Tendinopatia degenerativa: diagnosi e trattamento
Le tendinopatie degenerative rappresentano l’ultima fase nel modello di descrizione di una tendinopatia, sono molto frequenti e sono responsabili di limitazioni funzionali sia sul posto di lavoro che nello sport (1). Lâincidenza delle tendinopatie sta crescendo a causa di una maggiore partecipazione della societĂ allâattivitĂ sportiva. Circa il 30% dei runner va in contro a tendinopatia Achillea con unâincidenza annuale compresa tra il 7 e il 9%. La tendinopatia patellare è molto comune nello sport della pallavolo (13%), negli atleti di handball (13%), nel basket (12%) e nei calciatori (2,5%) (2). Per quanto riguarda lâarto superiore la prevalenza della tendinopatia mediale di gomito, comunemente chiamata epitrocleite, e della tendinopatia laterale di gomito (epicondilite) invece varia tra lo 0.8% e 29.3% con maggiore prevalenza nelle donne (3). Nello sport il 40â50% dei tennisti presenta almeno un episodio lâanno di tendinopatia laterale di gomito piĂš comunemente chiamato gomito del tennista (4). La sindrome di De Quervain presenta una prevalenza dello 0.5% negli uomini e dellâ1.3% delle donne in etĂ lavorativa con picco durante la 4-6 settimane post parto (5). La tendinopatia di spalla e i disordini ad essa associata risultano essere uno dei piĂš frequenti motivi di consulto fisioterapico e di consulenza medica(6).
La letteratura ad oggi ha approfondito notevolmente la patofisiologia del disordine tendinopatico e ha proposto interessanti principi di trattamento che si sono rivelati molto efficaci nel recupero funzionale del soggetto tendinopatico. Nonostante la tendinopatia sia stata ben approfondita nei meccanismi patofisiologici e riabilitativi e nonostante il predurare della stessa determini lo sviluppo di tendinopatia cronica con conseguente assenteismo lavorativo e sportivo negli atleti dâelitè, câè da segnalare che solo 30-50% dei pz ricevono un trattamento raccomandato. Il 20-30% ricevono cure non necessarie o potenzialmente dannose e addirittura il 96% ricevono trattamenti con assenza di evidenza (7) (8).
Il modello del continuum nelle tendinopatie
Il tendine è un tessuto incline a modificarsi infatti se subisce forze di stiramento e conseguente rilasciamento (funzionamento del tendine âa mollaâ) o forze compressive o la combinazione di entrambe va incontro a un fisiologico adattamento e a un rinforzo della struttura. Tale rinforzo e adattamento fisiologico però è possibile solo se il carico che subisce è ottimale (parametro che varia di persona in persona) altrimenti, sia che i carichi siano troppo intensi e troppo ravvicinati o il soggetto sia eccessivamente sedentario, il tendine va incontro a patologia (tendinopatia flogistica) (9). Per spiegare la patofisiologia del problema tendinopatico la letteratura si è appoggiata a un modello chiamato il âmodello del continuumâ. Il modello del continuum consta di tre fasi:
- fase della tendinopatia reattiva (reactive tendinopathy)
- fase della disgregazione tendinea (tendon disrepair) chiamata anche fase del fallimento del processo riparativo (failed healing process)
- fase della tendinopatia degenerativa (degenerative tendinopathy) (10).
Nella fase di tendinopatia reattiva o acuta (che può essere anche asintomatica) si nota un accumulo in loco di citochine e fattori immunomodulanti che causano unâiniziale infiammazione con proliferazione cellulare.
In questa fase il soggetto ha ancora la possibilitĂ di guarire autonomamente con i meccanismi riparativi endogeni ma se la quantitĂ di cellule infiammatorie, derivate da assenza totale di carico cosĂŹ come da sovraccarico e/o eccessivo stress meccanico, diventa rilevante, vi è uno squilibrio tra fattori pro-infiammatori (con degradazione della matrice extra cellulare) e fattori protettivi. Tale squilibrio causa l’insorgenza del dolore. Il passaggio dalla fase di tendinopatia reattiva a quello di tendinite degenerativa corrisponde alla fase del failed healing (fallimento del processo autoriparativo) che causa la disgregazione tendinea. Infatti se il soggetto ha continuato, nonostante la condizione infiammatoria del tendine, a caricare la struttura o gli ha dato troppo riposo (non stimolando allo stesso modo il recupero spontaneo e un potenziale ritorno a una condizione normale) allora il tendine inizia a disgregarsi andando in contro a una tendinopatia degenerativa cronica. Il passaggio tra la fase di tendinopatia reattiva e la fase di tendinopatia degenerativa è dunque in atto e assume il carattere di non reversibilitĂ . Il tendine, alla fine di questo processo, presenterĂ porzioni degenerate che diventano incapaci di sviluppare forza tensile ma nonostante questo il paziente può continuare a essere asintomatico. Le tendinopatie prendono il nome di tendinopatie degenerative proprio a causa della loro patofisiologia infatti lâinfiammazione è solo uno starter del problema che dura circa 24 ore a seguito della quale il corpo tenta un processo riparativo che se fallisce evolve in degenerativo (11).
Viste le caratteristiche patofisiologiche del disturbo, sono facilmente ricavabili le indicazioni cliniche a cui stare attenti in fase di valutazione. Lâoveruse è senza dubbio la spiegazione comunemente piĂš accetta come eziologia di questo disturbo (12). Oltre allâoveruse però altri fattori di rischio per lo sviluppo della patologia sono unâalterata funzione dellâarto inferiore o superiore (controllo motorio alterato), fattori biomeccanici (disallineamenti, eterometrie e riduzione R.O.M. articolare o ridotta flessibilitĂ muscolare) e fattori intrinseci (sesso, BMI, etĂ ) (13)(14) (15).
Trattamento della tendinopatia degenerativa
Il trattamento della tendinopatia degenerativa è stato largamente discusso in letteratura e possono essere ricavati interessanti spunti per la pratica clinica. Lâapproccio farmacologico con lâuso di anti-infiammatori è consigliabile nella fase acuta (quindi nel breve termine) per le tendinopatie dellâarto superiore, tra cui la tendinopatia di spalla. Lâeffetto del farmaco sul dolore tende però a stabilizzarsi e ad avere gli stessi risultati del trattamento conservativo nel medio e nel lungo termine (16). Vista lâassenza di effetti collaterali del trattamento conservativo rispetto a quello farmacologico, questâultimo è consigliabile solo in pazienti estremamente selezionati in cui è prevalente il driver infiammatorio, clinicamente riconoscibile dallâelevata reattivitĂ del paziente (17). Per quanto riguarda il trattamento con terapie fisiche lâassociazione di un trattamento basato sullâesercizio eccentrico con lâutilizzo di onde dâurto migliora il dolore nel breve termine nelle tendinopatie dellâarto inferiore mentre lâunica terapia fisica efficace nella tendinopatie dellâarto superiore è, nella tendinopatia laterale di gomito, la low level laser therapy (LLLT)(18) (18)(19)(20). Lâutilizzo di ortesi e taping, data lâeterogenicitĂ degli studi di ricerca e i risultati limitati non sono il trattamento di elezione delle tendinopatie nè degli arti superiori nè degli arti inferiori (21)(22)(23). Lo stretching è fortemente sconsigliato al livello delle tendinopatie degli arti inferiori in fase reattiva in quanto va ad aumentare la compressione a livello del tendine ma può essere inserito nelle fasi successive del trattamento o nella gestione delle tendinopatie croniche degenerative (24). Invece lo stretching è efficace nelle tendinopatie dellâarto superiore su dolore e funzione nel breve termine (25)(26). Prescindendo da una logica puramente distrettuale (arto superiore vs arto inferiore) il trattamento conservativo multimodale basato sulla combinazione di educazione, terapia manuale, esercizio terapeutico e gestione del carico si è rivelato estremamente efficace (17). I principi su cui è necessario (in termini di efficacia su outcome clinici rilevanti) basare il trattamento conservativo sono la riduzione del dolore e la gestione del carico mirata a una ripresa funzionale che permetta al paziente di tornare alle sue attivitĂ quotidiane e sportive.
Essendo il carico la piĂš comune causa scatenante delle patologie tendinee è necessario guidare il paziente nella gestione dello stesso attraverso lâeducazione (riposo attivo, consigli ergonomici, istruzione sul decorso patologia, gestione dellâaspettativa del paziente) (27)(28). La terapia manuale (tecniche Mulligan, manipolazioni, trattamento tessuti molli e trigger points) invece si è dimostrata utile nella riduzione del dolore (29). Per quanto riguarda lâesercizio terapeutico nellâarto superiore, nonostante i chiari benefici che esso determina, il miglior esercizio in termini di tipo di contrazione, intensitĂ , durata e frequenza non è stato ad oggi stato ancora definito (27)(30). Per quanto riguarda lâarto inferiore invece esercizi isometrici hanno un forte effetto analgesico nelle tendinopatie reattive (31)(32). LâHSRT (heavy slow resistance training) sempre nellâarto inferiore ha dimostrato, a paritĂ di efficacia con gli esercizi eccentrici, una maggiore compliance da parte del paziente (33)(34)(35)(36)(37).
Il trattamento conservativo dovrĂ dunque scortare il paziente con carichi (patologia permettendo) gradualmente crescenti, fino al recupero delle attivitĂ funzionali o sport specifiche senza mai tralasciare la componente educativa. Un aspetto cruciale nella gestione delle tendinopatie è infatti quello della gradualitĂ del carico. La progressione del carico deve essere estremamente centellinata in base allâandamento della patologia e agli obiettivi fissati in fase valutativa, focalizzando lâattenzione del paziente sul recupero funzionale. Partendo dalle capacitĂ funzionali che il paziente presenta in prima seduta, attraverso piccoli step di progressione del carico, è necessario riportare il paziente al recupero delle capacitĂ funzionali pre-lesionali. Lâesercizio terapeutico deve pertanto essere impostato curando progressivamente le sue componenti parametriche (forza, velocitĂ , lunghezza, endurance) progredendo poi al recupero delle abilitĂ sinergiche e composite (quindi un lavoro focalizzato sulla capacitĂ del tendine di immagazzinare e rilasciare energia ad esempio attraverso esercizi propriocettivi e/o pliometrici) e infine deve mirare a recuperare le capacitĂ funzionali (task motori e attivitĂ specifiche quali salto, cambi di direzione, sprinting etc..).
Conclusione
Lâelevata frequenza della tendinopatia degenerativa nel panorama dei disordini muscoloscheletrici rende il fisioterapista responsabile di svolgere un trattamento raccomandato in linea con le piĂš recenti evidenze scientifiche. Lâelevato numero di pubblicazioni scientifiche e lâinteresse che questo argomento ha suscitato negli anni ci ha permesso di comprendere, seppur con qualche area grigia, la patofisiologia delle tendinopatie che trova la sua espressione nel modello del continuum. Per quanto concerne il trattamento delle tendinopatie, lâapproccio conservativo è la scelta dâelezione e prevede un trattamento multimodale basato sulla combinazione di educazione del paziente alla patologia, riduzione del dolore attraverso tecniche di terapia manuale e recupero delle capacitĂ funzionali attraverso una corretta gestione del carico mediata dallâesercizio terapeutico. Un approccio non di tipo protocollare bensĂŹ ritagliato sulle caratteristiche del paziente risulta ad oggi la migliore scelta nellâimpostazione del processo riabilitativo.
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