Pain science: l’esperienza vissuta con un contorno di biologia

Indice dell’articolo: Incollati alla biologia?Guardare il dolore attraverso una lente bio-psico-socialeFattori biopsicosocialiLa tesi del sistema di allarme è basata sull’evoluzioneQuali…

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Articolo tradotto ed adattato in italiano da “PAIN SCIENCE – A MAIN SERVING OF LIVED EXPERIENCE AND A SIDE OF BIOLOGY PLEASE” di Ben Cormack.


Quando se ne parla, tutta l’attenzione è rivolta alla scienza del dolore o ‘pain science’ e questi commenti sui social ce lo dimostrano.

The truth about pain science, exercise and movement

The REAL Truth About Pain Science and Body Mechanics: A Response to Criticism

(il secondo è migliore, Todd Hargrove è un bravo scrittore)

Vorrei sottolineare che non sono affatto un ricercatore del dolore ma solo un umile blogger e clinico: qualcuno dirà che questo rende le mie opinioni meno valide e mi sta bene, quindi siete siete avvertiti!

Prima di addentrarci nell’argomento vorrei fare 2 precisazioni:

In primo luogo va sottolineata l’importanza di capire di più il dolore sia da un punto di vista clinico che da quello del paziente. Quest’ambito può essere di grande valore per tutti ma è ancora in evoluzione ed ha molto di più da dire rispetto ad altre voci che restano, però, al momento dominanti.

In secondo luogo, il dolore è visto talvolta come “un’area speciale di interesse”. Se qualcuno lavora con chi ha dolore e non ha ricevuto un’educazione sulle attuali conoscenze in merito al dolore o almeno le nozioni principali, è come essere uno chef che non conosce gli ingredienti con cui lavora! La scienza del dolore è di fondamentale importanza ed i fisioterapisti e tutti coloro che lavorano con chi ha dolore dovrebbero essere aggiornati a riguardo.


Incollati alla biologia?

Il termine ‘biopsicosociale’ viene citato ovunque in sanità e, secondo la mia opinione, non c’è cosa migliore di quando la prospettiva BPS incontra la nostra conoscenza del dolore. Potrebbe sembrare strano ma la visione ed i messaggi correnti della scienza del dolore per molti aspetti non vanno oltre il biologico. Vorrei dire semplicemente che il succo di questo testo non è quello di tralasciare la visione biologica ma di considerare che questa potrebbe non essere sufficiente per capire realmente il dolore e le sue implicazioni sulle vite delle persone. Ci sono dei clinici che stanno già sostenendo questa teoria combinandone entrambi gli aspetti.

La maggioranza delle informazioni e degli slogan che abbiamo sul dolore si focalizzano sulla biologia e sull’anatomia e l’educazione si fonda principalmente su questi elementi. Sebbene probabilmente l’intenzione di questo messaggio biologico è quella di avere un effetto che vada oltre la sola biologia e che agisca sul comportamento delle persone, quest’ultimo aspetto viene trascurato. Il messaggio più importante che deve passare è che: il dolore non significa danno. Quindi la sensazione, la sua intensità o severità o comunque tu la voglia descrivere non ha una relazione isomorfa (fantasioso modo per dire relazione 1:1) con il danno tissutale. Per molti questo è stato un messaggio informativo e responsabilizzante ma per altri potrebbe non coincidere con la loro esperienza del dolore.

Se pensiamo alle parole usate quando si parla di dolore come allarme, nervi, cervello, sensori, nocicezione questi sono molto più correlati alla biologia, al processo stimolo risposta o comunque alla sensazione di dolore. Si potrebbe dire che l’informazione sembra essere di primaria importanza rispetto alla persona che la percepisce.

Il dolore non ha soltanto un aspetto sensoriale-discriminativo ma anche uno affettivo-motivazionale che può essere ugualmente, e per alcuni anche più, problematico.
L’esperienza vissuta è molto di più che una sensazione che percepiamo.

Qui ci sono due papers interessanti che discutono le diverse prospettive del dolore:

THE SENSORY-DISCRIMINATIVE AND AFFECTIVE-MOTIVATIONAL ASPECTS OF PAIN

PAIN AS METAPHOR: METAPHOR AND MEDICINE

Potrei essere accusato di complicare tutto quanto tuttavia, mentre ci sono semplici messaggi che possono avere un impatto positivo, ci sono anche dei casi in cui la semplificazione eccessiva ha portato a mettere in discussione punti cruciali come le vie del dolore e i ricettori del dolore.

Quindi pensare al dolore solo come una sensazione oppure un allarme diventa incompleto quando usciamo dal punto di vista biologico e ci muoviamo nel mondo psicologico e sociale. Forse è una semplificazione di un problema multi dimensionale complesso? Probabilmente non può essere concettualizzato in una sola frase come “il dolore è protezione” o “il dolore è un allarme”. Poiché non possiamo escludere l’aspetto biologico dell’esperienza dolorosa, la domanda è: la spiegazione e la prospettiva biologica sono sufficienti per spiegare in modo esaustivo che impatto ha il dolore sulle nostre vite? Io personalmente non credo.
Sembriamo molto bravi a parlare di sensazione, come arriva e il processo biologico implicato ma forse non siamo così esperti ad esplorare e spiegare come questa sensazione influisca sulle nostre vite, sulle emozioni, le motivazioni e sull’esperienza individuale di ciascun individuo che dovremmo considerare come l’impatto psicologico e sociale più importante.


Guardare il dolore attraverso una lente bio-psico-sociale

Penso che conoscere l’impatto dell’esperienza individuale sugli aspetti psicologici e sociali possa modificare profondamente la conoscenza del dolore sia da una prospettiva clinica che dal punto di vista del paziente. La disabilità e la sofferenza potrebbero essere descritte come aspetti sociali dell’esperienza dolorosa piuttosto che una parte del “sistema di allarme” biologico. Uno dei messaggi chiave della pain science è che il dolore è normale e si può presentare spesso. Ma cosa differenzia quelli che non sviluppano un dolore persistente o che riescono a vivere bene anche con un dolore cronico da quelli in cui invece il dolore ha un impatto negativo? Sembra che chi ha più dolore non provi un aumento di intensità della sensazione dolorosa ma piuttosto questo sembra dipendere da quanto il dolore influisce sulla vita quotidiana, sull’abilità di lavorare, interagire socialmente ed integrarsi nella società in modo positivo. Ovviamente l’interpretazione della sensazione dolorosa è una parte di tutto ciò ma non è l’unico fattore. Il dolore può avere più significati e non solo quello di ‘danno’. Conoscerne il significato e dare le relative informazioni può essere la chiave per risolvere il problema. Questo combacia con la visione BPS più ampia di Engels in cui gli aspetti biologici sono al centro ma hanno molte ramificazioni fino ad arrivare all’aspetto sociale.


Fattori biopsicosociali

Forse noi utilizziamo i fattori BPS, il sonno, lo stress, le credenze, ecc. più per spiegare l’aumento o la diminuzione della sensazione dolorosa che come fattori contribuenti al dolore. L’idea che la sensazione dolorosa sia la preoccupazione principale per i pazienti è già stato spiegato, così come la disabilità che sembra essere più importante dell’intensità del dolore.

FACTORS DEFINING CARE-SEEKING IN LOW BACK PAIN – A META-ANALYSIS OF POPULATION BASED SURVEYS

I fattori psicosociali possono essere spesso studiati in relazione alla “sensibilità dolorifica” oppure alla “tolleranza”. L’aumento o la diminuzione in risposta ad uno stimolo prolungato o doloroso può essere discussa in relazione alla sensazione o ad un aumento della “sensibilità”. Il focus sembra essere più sull’effetto di questi fattori sul dolore piuttosto che sull’effetto di questi fattori sulla persona e sulla sua qualità di vita. Non dovremmo indagarli entrambi?

Prendiamo il sonno come esempio.

Il sonno ha una relazione bi-direzionale con il dolore e non è chiaro quale sia l’uovo e quale sia la gallina. Un sonno di scarsa qualità può influire sul lavoro, sull’interazione sociale e sulla qualità di vita e possiamo focalizzarci su questo aspetto per spiegare la percezione del dolore ma anche la sua azione come modulatore della percezione di dolore.

Abbiamo anche appreso che ‘il dolore ci dice che qualcosa non va, solo che non sappiamo cosa’ facendo riferimento al concetto di stressor o carico allostatico.

Quindi mentre spesso si descrive il dolore come inadeguato nel segnalare un danno tissutale, questo può essere più veritiero nel segnalare i fattori associati al dolore. Anche se non sembra, può dirci esattamente a cosa dare la colpa per il dolore percepito.

Sarò sincero: ho faticato a comprendere questo concetto ed ho appena realizzato che ad un certo punto mi si è fuso il cervello.

In un certo senso potremmo vedere l’allarme come qualcosa a cui non fare troppo caso, come ad esempio l’idea del time-contingent rispetto al pain-contingent con l’esercizio. Quando invece il dolore riflette uno stressor psicosociale, dovremmo considerarlo molto di più.

Potrebbe essere (e probabilmente è così) che i fattori Psico-Sociali siano isomorfi con il dolore come lo è il danno tissutale e che la nostra esperienza dolorosa allo stesso stressor rimanga individuale. Questa però è senz’altro una visione centralizzata sulla sensazione dolorosa ed è esattamente quello contro cui sto discutendo in questo articolo.

Abbiamo anche parlato in generale della biologia. Essenzialmente è uguale per tutti, ma i processi biologici si traducono sempre nella stessa esperienza dolorosa? Io personalmente non credo. È passare dalla biologia all’esperienza vissuta che potrebbe rivelarsi complicato. La domanda scottante è quanto la biologia influisca e quanto ci aiuti focalizzarci sulla biologia. Ovviamente la risposta potrebbe dimostrarsi controversa ma anche generica.


La tesi del sistema di allarme è basata sull’evoluzione

Una delle tesi a favore della visione attuale del dolore è basata su una prospettiva evoluzionistica: l’idea che il dolore sia un allarme o una protezione, lo rendono necessario per la sopravvivenza.
Quando guardiamo il dolore da una prospettiva BPS, forse l’idea di protezione non calza così bene come quando lo guardiamo da un punto di vista evoluzionistico.
Al livello più basilare, la nocicezione può essere concettualizzata come un allarme: la rete ad alta soglia di attivazione si può ben presentare come tale. Tuttavia noi sappiamo che la nocicezione non corrisponde esattamente al dolore. Il dolore può essere la risultante di un’ulteriore elaborazione del sistema di allarme o forse può derivare dalla mancanza dell’elaborazione stessa. Quindi forse il dolore è la nostra reazione al segnale di allarme?? Ma questa è una digressione.

Questa concettualizzazione del dolore forse si focalizza troppo poco sull’impatto del dolore ad un livello più ampio. Mentre c’è un sacco di ricerca sul dominio psicologico e qualcosa in quello sociale, non penso che si sia fatta strada con il messaggio del dolore che viene discusso ed utilizzato con i pazienti. Una visione multidirezionale del dolore non considera solo il ruolo della biologia ma anche l’impatto più ampio del dolore sullo spettro BPS e viceversa.

La concettualizzazione dell’allarme non descrive esattamente come il dolore abbia effetto sulla persona, sulla sua psiche e gli effetti sociali che ne derivano. Si possono spiegare la disabilità, la sofferenza e altri impatti del dolore sulla nostra funzione psicologica e sociale con la singola figura dell’allarme?

Forse la nostra biologia non ha tenuto il passo con i cambiamenti del nostro ambiente psicologico e sociale? Il semplice sistema d’allarme non si è adattato al significato che gli diamo, alle nostre emozioni e alle ramificazioni che ha sul nostro ruolo nella società?


Quali sono le direzioni future?

Ora, secondo me, l’approccio dominante attuale della pain science education si focalizza sull’aspetto biologico e lentamente si sta facendo strada verso l’aspetto psicologico e sociale.
Forse dovremmo iniziare a focalizzarci in generale sugli effetti del dolore sulla vita quotidiana e poi addentrarci nella biologia se necessario?
Dovremmo prima costruire dei rapporti, capire le persone e le loro condizioni prima di spiegarle.
Possiamo parlare di dolore con le persone e per alcuni questo fa la differenza, tuttavia non per tutti funziona e, come per tutti gli interventi, avremo degli effetti individuali.
Forse non c’è un modo universale per spiegare il dolore? Non c’è una diapositiva o una singola spiegazione corretta per ogni esperienza dolorosa.
Quello che è importante è rendere la spiegazione rilevante per la persona con cui stai lavorando: aiutare le persone a capire la loro esperienza dolorosa e il loro dolore lo rendono più rilevante.

Non dobbiamo dare solo informazioni alle persone aspettandoci che le loro abitudini cambino: definiamo quali cambiamenti sono necessari e utilizziamo informazioni specifiche approcciandoci a ciascuna esperienza per cambiare uno specifico comportamento, poi monitoriamo se è stato efficace.