipico lesionale, al contrario degli altri però è di più difficile esecuzione in quanto il terapista deve avere una buona dimestichezza per eseguire il movimento e il paziente potrebbe non rimanere rilassato durante l’esecuzione visto che il movimento ricorda molto quello lesionante[11]. Per l’esecuzione di questo test il paziente è disteso supino, il terapista posiziona la mano craniale prossimalmente alla tibia lateralmente, e con la mano caudale afferra il calcagno del paziente in modo da riuscire a sostenere l’arto. A questo punto con la mano craniale imprime una forza in valgo sul ginocchio e con la mano caudale porta la tibia in rotazione interna, poi flette il ginocchio fino a 90° e torna in posizione iniziale. Il test è positivo se attorno ai 20°-30° di flessione compare una rapida sublussazione anteriore, che si riduce raggiungendo i 90°.
Esecuzione del Pivot Shift Test

Test per valutare i menischi

Le lesioni meniscali possono colpire sia pazienti giovani che anziani, in quanto possono essere sia traumatiche che degenerative; riguardano prevalentemente il sesso maschile[14], con un tasso di incidenza circa 2,5 volte superiore rispetto al sesso femminile[15]. In caso di lesione acuta il meccanismo tipico è un rapido cambio di direzione o un contrasto che provoca una torsione forzata del ginocchio, mentre la lesione degenerativa è dovuta a un indebolimento della fibrocartilagine che esita in lesione anche a causa di traumi minori e spesso è associata ad altre problematiche articolari[16]. Tra i due menischi il mediale risulta essere più colpito a causa della sua forma e delle inserzioni legamentose. I test più utilizzati in caso di sospetta lesione meniscale sono:

  • Joint line tenderness: il primo e più semplice test per la valutazione dei menischi è la palpazione della rima articolare. Il paziente è posizionato supino con il ginocchio piegato a circa 90°, il terapista palpa la rima articolare sia medialmente che lateralmente, in corrispondenza dei corni anteriori dei menischi interno ed esterno. Il test è positivo per la riproduzione dei sintomi del paziente.
  • McMurray test: Il McMurray test è una manovra molto apprezzata in letteratura per confermare attraverso l’esame fisico la presenza di un coinvolgimento meniscale nella presentazione clinica dei pazienti grazie ai suoi alti livelli di specificità[17]. Il paziente è posizionato supino con anca flessa a circa 90° e con il ginocchio in completa flessione, tanto che il calcagno dovrà trovarsi il più vicino possibile alla piega glutea omolaterale, il fisioterapista afferra con la mano distale il calcagno del paziente in modo da poter indurre più facilmente i movimenti rotazionali interni ed esterni, aiutandosi anche con l’avambraccio. La mano craniale stabilizza e afferra il ginocchio posizionando le dita a livello delle rime articolari.Per testare il coinvolgimento del menisco mediale il fisioterapista induce una rotazione esterna applicando contemporaneamente uno stress in valgo al ginocchio e mantenendo tali spinte si estende il ginocchio. La manovra viene ripetuta a diversi angoli di flessione del ginocchio. Per testare il menisco esterno, mantenendo la stessa presa il fisioterapista induce una rotazione interna e applica contemporaneamente uno stress in varo, anche in questo caso il fisioterapista estende progressivamente il ginocchio.Il test si considera positivo se durante la rotazione indotta del ginocchio e la successiva estensione si generano click, blocchi articolari o si evoca il dolore familiare del paziente.
Esecuzione del Test di McMurray
  • Apley test: Test utile nella pratica clinica, da associare sempre ad altre manovre dotate di valori di accuratezza maggiori e ben definiti. Il paziente è posizionato prono con il ginocchio da testare flesso a 90°, il fisioterapista posto al lato dell’arto da esaminare pone entrambe le mani sul calcagno del paziente. Il test si compone di due fasi, una in cui attraverso la mano distale posta sul dorso della caviglia e quella craniale nel cavo popliteo il fisioterapista effettua una distrazione attraverso la trazione della tibia e una seconda in cui con la presa sul calcagno si imprime una spinta assiale accompagnata da una rotazione esterna e interna della tibia[18]. Il test si considera positivo se la fase di compressione assiale è più dolorosa di quella in cui si traziona la tibia.
Esecuzione dell’Apley Test
  • Thessaly test: il Thessaly test viene oggi considerato uno dei test principali quando si sospetta il coinvolgimento meniscale nella presentazione clinica dei pazienti[19], poiché è l’unico in cui chiediamo al paziente un gesto funzionale in carico. Meccanicamente, il test si prefigge di riprodurre in modo dinamico la trasmissione del carico nell’articolazione del ginocchio, provocando la compressione e la trazione della porzione esterna dei menischi, elicitando così la sintomatologia dei pazienti affetti da lesioni meniscali[20]. Il paziente si trova in piedi davanti all’esaminatore con l’arto da testare in carico, il ginocchio flesso a 20° e l’arto controlaterale sollevato. Il fisioterapista, posto di fronte al paziente, afferra le sue mani con le braccia tese, a questo punto si chiede al paziente di ruotare con il tronco e con il ginocchio tre volte da ciascun lato, medialmente e lateralmente, mantenendo il carico monopodalico, mentre il fisioterapista accompagna il movimento sostenendo le mani del paziente e muovendosi verso il lato dello spostamento (mediale o laterale). Il test si considera positivo se provoca la sintomatologia dolorosa del paziente a livello delle rime articolari o se durante la manovra compaiono sensazioni familiari di blocco articolare o cedimento descritte dal paziente in fase anamnestica.
Esecuzione del Thessaly Test

Test per la valutazione dei legamenti collaterali

i legamenti collaterali spesso si lesionano durante gli infortuni al ginocchio e sono coinvolti nelle lesioni multi-legamentose, in particolare il legamento collaterale mediale è il secondo più frequentemente lesionato dopo il crociato anteriore, il meccanismo tipico di lesione è l’applicazione di una forza in valgo, abbinata a una rotazione interna e a una leggera flessione di ginocchio[21]; il collaterale laterale invece si lesiona quando il ginocchio è in estensione e viene applicata una forza in varo[22].

  • Valgus test: è il test utile per valutare l’integrità del legamento collaterale mediale. Il paziente è disteso supino con l’arto esteso e il ginocchio a 0° di flessione, il terapista afferra la gamba del paziente con la mano caudale, posizionandola sotto il ginocchio e medialmente, con le dita lunghe che arrivano a livello della rima articolare mediale, e sostenendo la gamba con tutto l’avambraccio, tenendo la caviglia del paziente a contatto con il proprio gomito. La mano craniale invece si posiziona lateralmente al ginocchio e imprime una forza in valgo. La stessa procedura si ripete poi a 20-30° di flessione del ginocchio, il test è positivo se con la mano caudale si sente che lo spazio articolare mediale aumenta in maniera diversa dal controlaterale, di solito maggiore a 20-30° rispetto che a 0°[23], inoltre, nel caso di lesione legamentosa è probabile che questo test evochi dolore.
Esecuzione del Valgus Stress Test
  • Varus test: è il test utile per valutare l’integrità del legamento collaterale laterale, la procedura è simile al varus test ma opposta, la mano caudale che sostiene la gamba blocca la tibia esternamente e le dita lunghe arrivano sulla rima articolare laterale, la mano craniale spinge in direzione del varismo sia a 0° che a 30° e il test è positivo se lo spazio articolare è aumentato rispetto al controlaterale, inoltre anche questo test può provocare dolore in zona del legamento collaterale laterale in caso di lesione.
Esecuzione del Varus Stress Test

Test per la valutazione del legamento crociato posteriore

Le lesioni al legamento crociato posteriore sono più rare rispetto a quelle dell’anteriore, le situazioni in cui si lesiona più frequentemente sono incidenti stradali e traumi sportivi[24]. I test più usati in questo caso sono:  

  • Test del cassetto posteriore: il test più comunemente utilizzato è il cassetto posteriore, la cui posizione di partenza del paziente è uguale a quella del test del cassetto anteriore, ma il terapista posiziona i palmi delle mani anteriormente sulla tibia, con i pollici sempre a livello della rima articolare del ginocchio. A questo punto il terapista imprime una forza diretta posteriormente e con i pollici apprezza lo scivolamento posteriore della tibia rispetto al femore. Il test è positivo se questo è maggiore rispetto al controlaterale.
Esecuzione del Test del Cassetto Posteriore
  • Posterior sag sign: questo test è più utile in caso di lesioni croniche del crociato posteriore, che sono abbastanza frequenti in quanto in passato spesso è stata scelta la via conservativa per il trattamento di questo infortunio. La posizione del paziente è uguale a quella del cassetto posteriore, il terapista si posiziona di fianco e osserva le due ginocchia del paziente, è possibile notare a volte uno scivolamento posteriore della tibia rispetto all’arto controlaterale, e questo ci fa capire che il crociato posteriore è lesionato.
  • Quadriceps activation test: anche questo test si usa spesso in caso di lesioni croniche del crociato posteriore, e completa il posterior sag sign, in quanto si richiede al paziente di attivare il quadricipite e a quel punto il terapista posizionato di fianco può notare un avanzamento della posizione della tibia rispetto al femore, il che significherebbe che essa parte da una posizione più posteriore, tipica della lesione al crociato posteriore.
    1. Guermazi, A., Niu, J., Hayashi, D., Roemer, F. W., Englund, M., Neogi, T., Aliabadi, P., McLennan, C. E., & Felson, D. T. (2012). Prevalence of abnormalities in knees detected by MRI in adults without knee osteoarthritis: Population based observational study (Framingham Osteoarthritis Study). BMJ, 345(aug29 1), e5339–e5339. https://doi.org/10.1136/bmj.e5339
    2. Grelsamer, R. P., Dubey, A., & Weinstein, C. H. (2005). Men and women have similar Q angles: A CLINICAL AND TRIGONOMETRIC EVALUATION. The Journal of Bone and Joint Surgery. British Volume, 87-B(11), 1498–1501. https://doi.org/10.1302/0301-620X.87B11.16485
    3. Neal, B. S., Lack, S. D., Lankhorst, N. E., Raye, A., Morrissey, D., & Van Middelkoop, M. (2019). Risk factors for patellofemoral pain: A systematic review and meta-analysis. British Journal of Sports Medicine, 53(5), 270–281. https://doi.org/10.1136/bjsports-2017-098890
    4. Maricar, N., Callaghan, M. J., Parkes, M. J., Felson, D. T., & O׳Neill, T. W. (2016). Clinical assessment of effusion in knee osteoarthritis—A systematic review. Seminars in Arthritis and Rheumatism, 45(5), 556–563. https://doi.org/10.1016/j.semarthrit.2015.10.004
    5. Konan, S., Zang, T., Tamimi, N., & Haddad, F. (2013). Can the Ottawa and Pittsburgh rules reduce requests for radiography in patients referred to acute knee clinics? The Annals of The Royal College of Surgeons of England, 95(3), 188–191. https://doi.org/10.1308/003588413X13511609954699
    6. Lowery, D. J., Farley, T. D., Wing, D. W., Sterett, W. I., & Steadman, J. R. (2006). A Clinical Composite Score Accurately Detects Meniscal Pathology. Arthroscopy: The Journal of Arthroscopic & Related Surgery, 22(11), 1174–1179. https://doi.org/10.1016/j.arthro.2006.06.014
    7. Kotsifaki, A., Van Rossom, S., Whiteley, R., Korakakis, V., Bahr, R., Sideris, V., & Jonkers, I. (2022). Single leg vertical jump performance identifies knee function deficits at return to sport after ACL reconstruction in male athletes. British Journal of Sports Medicine, 56(9), 490–498. https://doi.org/10.1136/bjsports-2021-104692
    8. Garcia, D., De Sousa Neto, I. V., De Souza Monteiro, Y., Magalhães, D. P., Ferreira, G. M. L., Grisa, R., Prestes, J., Rosa, B. V., Abrahin, O., Martins, T. M., Vidal, S. E., De Moura Andrade, R., Celes, R. S., Rolnick, N., & Da Cunha Nascimento, D. (2023). Reliability and Validity of a Portable Traction Dynamometer in Knee-Strength Extension Tests: An Isometric Strength Assessment in Recreationally Active Men. Healthcare, 11(10), 1466. https://doi.org/10.3390/healthcare11101466
    9. Beynnon, B. D., Vacek, P. M., Newell, M. K., Tourville, T. W., Smith, H. C., Shultz, S. J., Slauterbeck, J. R., & Johnson, R. J. (2014). The Effects of Level of Competition, Sport, and Sex on the Incidence of First-Time Noncontact Anterior Cruciate Ligament Injury. The American Journal of Sports Medicine, 42(8), 1806–1812. https://doi.org/10.1177/0363546514540862
    10. Sokal, P. A., Norris, R., Maddox, T. W., & Oldershaw, R. A. (2022). The diagnostic accuracy of clinical tests for anterior cruciate ligament tears are comparable but the Lachman test has been previously overestimated: A systematic review and meta-analysis. Knee Surgery, Sports Traumatology, Arthroscopy, 30(10), 3287–3303. https://doi.org/10.1007/s00167-022-06898-4
    11. Tanaka, S., Inoue, Y., Masuda, Y., Tian, H., Jung, H., & Tanaka, R. (2022). Diagnostic Accuracy of Physical Examination Tests for Suspected Acute Anterior Cruciate Ligament Injury: A Systematic Review and Meta-Analysis. International Journal of Sports Physical Therapy, 17(5). https://doi.org/10.26603/001c.36434
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