Protesi di caviglia

Ecco una guida per il fisioterapista sulla valutazione e gestione della protesi di caviglia.

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Quando bisognerebbe optare per la protesi di caviglia (Total Ankle Replacement-TAR) o per l’artrodesi?
Immaginate un paziente con dolore alla caviglia ricorrente durante l’anno; immaginate che questo dolore sia talmente invalidante da non permettergli la deambulazione e quindi le attività sociali; immaginatelo poi con una storia di trauma o pluritrauma tibio-tarsico con conseguente sviluppo di impingement o alterazioni dell’equilibrio metabolico osseo in favore di un rimaneggiamento non funzionale e conseguente situazione artrosica.

Quando l’approccio conservativo non ottiene beneficio, l’opzione chirurgica potrebbe essere l’unica soluzione per fare in modo che il paziente si riappropri della propria quotidianità.

L’artrodesi è stata per anni la scelta di elezione in casi di grave alterazione del tessuto osseo articolare e periarticolare della caviglia. In poche parole, la soluzione al dolore articolare è stata quella di togliere l’articolazione: “non posso mica avere dolore articolare se non ho più l’articolazione!“. Questo è senza dubbio corretto e ha consentito a tanti pazienti di riappropriarsi, seppur con degli adattamenti, delle proprie attività. Tale intervento aveva e ha comunque delle possibili complicanze post-operatorie1,2 tra cui:

  • malunioni/nonunioni;
  • alterazioni della biomeccanica del passo con conseguente sovraccarico delle articolazioni limitrofe a monte e a valle;
  • riduzione della velocità e dell’ampiezza del passo;
  • alterazione dello schema di salita e discesa dalle scale;
  • probabile sviluppo di artrosi precoce a ginocchia e articolazioni distali del piede.

È evidente come l’idea di preservare il movimento e, quindi, la possibilità di limitare/evitare parte di queste complicanze, unitariamente alla possibilità di garantire una migliore funzionalità articolare, abbia portato negli anni a implementare sia le tecniche chirurgiche sia il design protesico.

In base al grado di alterazione ossea e alle caratteristiche anamnestiche del paziente, sarà il chirurgo a proporre un tipo di approccio piuttosto che l’altro; per noi fisioterapisti, invece, la sfida sarà quella di capire in che modo guidare il percorso di recupero funzionale in un ambito carente di protocolli d’intervento validati.

Protesi di caviglia

Protesi di caviglia: tipologia di paziente

I pazienti candidati per la protesi di caviglia sono soggetti relativamente giovani con un’età compresa tra i 50 e i 70 anni. Il range d’età è preferenziale e non esclusivo, in quanto figlio della storia dei materiali protesici utilizzati2: se fino a qualche anno fa le indicazioni per l’età ottimale individuavano soggetti compresi tra i 50 e i 70 con basse richieste funzionali, in modo da ridurre la probabilità di usura delle componenti in polietilene e la successiva revisione della protesi stessa, studi più recenti hanno evidenziato come protesi di III e IV generazione abbiano outcome favorevoli anche in soggetti <50 anni e con richieste funzionali moderate, dando così un’alternativa all’artrodesi anche in pazienti più giovani3.

C’è però da sottolineare come alcuni autori prediligano comunque l’artrodesi in soggetti giovani in modo da lasciare aperta la possibilità di convertirla in artroprotesi, se dovessero sopraggiungere complicanze o necessità di revisioni dell’intervento negli anni; questo perché le complicanze sono molto frequenti in entrambe le operazioni (circa il 20%) se paragonate agli interventi di artroprotesi di anca o ginocchio (circa l’8%)4,5,6,7.

Oltre all’età, i criteri di eleggibilità per la protesi di caviglia sono il dolore al carico invalidante, artrosi/artrite in stadio avanzato la cui unica alternativa è l’artrodesi, avere una deformità ossea che consente comunque il raggiungimento della posizione neutra di caviglia, presenza di deformità sul piano frontale (varo-valgo) correggibile, avere i legamenti integri per garantire stabilità all’impianto.

Le controindicazioni all’intervento sono invece: infezioni attive, neuropatie periferiche, gravi alterazioni del circolo periferico, scarsa densità ossea che può ritardare o non consentire l’impianto protesico, elevate deformità in varo o valgo (può provocare mal allineamento protesico e quindi impingement dei tessuti molli o ossei)8.

INDICAZIONI CHIRURGICHECONTROINDICAZIONI CHIRURGICHE
Dolore articolare in carico invalidante come esito di deformità artrosiche o artritiche avanzateNeuropatie o arteriopatie periferiche o stato infettivo attivo
Età compresa tra i 50-70 anni (relativo)Scarsa qualità dell’osso
Basse-moderate richieste funzionali post-interventoPaziente con alte richieste funzionali
Deformità in varo-valgo riducibiliDeformità in varo-valgo non riducibile
Deformità ossea che garantisce comunque il raggiungimento della posizione neutraDeformità irriducibile sino alla posizione neutra
Integrità legamentosa per garantire stabilitàInstabilità articolare importante
Risultati non soddisfacenti di un intervento di artrodesi 
Tabella riassuntiva di indicazioni e controindicazioni per la protesi di caviglia.

Tipologia d’impianto e d’intervento

Perché per noi fisioterapisti è utile conoscere le modalità e le caratteristiche degli interventi a cui vengono sottoposti i nostri pazienti? Per 2 ragioni principali:

  1. avere un terreno di dialogo comune con il medico specialista, utilizzare lo stesso alfabeto per confrontarsi e comprendere le difficoltà che anche l’operatore chirurgico può inevitabilmente incontrare, ed essere quindi preparati a comprendere ciò che è “normale decorso” o “complicanza intra-post-operatoria;
  2. conoscere quali tessuti vengono coinvolti e in che maniera (lacerati, distratti, preservati, isolati), e cosa aspettarci dalla protesi (quanto range può concedere e che tipi di movimento), in modo da poter dirigere al meglio l’intervento riabilitativo.

Attualmente, le tipologie di protesi di caviglia più diffuse sono fisse a 2 elementi o mobili a 3 elementi9.

  • 2 elementi: un elemento tibiale in metallo e polietilene e un elemento astragalico metallico; sembrano essere più stabili rispetto alle mobili, ma sono soggette a forze di taglio maggiori sull’impianto tibiale; consente movimenti solo sul piano sagittale.
  • 3 elementi: elementi tibiale e astragalico in metallo a cui è interposto un cuscinetto in polietilene; più mobili con ridotte forze di taglio, ma più suscettibili a sublussazioni della componente in polietilene, che può generare impingement malleolare; consente movimenti sul piano sagittale e qualche grado di rotazione.

Da questi tipi di protesi, possiamo attenderci nel migliore dei casi una mobilità in dorsiflessione tra i 5°-10° e in flessione plantare di 20°-25°.

Protesi di caviglia: ROM
Range di movimento consentito dalla protesi di caviglia: 10° di dorsiflessione e 25° di plantiflessione.

La tecnica operatoria più comune è quella dell’accesso anteriore9,10,11 e prevede quanto segue.

  1. Taglio longitudinale tra i tendini del tibiale anteriore e dell’estensore lungo dell’alluce recidendo anche il retinacolo degli estensori e la capsula anteriore.
  2. Pulizia articolare da aderenze e osteofiti.
  3. Distrazione articolare.
  4. Resezione e asportazione delle superfici articolari e ossee di tibia e domo astragalico.
  5. Verifica dell’allineamento tramite l’installazione di impianti di prova.
  6. Se vi è meno di 5° di flessione dorsale, viene eseguito l’allungamento del tendine d’achille.
  7. A volte può essere necessario incidere anche a livello distale del perone per praticare una fusione dell’articolazione tibio-peroneale distale in modo da garantire una superficie più ampia per l’innesto protesico tibiale.
  8. Se c’è deformità sottoastragalica è possibile effettuare una fusione anche di quest’ultima.
  9. Inserimento degli impianti definitivi.
  10. Se vi è instabilità per lesione dei legamenti questi vengono ricostruiti.
  11. Riparazione e sutura dei tessuti.
  12. Medicazione compressiva di piede e caviglia per controllo dell’edema articolare e periferico.

Possibili complicanze intra e post-operatorie

Di seguito elenchiamo le complicanze intra e post-operatorie riguardanti l’intervento di protesi di caviglia.

  • Malposizionamento dell’impianto: può provocare instabilità con usura precoce dell’impianto o impingement e possibile dolore.
  • Frattura malleolare durante l’impianto: ciò porta all’aumento dei tempi d’immobilizzazione post-operatoria.
  • Resezione tendinea durante l’incisione.
  • Infezione.
  • Lesione del nervo peroneo superficiale o profondo.
  • Ritardo della guarigione cutanea della ferita e conseguente aumento del periodo di mobilità limitata.
  • Ritardo di consolidamento o malunione che portano all’aumento del periodo d’immobilità o a carico limitato.
  • Sindrome del tunnel tarsale.
  • Sindrome regionale complessa.
  • Degenerazione precoce sottoastragalica con dolore al carico.
  • Formazioni ossee eterotopiche che possono limitare il ROM.

Come già scritto in precedenza, le complicanze che pendono sull’intervento di protesi di caviglia o artrodesi sembrano essere sovrapponibili, ma in entrambi i casi sono più frequenti rispetto agli interventi di artroprotesi di anca o ginocchio, 20% vs 8% 7,12.

Risulta quindi cruciale che il paziente sia più idoneo possibile all’intervento per minimizzare il rischio13 e confrontarsi con l’ortopedico di riferimento per gestire al meglio gli imprevisti e la ricaduta che questo può avere sul paziente.


Obiettivi pre e post-intervento

Quali sono gli obiettivi da perseguire prima e dopo l’intervento di protesi di caviglia?

  • Eliminare il dolore articolare al carico e al movimento.
  • Correggere le deformità secondarie a trauma/patologia.
  • Ottenere un’articolazione stabile e funzionale.
  • Migliorare la forza e la resistenza muscolare nei gesti funzionali.

Trattamento riabilitativo

Descriveremo ora il trattamento riabilitativo post-intervento di protesi di caviglia, suddividendolo in 7 fasi in altrettante tabelle.

FASE 10-3 settimane dall’intervento
Carico non concesso e utilizzo di bendaggio post-operatorio.
ObiettiviDeambulazione con ausilio.
Ridurre l’ipotrofia da immobilizzazione tramite esercizi per anca, ginocchio e tronco.
Gestione del dolore e dell’edema.
CondotteGestione dell’edema tramite l’elevazione dell’arto inferiore al di sopra del cuore per più tempo possibile durante la giornata, ma per massimo 2-3 ore di seguito.
Educazione del paziente al monitoraggio dello stato della ferita chirurgica: temperatura locale, presenza di pus, zone con ritardo di guarigione o non fusione tissutale.
Inizialmente gli esercizi di attivazione e di mobilità vengono rivolti all’arto inferiore in toto e non direttamente all’articolazione operata.
Mantenimento del ROM dell’arto inferiore tramite esercizi di SLR passivo con cinghia.
Isometriche del quadricipite in SLR attivo.
Abduzioni di anca in decubito laterale.
Attivazioni addominali.
Rotazione esterna di anca in decubito laterale (clamshell).
Estensioni di anca da prono.
Flessioni di ginocchio da prono.
Criteri di progressioneDolore inferiore a 5/10 NPRS.
Paziente compliante.
FASE 23-6 Settimane
Carico concesso solo in stazione eretta statica con tutore che viene portato anche la notte.
ObiettiviGestione dolore e gonfiore.
Incrementare il ROM di caviglia e piede.
Contrastare la perdita di forza pluridistrettuale.
Aumentare la mobilità della cicatrice una volta che la ferita risulta guarita e asciutta.
Iniziare a caricare l’arto in stazione eretta.
CondotteSe durante l’intervento è stato effettuato un transfer tendineo bisogna evitare esercizi contro resistenza e allungamento della muscolatura coinvolta per i primi 3 mesi. È possibile togliere il tutore durante l’esecuzione degli esercizi.
Aumento del ROM tramite mobilizzazione passiva e attiva in tutti i piani dello spazio (flessione-estensione, inversione-eversione).
Mobilizzazione dell’alluce se rigido.
Mobilizzazione della cicatrice se la ferita chirurgica è guarita.
Trattamento dei tessuti molli se necessario.
Mantenimento delle qualità cardio-respiratorie attraverso l’utilizzo dell’armoergometro o esercizi ripetuti con gli arti superiori.
Esercizi addominali, plank e ponti con il tutore.
Una volta che il paziente riesce a mantenere la posizione seduta con la caviglia in neutro sarà possibile introdurre: flessione del ginocchio in posizione seduta facendo scivolare il piede sul pavimento; sollevamento del tallone; sollevamento dell’avampiede; esercizio del “piede corto“; flesso-estensione dell’alluce e delle dita; apertura e chiusura delle dita.
Per gestione del dolore e dell’edema, oltre all’elevazione prima menzionata: stimolazione elettrica; compressione intermittente; impacchi freddi intermittenti;.
Criteri di progressioneDolore 5/10 NPRS.
Diminuzione del gonfiore.
Aumento del ROM su tutti i piani.
Buona tolleranza al carico parziale.
   
   
FASE 36-10 settimane
Carico parziale.
ObiettiviSvezzamento progressivo da tutore.
Utilizzo di calzature per la deambulazione con ausili se necessario.
CondotteIncremento del ROM tramite allungamenti del tricipite surale in stazione eretta, mobilizzazione della caviglia e mobilizzazione della cicatrice.
Stretching della muscolatura della coscia.
Possibile introdurre cyclette prima con tutore e successivamente con scarpa da ginnastica se tollerato.
È indicata l’attività natatoria o la camminata in piscina se la ferita è guarita.
Esercizi contro resistenza di banda elastica monodirezionali (flessione-estensione, inversione-eversione).
Bridging su fitball e varianti.
Macchinari per il rinforzo di abduttori e addutori, leg extension e leg curl.
Criteri di progressioneRiduzione del gonfiore.
Assenza di dolore durante e dopo gli esercizi.
Buona tolleranza al cammino con scarpe da ginnastica 3/10 NPRS.
                 
                   
FASE 411-13 settimane
Carico completo.
ObiettiviNormalizzazione del cammino.
Progressivo incremento della forza degli AAII.
Incremento equilibrio e propriocezione.
Riduzione di dolore e gonfiore post-attività.
CondotteMobilizzazione se necessario.
Stretching in dorsiflessione su scalino.
Cyclette e/o attività in acqua.
Aumento d’intensità e durata degli esercizi precedenti.
Introduzione leg press, romanian deadlift, minisquat e progressione in squat.
Attività bipodalica su superficie stabile a occhi chiusi per poi progredire ad attività bipodalica su superficie instabile.
Criteri di progressioneMinimo dolore/gonfiore post-esercizio.
Deambulazione fisiologica.
   
   
FASE 514-16 settimane
ObiettiviIncremento forza.
Introduzione di esercizi in monopodalica.
Evitare dolore e gonfiore post-esercizio.
CondotteJogging in acqua.
Calf raise bipodalico.
Utilizzo della Seated calf machine.
Esercizi in monopodalica su superficie stabile.
Criteri di progressioneAssenza di aumento di gonfiore post-esercizio e assenza di dolore.
Buona tolleranza agli esercizi in monopodalica 3/10 NPRS.
   
   
FASE 64-6 mesi
ObiettiviContinuare l’incremento di forza.
Minimizzare gonfiore e dolore post-esercizio.
Buona tolleranza alla progressione in monopodalica.
Progressione in monopodalica su superficie instabile.
CondotteEllittica.
Tapis roulant.
Introduzione enfasi eccentrica sui calf raise (salita bipodalica, discesa unilaterale) con progressione verso l’unilateral calf raise.
Hip hike.
Affondi anteriori e laterali.
Single leg press.
Step up.
Affondi con la slide board.
Single leg squat.
Single leg wall side.
Esercizi in monopodalica su superficie instabile.
Criteri di progressioneNessun dolore e gonfiore dopo 30’ di camminata veloce.
Standing heel raise test 90% rispetto al controlaterale.
Forza di 5/5 MRC nel range disponibile.
Monopodalica su superficie stabile >30”.
   
FASE 76+ mesi
ObiettiviIntroduzione esercizi sport-specifici per attività a basso impatto (golf, yoga, ciclismo non competitivo).
CondotteIncremento dei carichi e intensità intesa come durata e velocità.
Introduzione di esercizi sport-specifici.
Criteri di progressione verso l’attività sportiva sceltaAutorizzazione medica.
Buoni punteggi all’Y-balance test e allo psych readiness to return to sport.

Y Balance Test | Test equilibrio funzionale
Esecuzione dell’Y Balance test.

Prognosi

La prognosi successiva a una protesi di caviglia non è mai certa ed è influenzata da diversi fattori quali la situazione pre-intervento, il tipo di intervento scelto, la compliance del paziente e l’insorgenza o meno delle frequenti complicanze intra o post-operatorie.

I protocolli riabilitativi completi non sono comunque mai inferiori all’anno, ma questi, come già detto, servono solo come indicazione: un canovaccio da adattare al singolo paziente a seconda della sua risposta all’intervento. Un intervento che è in progressiva espansione ed evoluzione e sul quale non si hanno ancora certezze consolidate.