Morbo di Haglund

Ecco una guida per il fisioterapista sulla valutazione e gestione del Morbo di Haglund.

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La superficie posteriore del calcagno è divisa in tre parti: superiore, media e inferiore. La parte superiore si trova sopra la borsa retrocalcaneare. È una superficie di forma triangolare liscia. La parte media ha una superficie ruvida: qui si trova la borsa retro calcaneare e si inserisce il tendine d’Achille. La parte inferiore è, invece, la parte preposta a sostenere il peso [4]. La deformità di Haglund è un’esostosi retrocalcaneare: una protuberanza ossea della parte posterosuperiore dell’osso del calcagno descritta da Patrick Haglund per la prima volta nel 1927-1928. È anche comunemente nota nel mondo anglosassone col termine “pump-bump”[1, 2, 3, 4].

La deformità di Haglund può causare dolore sulla superficie superoposteriore del calcagno. Infatti, quando la deformità causa la compressione dei tessuti molli nella parte posteriore del tallone, ad esempio a causa dello sfregamento contro delle scarpe rigide, questi possono irritarsi producendo un dolore tipico che si accentua dopo il riposo.

Questa condizione dolente prende il nome di Sindrome di Haglund ed è nota per essere il risultato della combinazione di tre patologie: la borsite retrocalcaneare, la tendinite inserzionale achillea (IAT) e la già descritta prominenza ossea di Haglund o “pump-bumb” [1, 2, 3, 4, 5].

È la seconda causa più comune di dolore al tallone posteriore negli atleti professionisti e amatoriali. Questa deformità si riscontra sia in uomini che in donne ed è prevalente nella popolazione di età compresa tra 20 e 30 anni. Spesso bilaterale, si riscontra sia tra gli atleti professionisti che tra gli amatori. Un paziente su quattro con tendinopatia inserzionale di Achille presenta anche la deformità di Haglund [4].

Distinguere la sindrome di Haglund da altre cause di dolore al tallone non è banale. Questa condizione può imitare infatti altre cause di dolore al piede come la sola borsite retrocalcaneare, la sola IAT, la fascite plantare o la spondiloartropatia. È dunque essenziale distinguere le cause focali da quelle sistemiche di dolore al tallone [1, 2, 4].

La diagnostica per immagini, con radiografie, risonanza magnetica ed ecografia, gioca un ruolo importante nella diagnosi della sindrome di Haglund [2, 4].

La terapia conservativa è la prima scelta nel trattamento. La seconda scelta diventa la chirurgia se i sintomi non migliorano entro sei mesi dall’inizio del trattamento conservativo [4].

Tipologia di paziente

Quando un paziente con deformità e sindrome di Haglund si presenta nel nostro studio probabilmente ci troveremo di fronte a un quadro così costituito:

  • In primo luogo questa condizione può essere monolaterale o bilaterale [1]. E’ quindi bene controllare entrambi i talloni se sospettiamo questa condizione.
  • Un “gonfiore” è visibile e palpabile nella parte postero-superiore del calcagno. Tale protuberanza deriva dalla effettiva deformazione prominente dell’osso[2, 4].

Inoltre, in questi pazienti, tutti i tipici segni di infiammazione possono manifestarsi [1, 2, 4]:

  • Calore nella parte postero-superiore calcagno [1, 2].
  • Rossore [1, 2] o eritema [4].
  • Edema intorno al tendine d’Achille [1, 2, 4] e, talvolta, potrebbe essere ispessito alla palpazione il tendine stesso[4].
  • Presenza di una limitata funzionalità del piede con limitata ampiezza del movimento della caviglia [2], flessione plantare deficitaria e zoppia [1, 4].
  • Dolore localizzato nella regione retrocalcaneare (o lievemente più lateralizzato se anche la protuberanza ossea si trova in posizione più laterale) esacerbabile attraverso la palpazione dell’inserzione del tendine d’Achille o attraverso la dorsiflessione passiva della caviglia [2, 3, 4].

Il dolore al tallone posteriore è, di fatto, la caratteristica di presentazione per la maggior parte dei pazienti ed è riportato come più vivo quando il paziente inizia a camminare dopo un periodo di riposo. Alcune attività fisiche come salire le scale, correre o camminare su superfici irregolari possono rendere più vivo il dolore al paziente poiché lo stimolo massimo si raggiunge durante l’appoggio del tallone al suolo in posizione di massima dorsiflessione. Il dolore potrebbe inoltre essere provocato dall’uso di scarpe con tallone stretto per la loro maggiore pressione meccanica sul tendine d’Achille, sulla borsa retro calcaneare ed, in definitiva, sulla deformità di Haglund stessa. Al contrario, un miglioramento della sintomatologia dolorosa può avvenire grazie all’utilizzo di scarpe con il tallone aperto o dal cammino a piedi nudi vista l’assenza di pressione sul calcagno[1, 2, 3, 4].

Patofisiologia

La patogenesi specifica è sconosciuta, ma la sindrome di Haglund è per lo più riconosciuta come una malattia idiopatica [1, 4].

Vi è l’ipotesi che, questa condizione, sia correlata ad una infiammazione da stress meccanico ripetuto sulla cartilagine di accrescimento del calcagno durante il periodo dell’infanzia. L’esostosi agisce poi come un punto irritativo provocando pressione ripetuta sulla borsa retrocalcaneare e sull’inserzione del tendine di Achille [4].

L’impingement ripetuto della borsa retrocalcaneare tra il tendine d’Achille e la prominenza calcaneare può dunque causare la borsite che con la tendinopatia del tendine d’Achille, per il quale la deformità ossea è fattore meccanico predisponente, va a costituire la triade della sindrome di Haglund [3, 4].

Altre cause possibili che sono state suggerite sono: il tendine d’Achille eccessivamente contratto, l’arco plantare accentuato e l’ereditarietà [1].

Al netto della patofisiologia, diversi fattori contribuenti sono stati suggeriti: eccessivo allenamento nei runner, scarpe strette o inadatte, biomeccanica del piede alterata (con particolare riferimento al posizionamento della articolazione sottoastragalica)[1].

Diagnosi differenziale

Il gonfiore al tallone rilevato clinicamente non è tuttavia elemento diagnostico sufficiente per la sindrome di Haglund in quanto può essere indicativo di altre patologie come [2]:

  • Artropatie di natura sistemica [2].
  • Artrite reumatoide [2]
  • Sindrome di Reiter [2]

Il rilevamento della localizzazione della dolorabilità può però aiutare fortemente a differenziare questa sindrome da condizioni che ne imitano la sintomatologia [1]:

  • Nella borsite calcaneare isolata la dolorabilità è per lo più palpabile intorno al tendine d’Achille, sui lati mediale o laterale oppure al davanti dello stesso [1, 4].
  • Nella tendinopatia inserzionale achillea la dolorabilità è presente nella parte più distale dell’inserzione del tendine, sul calcagno [1].
  • Nella fascite plantare il dolore e la aumentata sensibilità si manifestano più comunemente e fortemente sulla pianta del piede [1].
  • L’avulsione del tendine calcaneare è invece sostanzialmente rilevabile attraverso la positività del test di Thompson [1].

Elementi anamnestici

Durante l’intervista col nostro paziente e la sua osservazione sarà possibile raccogliere un quadro che probabilmente presenterà queste caratteristiche:

  • La mezza età è l’età più comune in cui viene riscontrata la patologia [1, 2].
  • Le femmine sono più colpite dei maschi [1, 2].
  • La condizione è spesso bilaterale [1, 2].
  • Eventuale anamnesi positiva o familiarità per condizioni reumatologiche come gotta, artrite reumatoide o spondiloartropatie [1].
  • Uso ripetuto di scarpe strette (soprattutto nella parte del tallone) [4].
  • Uso ripetuto di scarpe con tacchi alti [4].
  • Piede cavo [4].
  • Tendine d’Achille particolarmente teso, corto o contatto [4].
  • Ereditarietà della patologia [4].
  • Podisti con intensi allenamenti [4].
  • Alterazioni della biomeccanica del piede (con particolare riferimento al disallineato della articolazione sottoastragalica) [4].

Esame obiettivo e valutazione

La diagnosi richiede:

  • Una anamnesi completa [4].
  • Una valutazione clinica: la dolorabilità può essere provocata dalla dorsi flessione passiva della caviglia, dalla palpazione lungo il tendine d’Achille e lateralmente ad esso, dalla palpazione diretta del bordo posterosuperiore del calcagno [1, 3, 4].
  • L’imaging (radiografia, ecografia e risonanza magnetica) è di grande valore per la diagnosi della sindrome di Haglund. La diagnostica per immagini oltre a la diagnosi può facilitare la pianificazione preoperatoria [2, 4].

La diagnosi radiografica della sindrome di Haglund è caratterizzata dalla presenza di una specifica protuberanza ossea calcaneare con borsite, tendinite achillea con eventuale degenerazione o rottura ed edema dei tessuti molli adiacenti: in una radiografia standard in posizione eretta laterale la deformità di Haglund è apprezzabile  nella parte posterosuperiore dell’osso calcaneare. In questi pazienti possono poi essere evidenti l’aumento della densità e della dimensione delle borse peri-achillee. Simili reperti possono essere associati anche a formazioni ossee eterotopica a livello dell’inserzione del tendine di Achille e all’interno del tendine stesso. In generale sono sufficienti delle radiografie laterali della caviglia per riscontrare la deformità di Haglund[ 1, 2].

Diverse angolazioni nella radiografia laterale del tallone possono essere valutate per la diagnosi ed alcuni metodi di valutazione radiografica sono stati proposti fin da quando la deformità di Haglund fu descritta per la prima volta nel 1928.

Tra questi, la misurazione delle linee parallele di Heneghan-Pavlov sulle radiografie laterali della caviglia sono comunemente utilizzate per determinare il grado di prominenza della deformita di Haglund. Due linee corrono parallele. La prima linea attraversa la superficie plantare del calcagno e la seconda, parallela alla prima, attraversa il bordo posteriore della superficie articolare astragalo-calcaneare. Questa misurazione pone diagnosi se la linea parallela superiore viene attraversata dalla grande tuberosità calcaneare.[2, 3, 4].

L’ecografia offre una diagnostica per immagini più rapida e portatile rispetto ad altre forme di imaging. Nella sindrome di Haglund può essere utile nel mostrare velocemente alterazioni infiammatorie del sottocute e nel differenziare la borsite retrocalcaneare (liquido ipoecogeno all’interno della borsa retrocalcaneare) dalla tendinopatia achillea rendendo visibili eventuali calcificazioni all’interno del tendine d’Achille o degenerazioni del tendine stesso [3, 4].

La RM consente la visione dei tessuti molli e immagini multiplanari. Non è una diagnostica invasiva e può rendere chiaramente visibile la forma e il segnale del calcagno, del tendine di Achille e delle strutture circostanti. Questo strumento può dunque essere utile per la diagnosi e per la pianificazione prechirurgica.

Relativamente alla deformità di Haglund, la RM mostra la compressione tra lo sperone calcaneare e il tendine d’Achille ed è in grado di differenziare bene la borsa retrocalcaneare infiammata dal tendine d’Achille circostante.

Si riscontra generalmente un aumento della densità dei tessuti molli a livello dell’inserzione del tendine di Achille per edema. La borsa retrocalcaneare può essere descritta come patologica quando le sue dimensioni superano i 6mm superiormente o inferiormente, i 3mm trasversalmente e i 2 mm sull’asse anteroposteriore. La regione di inserzione del tendine di Achille mostra ispessimento e può essere lesionata. La combinazione dei risultati dell’esame di cui sopra supportano la diagnosi di sindrome di Haglund.

Gli svantaggi di questa procedura sono però il costo elevato e la scarsa disponibilità di apparecchiature per la RM in ospedale [2, 4].

Trattamento

Gli obiettivi del trattamento della deformità di Haglund sono alleviare l’infiammazione, diminuire l’attrito causato dalla deformità e ridurre la tensione sul tendine d’Achille mediante trattamento conservativo e/o chirurgico. Il trattamento di prima linea è la terapia conservativa per ridurre la pressione sull’esostosi. Il secondo intervento è la chirurgia per rimuovere l’ esostosi con o senza debridement della borsa retrocalcaneare infiammata e/o del tendine con tendinopatia achillea [4].

Il trattamento conservativo della Sindrome di Haglund si basa fondamentalmente su:

  • Valutazione ed eventuale modifica delle calzature del paziente attraverso: modifica dell’altezza del tallone nelle calzature, applicazione di cuscinetti o rialzi per il tallone soprattutto in caso di piede cavo, abbandono delle scarpe di scarpe strette o di scarpe con contrafforte rigido, utilizzo di sandali[1, 3, 4, 5].
  • Eventuale utilizzo di ortesi [1, 5].
  • La fisioterapia è incentrata su modifica delle attività e degli allenamenti, esercizi specifici di allungamento e di rinforzo del gastrocnemio e del soleo. Inoltre vi è ancora un largo impiego di terapie fisiche quali l’elettroterapia, le onde d’urto e la crioterapia[1, 2, 3, 4, 5].

A livello farmacologico gli interventi sono:

  • Farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) orali o topici[1, 2, 3, 4, 5].
  • Iniezioni locali di steroidi attorno al tendine d’Achille (sebbene si debba valutare l’opzione sul singolo caso per la presenza di rischio di rottura del tendine) [1, 3, 4].

In generale il trattamento conservativo è decretato inefficace dopo almeno 6 mesi di intervento, dopo l’approccio conservativo può essere presa in considerazione l’’escissione chirurgica delle esostosi ossea del calcagno [1, 2, 3, 4, 5].

L’obiettivo dell’intervento chirurgico per la deformità di Haglund è rimuovere la prominenza ossea sul lato postero-superiore calcagno o comunque alleviare la pressione sui tessuti circostanti attraverso una osteotomia. Inoltre si rimuove la borsa e si procede a debridement del tendine d’Achille quando queste strutture risultano anatomicamente patologiche[1, 3, 4].

Per i pazienti che desiderano tornare a una specifica attività fisica, può essere raccomandato l’intervento chirurgico seguito da carico postoperatorio precoce e riabilitazione funzionale, in modo da accelerare la formazione di nuovo tendine e ottenere risultati funzionali superiori [5].

La resezione a ferita aperta dell’esostosi ha più di un approccio: approccio laterale, mediano o mediale [4]. Altra tecnica operatoria da considerare è la osteotomia di Zadek che, accorciando il calcagno e modificando l’orientamento del tendine d’Achille, riduce l’impingement tra tendine d’Achille e calcagn o[5]. L’osteotomia di Zadek alla luce delle nuove tecniche di chirurgia mininvasiva può essere completata anche per via percutanea. La scelta percutanea viene solitamente presa con l’intenzione di ridurre i rischi di complicazioni comunemente osservati nelle operazioni a ferita aperta, consentendo al contempo un carico e un recupero più precoci [5].

Non esiste un consenso sul gold standard del trattamento chirurgico per la sindrome di Haglund e sono stati descritti risultati variabili riportati in letteratura [3].

I pazienti, a seguito di chirurgia a ferita aperta, sono poi spesso immobilizzati con gesso o tutore per un periodo che va da 2 a 6 settimane e vengono tenuti in molti casi senza carico nel periodo postoperatorio da 0 a 6 settimane. Il ritorno alle normali attività quotidiane e sportive varia invece solitamente da 6 a 36 settimane. I protocolli postoperatori nelle prime 2 settimane possono richiedere però espressamente che il piede sia posizionato in posizione equina (flessione plantare della caviglia di 25°) e senza carico. Il carico è in questi casi progressivamente consentito ogni 2 settimane fino alla settimana 8 dall’intervento. I pazienti possono utilizzare normali scarpe da passeggio[3, 4].

I pazienti sottoposti a chirurgia endoscopica sono invece immobilizzati con gesso o tutore per un massimo di 2 settimane. Inoltre, in questi pazienti, viene spesso utilizzato uno stivale walker subito dopo il periodo iniziale di gesso. I pazienti vengono tenuti senza carico al massimo fino a 2 settimane e il ritorno alle normali attività quotidiane e agli sport varia da 6 a 12 settimane. Nell’ambito della chirurgia endoscopica la calcaneoplastica consente al paziente di eseguire una mobilizzazione precoce della caviglia post-operatoria e di caricare il peso a tolleranza al dolore fin da subito[3, 4].

Prognosi

La gestione conservativa è controversa. Alcuni studi la presentano come efficace nella maggior parte dei casi [1], mentre altri la riconoscono come fallimentare in quasi la metà dei pazienti (soprattutto quelli con borsite retrocalcaneare e/o tendinopatia inserzionale di Achille) [4]. Altri studi presentano invece statistiche più moderate riportando fallimenti solo nel 20%-40% dei pazienti [5].

Il tasso di complicanze per la chirurgia aperta è stato del 12,3% (compreso tra 0 e 53%). Le complicanze segnalate includevano parestesia transitoria attorno alla ferita (4,3%), infezione superficiale (3%), dolorabilità del sito di incisione (0,8%), ritardata guarigione della ferita (0,6%), intorpidimento del tallone (0,6%), ematoma esteso (0,6%), rottura del tendine d’Achille (0,4%), sindrome dolorosa regionale complessa (0,2%), cicatrice ipertrofica (0,2%), neuropatia del nervo surale (0,2%) e trombosi venosa profonda (0,2%). I tassi di chirurgia ripetuta o di revisione sono stati del 2,6% (compreso tra 0 e 12%). Sono stati osservati diversi casi di reintervento (rimozione di impianti metallici) nel gruppo dell’osteotomia a cuneo di chiusura a causa del dolore causato dalla lavorazione metallica. È stato anche segnalato un caso di ritardata unione calcaneare dall’osteotomia a cuneo di chiusura. Le complicazioni segnalate del trattamento chirurgico aperto includono infezioni del sito chirurgico, alterazione della sensibilità attorno alla ferita e al tallone, cicatrici ipertrofiche, recidiva del dolore dovuta a resezione inadeguata, rigidità e rottura del tendine d’Achille [3].

Il tasso di complicanze per la chirurgia endoscopica è stato del 5,3% (con un range tra 0 e 18%). Le complicanze segnalate includevano infezione/infiammazione superficiale della ferita (1,8%), neuropatia del nervo surale (0,9%), ritardo di guarigione della ferita (0,6%), intorpidimento del tallone (0,6%), dolorabilità al sito di accesso (0,6%), trombosi venosa profonda (0,3%), rottura del tendine d’Achille (0,3%) e sindrome dolorosa regionale complessa (0,3%). I tassi di chirurgia ripetuta o di revisione erano del 2,4% (compresi tra 0 e 7,7%). I tassi di complicanze per il gruppo di chirurgia aperta erano circa del 12,3%, mentre per il gruppo endoscopico erano inferiori al 5,3%. Le tecniche endoscopiche offrono potenzialmente i vantaggi della chirurgia mininvasiva, tra cui ferite più piccole con una migliore guarigione delle cicatrici, minore morbilità, tempi di recupero più brevi e rapida ripresa dell’attività sportiva[3].

I risultati mostrano che entrambe le modalità chirurgiche, aperta ed endoscopica, sono efficaci nel trattamento della deformità di Haglund, migliorando significativamente i punteggi degli esiti funzionali, come i punteggi dell’American Orthopaedic Foot & Ankle Society (AOFAS), e la soddisfazione del paziente nel postoperatorio. La chirurgia endoscopica sembra avere il vantaggio di tempi operatori più brevi, minori tassi di complicanze e migliori risultati estetici[3].

Inoltre esiti clinici e funzionali peggiori sono stati associati al trattamento non chirurgico della tendinopatia inserzionale achillea negli atleti, mentre l’osteotomia di a Zadek ha consentito risultati migliori e un ritorno precoce all’attività in questi pazienti rispetto ad altre tecniche chirurgiche e non chirurgiche [5].