Cefalea tensiva: diagnosi e trattamento

Ecco una guida per il fisioterapista su valutazione e gestione della cefalea tensiva.

La cefalea tensiva è il più comune tipo di mal di testa (1). Tipica dell’età adulta, presente in Europa più che in Asia ed America, ha una prevalenza di circa il 40% nella popolazione generale, rappresentando anche un importante onere sociale (1).


Cos’è la cefalea muscolotensiva?

Tension Type Headache è l’espressione inglese che indica tale tipologia di cefalea, classificata dall’International Headache Society come cefalea primaria, così come emicrania e cefalea a grappolo. Nell’International Classification of Headache Disorders, la cefalea tensiva è stata divisa, in base alle caratteristiche temporali degli attacchi, in cronica ed episodica, e quest’ultima in frequente ed infrequente (2). La cefalea muscolotensiva cronica (presente più di 180 giorni all’anno) è un disturbo serio, che causa un’importante riduzione della qualità della vita ed elevata disabilità. La forma episodica frequente (più di 12 e meno di 180 giorni all’anno) causa generalmente disabilità e spesso richiede terapie farmacologiche costose. La cefalea tensiva episodica infrequente (meno di 12 giorni all’anno), invece, è quella che più o meno tutti proviamo almeno una volta nella vita, che solitamente ha un minimo impatto sulla salute delle persone e per la quale, quindi, non si richiede assistenza medica (2). L’età media dei soggetti con cefalea tensiva episodica frequente – 42 anni – e di quelli con cefalea cronica – 47 anni – non cambia significativamente (3).

Le caratteristiche di questo tipo di mal di testa sono anche i criteri su cui ci si basa per diagnosticarla, tra cui la frequenza degli attacchi, che permette di distinguere tra le tre forme sopra descritte. La durata dei sintomi varia da 30 minuti a 7 giorni, mentre nella cronica il dolore può anche essere costante. La cefalea ha almeno due caratteristiche tra le seguenti: localizzazione bilaterale, sensazione di morsa-pressione, intensità lieve-moderata, non aggravamento con attività fisiche quotidiane (esempio camminare o fare le scale). Inoltre, al dolore non si associano né nausea o vomito, né fotofobia o fonofobia (2).

La cefalea muscolotensiva – particolarmente la forma cronica – può avere un impatto significativo sulla vita personale, sociale e lavorativa di coloro che ne soffrono. Due terzi dei pazienti con tension type headache cronica lamentano mal di testa per 25 o più giorni al mese, e per la metà di questi giorni l’intensità dei sintomi è moderata (4). Tali pazienti hanno un maggior livello di stress quotidiano e ricevono diagnosi di stati d’ansia e disturbi dell’umore più frequentemente di soggetti senza cefalea. È chiaro, quindi, come questo disturbo abbia un grande impatto negativo sulla qualità della vita –  maggiormente in tre aree: sonno, livello di energia, salute emotiva – e sia associato ad impairments delle attività della vita quotidiana (4).

La prognosi è discretamente positiva, considerato che il 47% dei soggetti con tension type headache cronica ha una remissione alla tipologia episodica, indipendentemente dall’avere fatto o meno profilassi (5). D’altra parte, il 12% delle forme episodiche evolve in cronica ed il 31% delle croniche rimane cronica (5). Sembra esistano fattori prognostici negativi, ossia che predispongono a poveri outcome o che favoriscono la cronicizzazione. Tra questi, alcune caratteristiche della cefalea – dolore unilaterale, nausea, durata del singolo attacco >72h –  e l’abuso di farmaci, sia per la gestione sia per la prevenzione degli attacchi (3). Sviluppare da subito una forma cronica, soffrire di disturbi del sonno, non essere sposati hanno un peso maggiore rispetto a fumo, stile di vita sedentario e bassa condizione di salute percepita nell’influenzare negativamente la prognosi della cefalea muscolotensiva (5).


Cefalea muscolotensiva: diagnosi differenziale

Le caratteristiche di tale tipo di mal di testa sono gli elementi su cui ci si basa per diagnosticarla e per fare diagnosi differenziale rispetto alle altre cefalee. Tuttavia, la rigida classificazione dell’International Headahce Society non sempre rispecchia la realtà clinica: numerosi studi hanno dimostrato come i sintomi caratteristici delle varie cefalee si sovrappongano in gran parte dei pazienti che ne soffrono, portando a considerare la possibile esistenza di quadri misti (6–9).

In particolare, tension type headache ed emicrania (entrambe cefalee primarie) possono presentare minime differenze tra loro o, addirittura a volte, fenotipi che si sovrappongono (10). I trigger tipici della cefalea muscolotensiva – stress, cambiamenti, ciclo mestruale – sono comuni all’emicrania (11), ed i sintomi considerati patognomonici per ciascuna cefalea non sono in realtà così specifici (10). Il dolore pulsante, caratteristico dell’emicrania, è riportato non essere tale dal 61% dei pazienti con tale diagnosi, mentre il 43-45% dei soggetti con tension type headache lamenta questo tipo di sintomo (12,13). Al contrario, la sensazione di morsa-pressione – che è uno dei criteri diagnostici per la cefalea tensiva –  è riferita soltanto dal 51% delle persone con tale forma di mal di testa, e dal 21% dei soggetti che soffrono di emicrania (12,13). Anche la distribuzione dei sintomi, elemento utile per fare diagnosi differenziale secondo l’International classification of headache disorders, probabilmente non è così affidabile. L’emicrania, comunemente considerata unilaterale, lo è nel 54% dei casi, tra cui solo il 21% side-locked (ossia sempre dallo stesso lato), mentre i restanti pazienti soffrono di mal di testa bilaterale (13,14); bilaterale come dovrebbe essere la cefalea muscolotensiva, che però è riportata essere tale soltanto dal 56% di soggetti con questa diagnosi (13). Infine, pure l’attività fisica, che dovrebbe peggiorare l’intensità dei sintomi nell’emicrania e non nella tension type headache, non rispetta fedelmente quanto riportato nei criteri di classificazione (2), infatti influisce negativamente sul mal di testa in entrambi i casi, rispettivamente nel 59-66% dei soggetti con emicrania e nel 32% dei soggetti con cefalea tensiva (12,13).

A complicare ulteriormente il processo di diagnosi differenziale ci pensa la cefalea cervicogenica: cefalea secondaria dovuta a disturbi cervicali, caratterizzata, quindi, da mal di testa associato a dolore al collo (2). Questo sintomo, considerando la popolazione generale, è più comune in soggetti con cefalea rispetto ai sani; in particolare, proprio emicrania e tension type headache sono le cefalee con maggior prevalenza di dolore al collo (76-89%)(15). Il 62% di pazienti con mal di testa primario lamenta anche sensazione di tensione e rigidità cervicale, così come il 90% delle persone che soffrono di cefalea cervicogenica; nemmeno questo, quindi, può considerarsi un sintomo discriminante (9).

Il complesso processo di diagnosi differenziale tra tali disturbi potrebbe dare meno preoccupazioni ai clinici se si considerasse quanto sostenuto da numerosi ricercatori, ossia la possibilità di trovarsi di fronte a quadri misti, in cui vi sia la sovrapposizione di più cefalee (6–9). Oppure, se si valutasse la teoria del continuum model, secondo la quale cefalea muscolotensiva ed emicrania non sono due entità distinte, ma piuttosto la seconda può riflettere un’evoluzione fisiologica della prima, con aggravamento dell’intensità dei sintomi e sensibilizzazione centrale (10).


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Dolore Cervicale

Gli elementi chiave relativi alla valutazione e trattamento del dolore cervicale.

Trattamento della cefalea tensiva

Quando una persona ha mal di testa è molto probabile che il suo primo pensiero sia assumere un antidolorifico. Questo è il trattamento indicato anche nelle linee guida per la fase acuta della cefalea (16). Infatti, la maggior parte degli attacchi di mal di testa in soggetti che soffrono di cefalea tensiva episodica è di moderata entità e può essere gestita in autonomia dal paziente con l’assunzione di analgesici. Tuttavia, l’efficacia di tali farmaci tende a ridursi con l’aumento della frequenza del mal di testa; e nella forma cronica – spesso associata ad ansia, stress e depressione – analgesici semplici (come paracetamolo e aspirina) possono essere inefficaci e dovrebbero essere usati con precauzione per non incorrere in un mal di testa da overuse di farmaci (16). Inoltre, l’abuso di farmaci sembra favorire l’insorgenza di emicrania in soggetti che già soffrono di cefalea tensiva (17).

Medicinali per la gestione del mal di testa vengono utilizzati anche sul fronte preventivo: la profilassi farmacologica dovrebbe essere considerata per i casi di tension type headache cronica, e può essere proposta anche nelle forme episodiche molto frequenti (16).

Ciò che non è farmacoterapia comprende numerosi interventi, tra cui educazione e rassicurazione del paziente, identificazione dei fattori scatenanti i sintomi, terapia cognitivo-comportamentale, tecniche rilassanti, agopuntura e fisioterapia, che sempre dovrebbero essere proposti per gestire la cefalea, nonostante il livello di evidenze sia ancora basso (16).

Il trattamento fisioterapico si avvale di tecniche articolari – trazione, mobilizzazioni, manipolazioni cervicali – e di tecniche dirette ai tessuti molli – di allungamento, di rilassamento, di disattivazione dei trigger points (18). Per quanto riguarda l’esercizio attivo, sono stati proposti e studiati esercizi posturali, di propriocezione, di rinforzo dei muscoli pericraniali, di collo e di spalla, e training aerobico (18–20). Sembrerebbe che il trattamento attivo che si basa su più modalità di lavoro e non su un singolo tipo si esercizio sia efficace nel ridurre frequenza, durata ed intensità del dolore nelle forme di tension type headache cronica ed episodica frequente (19,20). Inoltre, nei gruppi che hanno svolto training di rinforzo non si sono verificati eventi avversi, né si è aggravata l’intensità del mal di testa (19).

Terapia manuale nel trattamento della cefalea tensiva

La riabilitazione – intesa come intervento globale di educazione, terapia manuale ed esercizi – ha effetti positivi nella gestione della cefalea muscolotensiva: ad oggi non è ancora possibile determinare se vi sia e quale sia l’intervento specifico più appropriato (21). Recenti revisioni della letteratura riportano che la riabilitazione è più efficace della terapia farmacologica nel ridurre frequenza, intensità e durata dei sintomi, e nel migliorare la qualità della vita dei pazienti, nel breve termine (18,21). A distanza di qualche mese, invece, le differenze osservate tra riabilitazione e farmacoterapia vengono meno, probabilmente perché il programma riabilitativo ad un certo punto si conclude e con esso la gestione fisioterapica della cefalea, mentre i soggetti che hanno ricevuto cure con farmaci possono continuare ad assumerli al bisogno (21).


Conclusione

Varie teorie sostengono che i disturbi muscoloscheletrici abbiano un ruolo nella cefalea muscolotensiva, per questo la riabilitazione risulta essere un’appropriata modalità di gestione di questa patologia (22,23). E per mantenere i benefici ottenuti grazia alla fisioterapia, dovremmo spiegare ai nostri pazienti che fare esercizio attivo non significa dover eseguire quotidianamente esercizi specifici per collo e spalle, ma piuttosto vuol dire abbandonare l’inattività fisica, anche semplicemente camminare, correre, pedalare (20). Dovremmo, insomma, educarli ad uno stile di vita attivo; e forse l’effetto della riabilitazione si vedrebbe anche nel lungo termine.