Tendinopatia Cuffia dei Rotatori
Una guida per il fisioterapista sull'inquadramento e il trattamento delle Tendinopatie della Cuffia dei Rotatori.
Prima di addentrarci nella diagnosi e nel trattamento della tendinopatia della cuffia dei rotatori è fondamentale comprendere cosa significhi realmente il termine “tendinopatia“. Per tendinopatia si intende quella condizione clinica caratterizzata dalla presenza di dolore, spesso scatenato dall’applicazione di un carico meccanico o dalla palpazione del tendine stesso (Scott, 2020) a causa di alterazioni nella microstruttura, nella composizione e nella cellularità del tendine. Un tendine sano è costituito da fibre collagene ben organizzate con cellule sparse, principalmente tenociti mentre, all’interno di un tendine affetto da tendinopatia, si osservano fibre collagene frammentate, fasci disorganizzati, accumulo di glicosaminoglicani e un aumento della microvascolarizzazione, spesso associato alla neoinnervazione (Millar, 2021). Queste modificazioni possono interessare tutti i tendini indistintamente, anche in assenza dei tradizionali segni di sovraccarico, poiché possono essere secondarie a particolari trattamenti farmacologici (antibiotici fluorochinolonici e corticosteroidi), disturbi metabolici e alterazioni genetiche (September, 2016).
Fino a pochi anni fa e, purtroppo ancora in alcune situazioni, la tendinopatia della cuffia dei rotatori veniva erroneamente identificata come tendinite della cuffia dei rotatori o periatrite scapolo-omerale, termine ormai abbandonato perché la tendinopatia non è sempre associata a segni infiammatori.
Le tendinopatie rappresentano una delle cause più comuni di infortunio da sovraccarico nelle popolazioni sportive e nei lavoratori. Ogni anno, infatti, un numero significativo di persone è afflitto da questa problematica, rappresentando una vera e propria condizione di invalidità per sportivi e lavoratori, con una prevalenza nel sesso maschile (92%) (Albers, 2016; Cardoso, 2019; Florit, 2019).
Tipologia di paziente
I disturbi muscoloscheletrici della spalla sono estremamente comuni, con una prevalenza che varia da una persona su tre che soffre di dolore alla spalla in qualche fase della propria vita (Van Der Heijden, 1999) a circa la metà della popolazione che sperimenta almeno un episodio di dolore alla spalla all’anno (Brox, 2003). L’incidenza aumenta sostanzialmente con l’età e per le persone di età superiore ai 65 anni rappresenta il problema muscoloscheletrico più comune (Taylor, 2005).
Poiché la spalla viene utilizzata principalmente per posizionare la mano nello spazio, il dolore in questa regione influisce negativamente sulla vita quotidiana e sul lavoro, causando una notevole morbilità. Il dolore rappresenta il sintomo cardine descritto dai pazienti, spesso associato a riduzione della forza (inibizione del dolore) e deterioramento funzionale (Lewis, 2009).
Quali sono i fattori di rischio?
- Posture mantenute
- Lavori pesanti con carichi ripetitivi agli arti superiori, specialmente overhead
- Alterazioni del sonno
- Sovrappeso
- Diabete
- Età avanzata
- Sport che includono movimenti ripetuti degli arti superiori, soprattutto overhead (baseball, pallavolo, basket…)
(Abate, 2013; Cohen & Williams, 1998; Gaida, 2009; Grusky, 2022; Sommerich, 1993)
Patofisiologia
Come brevemente anticipato nell’introduzione, la parola “tendinopatia” ha recentemente preso il sopravvento nell’inquadramento di questo genere di problematiche, lasciandosi alle spalle terminologie più antiquate come tendinite o periartrite. Il termine “tendinopatia” è una parola generica che non prevede implicazioni eziologiche, biochimiche o istologiche e viene utilizzato per descrivere la patologia e il dolore a carico di un tendine.
Alla base della patogenesi della tendinopatia della cuffia dei rotatori possono esserci cause intrinseche, estrinseche o combinazioni di entrambe (Lewis, 2009).
La tendinopatia intrinseca è definita come una patologia tendinea che ha origine all’interno del tendine stesso, solitamente come conseguenza di un sovraccarico. In questi casi, le principali modificazioni che si possono osservare sono aumenti e cambiamenti nel collagene (Riley, 1994), nei proteoglicani, nella vascolarizzazione (Lewis, 2009), assottigliamento dei tendini, disorientamento delle fibre, degenerazione, calcificazione e infiltrazione di grasso (Hashimoto, 2003). È bene sottolineare che anche l’età, la genetica, la scarsa biomeccanica, l’uso eccessivo e i traumi (Factor & Dale, 2014) sono considerati fattori intrinseci; tra questi l’aumento del carico sul tendine è considerato il più importante (Abat, 2017).
All’interno dei fattori estrinseci troviamo tutte quelle situazioni che prevedono una compressione dei tendini della cuffia dei rotatori a causa di varianti anatomiche degli speroni articolari, alterazioni nella cinematica scapolare e omerale, anomalie posturali, deficit di prestazione della cuffia dei rotatori e dei muscoli scapolari, diminuzione dell’estensibilità del piccolo pettorale e una riduzione dello spazio subacromiale (Factor & Dale, 2014). Inoltre, è possibile riscontrare un meccanismo estrinseco unico, detto internal impingement, in cui i pazienti tendono a presentare dolore localizzato nella parte posteriore e superiore della spalla, nella posizione di abduzione e rotazione esterna, nella fase tardiva di preparazione al lancio (Seitz, 2011).
È importante evidenziare che, sebbene le cause estrinseche siano state frequentemente menzionate come potenziali fattori scatenanti della tendinopatia, non sono emersi dati chiari e univoci sulla loro responsabilità nell’insorgenza della patologia a carico della cuffia dei rotatori (Lewis, 2009) infatti, un “semplice” sperone acromiale non si è rivelato sufficiente a causare patologia, a meno che non ci sia una storia concomitante di sovraccarico tendineo (Lewis, 2009). Allo stesso modo, una riduzione dello spazio subacromiale ha fornito prove limitate riguardo all’insorgenza di una tendinopatia a carico della cuffia dei rotatori (Cholewinski, 2008).
Diagnosi differenziale
La diagnosi differenziale è essenziale poiché consente di distinguere tra diverse patologie che presentano sintomi simili, riducendo il rischio di errori diagnostici. Nel caso specifico della tendinopatia della cuffia dei rotatori, è particolarmente importante escludere:
- Lesione della cuffia dei rotatori o del capo lungo del bicipite
- Fratture
- Lesione del labbro glenoideo (SLAP)
- Sindrome dello stretto toracico (TOS)
- Neuropatia del nervo sovrascapolare
- Patologie cervicali (es. ernia del disco, fratture)
- Patologie viscerali (es. problemi cardiaci)
- Patologie sistemiche (es. artrite reumatoide)
- Dolore alla spalla nell’emiplegia
- Infezioni (es. osteomielite)
- Tumori ossei o dei tessuti molli
Elementi anamnestici
Il sintomo maggiormente descritto dai pazienti è il dolore localizzato nell’area dei quattro tendini della cuffia dei rotatori (sovraspinato, sottospinato, sottoscapolare e piccolo rotondo), spesso associato a debolezza e perdita di mobilità. Generalmente il dolore tende a peggiorare durante le attività overhead e può avere manifestazioni notturne, con irradiazione nelle regioni del deltoide e della scapola. I pazienti possono anche lamentare difficoltà nel portare la mano dietro la schiena, come quando si infilano il reggiseno, una maglia o mettono un portafoglio nella tasca posteriore dei pantaloni. In generale, i pazienti affetti da qualsiasi tendinopatia presentano indolenzimento e rigidità mattutina o dopo lunghi periodi di immobilità (stare seduti, sdraiati…)(Millar, 2021).
Inoltre, durante la raccolta anamnestica, è fondamentale prestare particolare attenzione alla presenza di fattori che possono contribuire all’insorgenza di queste problematiche (intrinseci, estrinseci o misti) (Silverstein, 2006).
Esame obiettivo e valutazione
Non esiste un singolo test in grado di diagnosticare efficacemente la tendinopatia della cuffia dei rotatori: la diagnosi si basa su una combinazione di anamnesi dettagliata, esame fisico ed eventuali studi di imaging di supporto. A tal proposito è bene fare una piccola digressione: l’imaging non è per forza necessario per una diagnosi clinica di tendinopatia, infatti, l’ecografia si dimostra molto utile nella diagnosi differenziale e per escludere altre cause come fonte di dolore. In generale, nei soggetti affetti da qualsiasi tipo di tendinopatia, i risultati ecografici riportano, quasi sempre, ispessimento del tendine, aree ipoecogene, perdita di organizzazione o allineamento del collagene e possibile neovascolarizzazione. È molto frequente, inoltre, imbattersi nel termine “tendinosi”, ancora fortemente utilizzato per descrivere la presenza di alterazioni nella microstruttura visibili all’imaging. Tuttavia, la “tendinosi” può essere presente anche in assenza di dolore e quindi deve essere sempre interpretata in congiunzione con un esame clinico.
Lo stesso discorso vale anche per le altre modalità di imaging, come la radiografia e la risonanza magnetica, che si rivelano molto utili per confermare o escludere ulteriori condizioni specifiche (Millar, 2021).
Per quanto riguardo l’esame fisico, invece, alcune manovre chiave si rivelano essenziali per supportare il terapista nell’inquadramento delle problematiche legate alla spalla. Tuttavia, come accennato in precedenza, i test speciali della spalla non sono più considerati utili o validi per stabilire la diagnosi di strutture specifiche poiché non possono isolare singole entità strutturali, perciò il loro uso come test provocatori è più appropriato (Millar, 2021).
In questo contesto, diversi studi hanno riportato vari test come utili per inquadrare la tendinopatia della cuffia dei rotatori (CDR). In particolare, uno studio ha identificato un cluster che include il test di Hawkins-Kennedy, l’arco doloroso e il test per il sottospinato, fornendo una probabilità di tendinopatia della cuffia dei rotatori superiore al 95%.
Al contrario, nel caso in cui questi risultino negativi, la probabilità di tendinopatia scende sotto il 24% (Canata, 2017). Inoltre, un altro studio ha evidenziato come test provocativo anche l’Empty Can Test (o Test di Jobe), suggerendo che questi strumenti possono contribuire significativamente alla valutazione clinica della tendinopatia della cuffia dei rotatori, ma solo se integrati con un’accurata anamnesi raccolta anamnestica (Millar, 2021).
TEST | ESECUZIONE |
Palpazione | Dolore alla palpazione dei tendini della CDR |
Empty Can Test (Test di Jobe) | Il braccio del paziente deve essere elevato a 90° sul piano scapolare, con il gomito esteso, rotazione interna completa e pronazione dell’avambraccio; ciò si traduce in una posizione con i pollici in giù, come se il paziente stesse versando del liquido da una lattina; questo test è considerato positivo se il paziente avverte dolore o debolezza con resistenza |
Hawkins test | L’esaminatore posiziona il braccio del paziente a 90° di flessione della spalla con il gomito flesso a 90° e poi ruota internamente il braccio. Il test è considerato positivo se il paziente avverte dolore con rotazione interna |
Arco doloroso | Il paziente abduce lentamente il braccio con il pollice rivolto verso l’alto. L’arco doloroso è caratterizzato da una traiettoria dolorosa compresa tra 60°-120° di abduzione con un dolore minore all’inizio e alla fine del movimento. A 170°-180° di abduzione si osserva nei pazienti con disturbi alla spalla dovuti a patologia dell’articolazione acromion-claverare |
Sottospinato | Le braccia del paziente devono essere ai lati del corpo, senza toccare il tronco, con i gomiti flessi a 90 gradi. L’esaminatore appoggia la mano sul dorso delle mani del paziente. Al paziente viene chiesto di ruotare esternamente entrambi gli avambracci contro la resistenza dell’esaminatore. Il test è positivo quando c’è debolezza o dolore nella rotazione esterna. |
Trattamento
La gestione della tendinopatia della cuffia dei rotatori richiede un approccio attento e mirato. La terapia elettiva e primaria è quella conservativa mentre la chirurgia, necessaria in alcuni casi, deve essere presa in considerazione solo nel caso in cui l’approccio conservativo dovesse rivelarsi fallimentare dopo un ciclo di trattamento conservativo di 6-12 mesi fallito e varianti anatomiche confermate (Canata, 2017; Millar, 2021).
Tra le terapie conservative maggiormente adottate, soprattutto in ambito medico, ritroviamo sicuramente la terapia farmacologica. La somministrazione di FANS per via orale e l’iniezione di corticosteroidi sono comunemente utilizzati come trattamento iniziale per la tendinopatia, dimostrandosi particolarmente efficaci nelle fasi più acute della condizione, ovvero tutte quelle condizioni caratterizzate da dolore intenso (≥ a 7 nella scala NPRS), che si presenta in modo costante, a riposo e provoca significativi deficit nelle attività della vita quotidiana (ADL). Allo stesso modo, i pazienti che presentano una durata più lunga e una maggiore gravità dei sintomi hanno meno probabilità di avere una risposta positiva a questa tipologia di trattamento (Canata, 2017). Tuttavia, in entrambe le condizioni cliniche, l’approccio farmacologico sembrerebbe avere effetti di breve durata e, nel caso delle iniezioni di corticosteroidi, è stato osservato un secondario indebolimento della struttura tendinea, con un aumentato rischio di ricadute.
Attualmente, la fisioterapia basata su programmi di carico tendineo, rimane l’approccio conservativo più efficace. A partire dagli anni ‘80 e ancora di più negli anni ’90, è stata diffusa l’importanza dell’esercizio eccentrico, concetto successivamente smentito da evidenze che dimostrano come anche i tipi di contrazione mista possano apportare benefici nel trattamento, evidenziando che non esiste un tipo di contrazione migliore rispetto ad altre infatti, sebbene i programmi di esercizio eccentrico rimangano un’opzione di trattamento, la decisione su quale sia il miglior programma di carico tendineo da prescrivere dovrebbe essere una scelta individuale fatta tra il professionista sanitario prescrittore e il paziente. Una prescrizione dogmatica di esercizi eccentrici per tutti i pazienti con tendinopatia dovrebbe ora essere sostituita da opzioni e principi di carico, piuttosto che da protocolli di carico. Coinvolgere i pazienti e presentare opzioni di trattamento migliorerà l’alleanza di lavoro tra clinico e paziente e ottimizzerà l’aderenza al programma selezionato, giocando un ruolo significativo nel successo o nel fallimento del trattamento.
Come scegliere il tipo di contrazione?
Come anticipato nel paragrafo precedente non esiste un tipo di contrazione “universale” in grado di risolvere ogni tipo di tendinopatia. Infatti, l’approccio a questo genere di condizioni deve, invece, basarsi sul raggiungimento di obiettivi specifici, tenendo conto della fase della patologia e delle caratteristiche del paziente stesso (intensità del dolore, direzioni di movimento dolorose, necessità lavorative/sportive…).
Nella fase iniziale, caratterizzata da irritazione e dolore significativo, il nostro obiettivo principale sarà quello di modulare il dolore attraverso una gestione attenta dei carichi di lavoro, l’inserimento di contrazioni isometriche e, se necessario, l’uso di terapia farmacologica (Mascaró, 2018). Man mano che il paziente progredisce verso la seconda fase, ci concentreremo sul recupero della forza dell’unità muscolo-tendinea, utilizzando protocolli di carico ad esecuzione lenta e pesante, e variando le contrazioni tra isometriche, concentriche ed eccentriche, in base alla risposta del paziente e alla sua adesione al trattamento (Beyer, 2015). Una volta raggiunti livelli di forza adeguati, nella terza fase introdurremo esercizi di forza funzionale e accumulo energetico. Infine, se il paziente è un atleta o desidera tornare a un’attività sportiva, nella quarta fase ci concentreremo sul ricondizionamento sportivo, replicando il più possibile le richieste specifiche del suo sport (Mascaró, 2018).
Vediamo adesso un esempio di trattamento
Immaginiamo di avere un paziente di 45 anni, un appassionato di tennis, che si presenta con dolore alla spalla e difficoltà nei movimenti overhead. Dopo una valutazione approfondita, identifichiamo una tendinopatia della CDR in fase acuta, caratterizzata, quindi, da irritazione e dolore significativo.
Iniziamo il trattamento con l’obiettivo di modulare il dolore. Le strategie adottate includono:
- Educazione del paziente: Spieghiamo al paziente la natura della sua condizione, i fattori allevianti, quelli aggravanti e come gestire al meglio i carichi lavorativi
- Contrazioni isometriche: Introduciamo esercizi isometrici in direzione del movimento maggiormente compromesso
- Terapia farmacologica: Se il dolore è intenso, possiamo consigliare al paziente di consultare il medico per valutare la terapia farmacologica di supporto.
Dopo alcune settimane, il paziente riferisce una diminuzione del dolore e un miglioramento della funzionalità. Passiamo quindi alla fase 2, dove ci concentriamo sul recupero della forza attraverso:
- Protocolli di carico: Introduciamo contrazioni concentriche ed eccentriche, eventualmente anche esercizi con carichi leggeri, in base alla tolleranza del paziente, per stimolare la forza muscolare (es. alzate laterali, rotazioni esterne con il braccio a progressivi gradi di abduzione)
Una volta che il paziente ha raggiunto livelli di forza adeguati, passiamo alla fase successiva. Qui, introduciamo esercizi di forza funzionale e accumulo energetico, tra cui gli esercizi di frenata (rallentare caduta di una palla in posizione supina, rallentare il ritorno di un elastico in stazione eretta…).
Infine, se il paziente desidera tornare a giocare a tennis, nell’ultima fase ci concentriamo sul ricondizionamento sportivo attraverso un programma di esercizi sport specifici che includano anche elementi di stretch-shortening cycle, ovvero esercizi basati su una prima contrazione eccentrica (stretch – allungamento muscolare controllato) seguita da ammortizzazione e successiva contrazione concentrica (shortening – accorciamento).
E se il paziente non potesse interrompere/ridurre l’attività sportiva o lavorativa?
Esistono casi in cui i lavoratori siano in grado di ridurre la propria attività lavorativa, ad esempio durante il “pieno della stagione”, quando le richieste lavorative sono elevate. Allo stesso modo, ci sono sportivi che non possono assentarsi dalle competizioni sportive, poiché impegnati in eventi cruciali per la loro carriera. In entrambi i casi lo step fondamentale è quello di istruire il paziente riguardo la propria condizione clinica e le proprie responsabilità in merito all’adesione e alla gestione della tendinopatia, mettendo in chiaro già da subito i possibili limiti nei risultati del trattamento e l’allungamento della prognosi.
La gestione riabilitativa di entrambi i soggetti si dovrà basare sulle fasi precedentemente descritte ma, per quanto riguarda il “lavoratore” possiamo comunque intervenire in maniera intelligente cercando di modificare mansioni/compiti aggravanti la sintomatologia. È, altresì, fondamentale istruire il paziente sulla pianificazione delle pause e sugli eventuali esercizi che può svolgere direttamente sul luogo di lavoro per alleviare il dolore e migliorare la funzionalità.
Nel caso dello sportivo, non sarà possibile modificare il modo di giocare, poiché il paziente deve garantire il massimo livello di performance agonistica. In questa situazione, il nostro focus si sposterà sul monitoraggio del carico, permettendo all’atleta di continuare le sue attività sportive senza doverle interrompere completamente. Sarà, quindi, fondamentale aiutare l’atleta a comprendere quando può proseguire e quando è necessario fermarsi durante una sessione di allenamento, informandolo riguardo la corretta gestione del carico, poiché una gestione inadeguata potrebbe portare a complicazioni e, di conseguenza, a possibili tempi di indisponibilità maggiori.
Prognosi
La prognosi può variare significativamente in base a diversi fattori, tra cui la gravità della condizione, la fase della patologia, l’aderenza al trattamento e le caratteristiche individuali del paziente, come l’età e la presenza di eventuali lesioni della cuffia (più frequenti nei pazienti anziani e nei lavoratori manuali). In generale, il recupero può richiedere da 3 a 12 mesi, con tempi di recupero più brevi per coloro che presentano sintomi meno gravi, minori cambiamenti strutturali del tendine e minori richieste funzionali. L’intervento chirurgico, invece, deve essere preso in considerazione nei pazienti non-responders dopo 12 mesi di programma di carico personalizzato (Millar, 2021).
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