Come ottimizzare la propria tecnica di corsa

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In molti sport bisogna lavorare sulla propria tecnica. Nella ginnastica, nel golf o nel tennis gli studenti migliori, oltre che applicare i consigli tecnici del coach, osservano attentamente gli atleti più esperti ed imitano I loro movimenti. Questo è essenziale negli sport in cui ci sono movimenti complessi o non intuitivi, ma cosa succede nelle attività che si imparano naturalmente, come la corsa? È giusto analizzare la propria andatura o ascoltare i consigli di esperti riguardo l’appoggio del piede, la cadenza dei passi o la postura?

I corridori, recentemente, hanno iniziato a chiedersi se cambiare la biomeccanica della corsa potesse ridurre la possibilità di infortunarsi e migliorare la performance. L’approccio tradizionale ignora la tecnica, con l’assunto che la corsa migliori con una sufficiente distanza percorsa, con diversi allenamenti e forse con qualche salto da un punto A ad un punto B; oggi per correre correttamente gli atleti possono trovare molti spunti, quali modelli codificati come il POSE o la corsa Chi. Questi metodi aggiungono qualche beneficio al buon vecchio “corri e basta”. Sebbene i metodi correttivi della corsa siano molto in voga, non sono comunque supportati da prove scientifiche di qualità.

Qui riportato un riassunto sulle ricerche di rilievo a riguardo e alcune considerazioni teoriche, molte delle quali adattate dal libro “playing with movement”.

Alcuni movimenti si apprendono naturalmente, i bambini infatti imparano come camminare, correre, piegarsi e arrampicarsi molto bene anche senza istruzioni. Lo stesso non si può dire di abilità più complesse quali una capriola all’indietro, una schiacciata o suonare il pianoforte. Siamo nati per correre, non per segnare un canestro da tre punti dal palleggio.

La locomozione è un’abilità di base per la sopravvivenza di ogni animale, per questo motivo le strutture nervose che la coordinano sono primitive, in qualche modo riflesse, straordinariamente efficienti e per lo più inconsce. In alcuni animali i pattern di locomozione possono essere riprodotti dalla stimolazione dei central pattern generator, all’interno della colonna vertebrale (1). Gli umani li possiedono per la deambulazione, ma non per le capriole all’indietro, motivo per cui questo movimento non emerge naturalmente quando i bambini sono fuori a giocare. Se invece dei bambini dovessero andare velocemente da un punto A ad un punto B, ragionevolmente svilupperebbero una buona tecnica di corsa senza indicazioni; basterebbe sperimentare vari modi di correre, veloce, lento, a destra e a sinistra, inseguendo o evitando qualcosa, su diversi terreni e pendenze. Tutto questo permette al sistema nervoso di esplorare diversi modi di correre: quello che serve per trovare soluzioni più efficienti.

Gli adulti non sono plastici come i bambini, ma comunque, con il passare del tempo e con sufficiente variabilità nella corsa, impareranno a correre meglio anche senza pensarci. Il corpo umano ha una grande priorità nel conservare le energie e nel prevenire infortuni, perciò continua a lavorare inconsciamente su una corsa più efficiente e sicura, anche quando si ha la testa da un’altra parte.

È possibile accelerare questo processo applicando coscientemente qualche consiglio tecnico, come quando viene detto ai corridori di accorciare il proprio passo, aumentare la frequenza ed evitare il contatto del tallone? Sebbene gli atleti di alto livello possano infrangere queste regole, si dice che si può migliorare attenendosi alla tecnica “da libro”.

Un primo motivo per essere scettici riguardo consigli del tipo “one-size fits all” è che ognuno ha una struttura fisica diversa; è ragionevole quindi aspettarsi che si debba correre in diversi modi per ottimizzare la propria performance e sicurezza. Per fare un esempio Usain Bolt ha imparato a correre con un passo asimmetrico, galoppando un pochino per favorire un piede rispetto all’altro. Gli esperti credono che questa tecnica sia un intelligentissimo, e non voluto, compenso di piccole asimmetrie nella sua struttura. “Correggere” i corridori per imitare un libro di testo li farebbe andare solo più lentamente. La lezione da imparare è che il corpo trova soluzioni ingegnose per i problemi locomotori con un meccanismo innato di tipo “bottom-up” (dal basso verso l’alto, dalla periferia al centro), si dovrebbe quindi ridimensionare la pretesa di poter di migliorare la tecnica con correzioni top-down (dall’alto verso il basso). Anche la ricerca supporta questo punto di vista per il quale le persone sono in grado di scegliere con successo uno stile di corsa che vada loro bene.

La tecnica di corsa

La ricerca sul contatto del tallone

Sebbene spesso si derida il contatto del tallone al suolo, questo non è associato ad un maggior rischio di infortunio ed è la modalità di corsa energeticamente più efficiente per la maggior parte delle persone (2, 3, 4). Questo è il motivo per cui la maggioranza dei corridori, incluso circa il 75% dei mezzi-maratoneti d’elite, appoggia il tallone (3, 5). È poco probabile che cercare di correggere lo stile della corsa possa ridurre il rischio di infortunio e spesso, anzi, rende i corridori più lenti e meno efficienti (3). Parecchi studi hanno dimostrato che cambiare la lunghezza del proprio passo naturale richiede maggiore ossigeno per correre alla stessa intensità (6, 7). Per fare un esempio è stato chiesto a 16 atleti di triathlon di seguire le indicazioni di un esperto del metodo POSE, che raccomandano un appoggio con l’avampiede piuttosto che con il tallone; alla fine delle 12 settimane l’appoggio con avampiede si è dimostrato meno efficiente (8): il concentrarsi sullo stile della corsa, senza impegnarsi nel cambiarlo si traduce in una minore efficienza della stessa (9).  Questo segue una legge generale del controllo motorio: prestare attenzione al proprio corpo tende a creare rigidità e movimenti strani, fenomeno spesso chiamato “paralizzato dall’analisi”, ma, se si rimane concentrati sull’obiettivo finale del movimento, il corpo è in grado di autoregolarsi con maggiore facilità (17). La maggior parte dell’intelligenza che coordina il movimento è inconscia e questo è quanto più vero se si parla di movimenti fondamentali come la locomozione.


La ricerca sulla pronazione

E la pronazione? Per molto tempo si è discusso sul fatto che un’eccessiva pronazione del piede fosse negativa e che potesse contribuire a lesioni da sovraccarico al piede, ginocchio e addirittura schiena. Dopo decenni di studi, sembra che la iperpronazione non sia correlata significativamente al rischio di infortunio e, anche se fosse, rimane opinabile il correggere la cinematica del passo per ridurre il rischio di infortunio (11, 12). Se la tendenza alla pronazione è causata da una struttura ossea del piede o della caviglia allora si è di fronte ad un fattore non modificabile. E se fosse possibile modificare la pronazione con dei plantari? Utilizzare il plantare riduce sì il rischio di infortunio, tuttavia non sembra essere importante che sia personalizzato o comprato nel negozio dietro l’angolo (13). Si potrebbe acquistare delle scarpe ideate appositamente per ridurre la pronazione, tuttavia la letteratura indica che non sempre le scarpe hanno quegli effetti biomeccanici per cui sono state pensate. Le scarpe ammortizzate non riducono la forza di impatto applicata al terreno perché il corpo sembra desiderare una certa quantità di feedback, quindi si impegnerà per ottenerlo nonostante l’ammortizzazione (14). Secondo Benno Nigg, esperto sulla relazione tra corsa, scarpe, cammino ed infortuni, questo accade perché il piede ha una “via di movimento preferenziale”, quindi quando i corridori usano scarpe diverse tendenzialmente mantengono la strategia di movimento preferita. Seguendo questa logica, le migliori scarpe per prevenire gli infortuni sono quelle che facilitano la strategia favorita: questo avviene scegliendo la scarpa più comoda per l’atleta. In uno studio di Nigg i corridori ai quali era permesso di scegliere il plantare in base alla propria esperienza di comodità, dimostravano un minor tasso di infortuni rispetti al gruppo di controllo (16). Basandosi su questo studio e su più di 40 anni di esperienza su questi temi complessi il consiglio di Nigg è semplice: provare 4 o 5 paia di scarpe, fare una corsetta nel negozio e prendere la scarpa più confortevole.


Sperimentare con la corsa

C’è un filo comune in queste ricerche: il corpo ha un ottimo intuito sul come correre con sicurezza ed efficientemente. Impara tramite prove ed errori e il meglio che si possa fare per apprendere più rapidamente è di fare molte prove e molti errori ad alto volume di allenamento e con sufficiente variabilità. Questo vuol dire che bisogna ignorare tutti gli accorgimenti biomeccanici della corsa? Non credo. Perché non utilizzarlo come fonte di ispirazione sul come esporre il proprio corpo a nuovi esperimenti di corsa? Si può provare ad applicare una nuova tecnica per 5 minuti per poi dimenticarsene e tornare a correre naturalmente. Se c’è qualcosa di utile in questa nuova tecnica, ciò potrebbe dare una “sensazione” che inconsciamente viene appresa nelle seguenti miglia. Per esempio, correre con l’appoggio del mesopiede o con una maggiore cadenza non è qualcosa da provare necessariamente, ma è un’opzione ragionevole. Questo è ancora più vero se si soffre di dolore al ginocchio, visto che l’appoggio con l’avampiede tende a ridurre lo stress meccanico a carico dell’articolazione. D’altro canto, aumenta lo stress a livello del tendine d’Achille e del piede, quindi non c’è una tecnica migliore di un’altra (10).

In sostanza ci sono vari modi di correre e ognuno ha i suoi pregi e difetti, sperimentandone diversi, cambiando terreno, velocità, intensità, scarpe, ecc., si avranno maggiori possibilità di trovare il proprio. Man mano che si migliora, la cinematica inizierà a sembrare “da manuale”, ma questi cambiamenti si evolveranno più in una maniera naturale e autentica, più stabile e sostenibile piuttosto che cercare di correre coscientemente con una “buona tecnica”.


Bibliografia

  1. Kiely J, Collins DJ (2016). Uniqueness of Human Running Coordination: The Integration of Modern and Ancient Evolutionary Innovations. Front Psychol, 7(APR). 
  2. Warr et al. (2014). Footstrike Patterns Do Not Influence Running Related Overuse Injuries in U.S. Army Soldiers. Medicine & Science in Sports & Exercise, 46, 812.
  3. Hamill et al. (2017). Is Changing Footstrike Pattern Beneficial To Runners? Journal of Sport and Health Science, 6(2), 146–153.
  4. Gruber et al. (2013). Economy and Rate of Carbohydrate Oxidation During Running with Rearfoot And Forefoot Strike Patterns. Journal of Applied Physiology, 115(2), 194–201.
  5. Hasegawa et al. (2007). Foot Strike Patterns of Runners at the 15-Km Point During an Elite-Level Half Marathon. Journal of Strength and Conditioning Research. 21(3), 888-893.
  6. Cavanagh et al. (1982). The Effect of Stride Length Variation on Oxygen Uptake During Distance Running. Medical Science and Sports Exercise, 14(1), 30-35.
  7. Hunter et al. (2017). Self-Optimization of Stride Length Among Experienced and Inexperienced Runners. International Journal of Exercise Science, 10(3), 446–53.
  8. Dallam et al. (2005). Effect of a Global Alteration of Running Technique on Kinematics and Economy. Journal of Sports Sciences, 23(7), 757-64.
  9. Schücker et al. (2018). Thinking About Your Running Movement Makes You Less Efficient: Attentional Focus Effects on Running Economy and Kinematics. Journal of Sports Sciences, 1–9.
  10. Payne et al. (2016). Barefoot and Minimalist Running: The Current Understanding of the Evidence. Revista Española de Podología 27 (1). Consejo General de Colegios Oficiales de Podólogos, 1–3.
  11. Neal et al. (2008). Foot Posture as a Risk Factor for Lower Limb Overuse Injury: A Systematic Review and Meta-Analysis. Journal of Foot and Ankle Research, 7(1), 55.
  12. Nigg et al. (2015). Running Shoes and Running Injuries: Mythbusting and a Proposal for Two New Paradigms: ‘Preferred Movement Path’ and ‘Comfort Filter.’ British Journal of Sports Medicine, 49 (20), 1290–94.
  13. Richter et al. (2011). Foot Orthoses in Lower Limb Overuse Conditions: A Systematic Review and Meta-Analysis—Critical Appraisal and Commentary. Journal of Athletic Training, 46(1), 103–6.
  14. Baltich et al. (2015). Increased Vertical Impact Forces and Altered Running Mechanics with Softer Midsole Shoes. PLoS ONE 10(4), 1–11.
  15. Nigg et al. (2017). The Preferred Movement Path Paradigm: Influence of Running Shoes on Joint Movement. Medicine and Science in Sports and Exercise, 49(8), 1641-1648.
  16. Mundermann et al. (2001). Relationship between Footwear Comfort of Shoe Inserts and Anthropometric and Sensory Factors. Medicine and Science in Sports and Exercise, 33(11), 1939–45.
  17. Wulf et al. (2001). The Automaticity of Complex Motor Skill Learning As A Function Of Attentional Focus. Quarterly Journal of Experimental Psychology Section A: Human Experimental Psychology. 54, 1143–1154.