Spondilolisi

Ecco una guida per il fisioterapista sulla valutazione e gestione della spondilolisi.

spondilolisi

Con “spondilolisi” si intende un’interruzione della continuità ossea tra il corpo di una vertebra e il suo arco. In sostanza, è una frattura della pars interarticularis dell’arco vertebrale, ovvero del suo istmo (o bone bridge) tra le superfici articolari superiori e inferiori di ogni vertebra. Può presentarsi unilateralmente o bilateralmente: se bilaterale, nel 40-66% dei casi evolve in una spondilolistesi[1,2,3].

La spondilolisi è maggiormente frequente nel sesso maschile, con un’incidenza doppia rispetto al sesso femminile. È un’alterazione ossea legata al carico somministrato alla colonna durante le fasi dello sviluppo: per questo motivo, la sua incidenza è nulla alla nascita e nella popolazione adulta che, per altre cause, non ha mai camminato[2], mentre aumenta nella popolazione sana in fase di sviluppo. È presente nel 4,4% dei bambini a 6 anni e nel 6% dei giovani di 19-20 anni, mentre difficilmente si sviluppano nuovi casi in età più avanzate[4]. Oltre al carico, ha un ruolo importante nello sviluppo di spondilolisi la genetica: già nel 1979 è stato notato come tra i parenti di primo grado di coloro che sono affetti da spondilolisi sia presente una incidenza decisamente maggiore di spondilolisi rispetto al resto della popolazione (19%)[5].

La spondilolisi non sempre è causa di disturbi e in molti casi risulta completamente asintomatica, rendendone difficile l’individuazione e gestione precoce: è importante, quindi, conoscere le caratteristiche tipiche dei pazienti a rischio per permettere uno screening ottimale.


Tipologia di paziente

Come già accennato, esiste una predisposizione allo sviluppo di spondilolisi in:

  • Maschi (rapporto maschi/femmine di 2:1)
  • Parenti di primo grado di pazienti con spondilolisi/spondilolistesi
  • Pazienti con patologie ossee concomitanti (spina bifida occulta, sindrome di Marfan, osteogenesi imperfetta e osteopetrosi)

L’età media di diagnosi è 15 anni e, dato che la causa di spondilolisi è lo stress applicato alla colonna durante infanzia e adolescenza, la prevalenza è maggiore negli adolescenti che praticano sport. In particolare, sono considerati sport e discipline ad alto rischio quelli che comportano un carico assiale ripetuto e/o continue iperestensioni e rotazioni lombari, come ginnastica, danza, tuffi, calcio, rugby, lotta, arti marziali, basket, cheerleading, lancio, golf, tennis, pallavolo, sollevamento pesi e nuoto (soprattutto a farfalla e rana)[6].


Patofisiologia

Le cause della spondilolisi sono multifattoriali e comprendono sia fattori meccanici che genetici. La spondilolisi colpisce l’istmo (spondilolisi istmica) vertebrale a livello lombare, in quanto in questo distretto è soggetto a forze maggiori rispetto ai tratti superiori. Inoltre, nelle vertebre lombari il nucleo di ossificazione è localizzato proprio a livello della pars interarticularis, rendendola più fragile fino alla completa maturazione ossea – intorno ai 19-20 anni – a causa della disposizione non uniforme di trabecole e corticale[7]. Il sito più colpito è L5 (85-95%), seguito da L4 (5-15%), mentre sono molto più rari i casi a vertebre superiori o che coinvolgono più distretti[2,4].

Prima che si formi l’interruzione anatomica della pars interarticularis, nell’istmo è inizialmente evidente una bone stress reaction dovuta a ripetuti microtraumi, con presenza di edema osseo e processi di guarigione e infiammatori locali, ma senza evidenza di frattura. All’aumentare del carico sulla colonna, la condizione peggiora, creando la lisi[8].

Nel 1995, Morita e colleghi hanno suddiviso lo sviluppo della spondilolisi in tre fasi:

  • Iniziale (o precoce): è visibile la linea di frattura, ma c’è ancora contiguità tra i due lati (viene definita hair-line defect);
  • Progressiva: la frattura è evidente e i due lati possono presentare un leggero spostamento, ma ci sono ancora fenomeni osteoriparativi in atto;
  • Terminale: la lesione è completa e ci sono evidenze di pseudoartrosi e sclerosi in sede di frattura[9].

Diagnosi differenziale

La diagnosi di spondilolisi è possibile solo tramite imaging. L’esame di primo livello è l’RX, in cui è evidente il tipico doggy’s collar sign nella proiezione obliqua. La radiografia, tuttavia, ha una sensibilità limitata (75%) e non permette di valutare in che fase si trova la lesione. Una RMN fornisce invece maggiori informazioni: ha una sensibilità del 92-95%, permette una diagnosi precoce ed evidenzia la presenza di bone stress reaction nelle fasi iniziali, grazie alla presenza di aree iperintense e bianche a causa dell’edema[10,11].

spondilolisi
Rappresentazione del doggy’s collar sign nella proiezione obliqua.

Elementi anamnestici

  • Dolore lombare con o senza episodio traumatico
  • Dolore che peggiora con le attività che richiedono estensioni e rotazioni lombare
  • Solitamente non sono presenti sintomi neurologici

Come visto in precedenza, la spondilolisi è di solito asintomatica e può essere riscontrata incidentalmente all’esame radiografico. Nel caso siano presenti, i sintomi della spondilolisi sono poco patognomonici: a fare la differenza nella valutazione è la classificazione del profilo di rischio del paziente. In particolare, bisogna prestare attenzione a bambini e adolescenti che praticano sport con continui microtraumi in estensione, soprattutto nel caso si tratti di un nuovo caso di LBP o sia già stata diagnostica una spondilolisi al paziente o ad un suo parente di primo grado.


Esame obiettivo e valutazione

  • Probabile iperlordosi lombare
  • Probabile sacral slope aumentato e presenza di cifosi lombosacrale
  • Possibile muscolatura posteriore di coscia accorciata
  • Estensione lombare provocativa
  • One-legged hyperextension test o stork test

Anche per la valutazione obiettiva, come per l’anamnesi, gli elementi valutabili risultano poco identificativi della patologia o hanno una bassa accuratezza diagnostica. È stato studiato come sia più frequente rilevare condizioni di iperlordosi lombare o un aumentato sacral slope nei giovani con spondilolisi, così come alcuni autori rilevano come elemento frequente in questi pazienti una maggior rigidità della muscolatura hamstring[12,13]. Nel 2012, Hirano e colleghi hanno provato a calcolare l’accuratezza diagnostica del dolore in estensione, evidenziando come abbia una sensibilità dell’81% e una specificità del 39,7% nei pazienti con spondilolisi: è, quindi, utile quando non è presente per escludere la maggior parte dei pazienti senza spondilolisi[10]. Lo stroke test è l’unico test clinico studiato per la valutazione della spondilolisi, tuttavia presenta bassi valori di accuratezza (Sn=50-73%, Sp=17-32%)[14].


Trattamento

Il trattamento della spondilolisi dovrebbe comprendere:

  • Riposo funzionale ed evitamento delle attività aggravanti per 4-6 settimane (fino a 6 mesi nei casi più gravi)
  • Ricondizionamento muscolare lombare e arti inferiori
  • Esercizi con graduale spostamento di focus dai flessori agli estensori
  • Graduale esposizione ai movimenti provocativi
  • Graduale ritorno allo sport

Quando individuata in fase precoce, la spondilolisi ha ottime possibilità di guarigione: per permettere che i processi riparativi abbiano successo è importante ridurre lo stress vertebrale, soprattutto sui movimenti in estensione e rotazione ripetuti. Per questo motivo, è consigliato sospendere le attività sportive per il tempo necessario. Nella maggior parte dei casi sono sufficienti 4-6 settimane, solo nelle situazioni più gravi può durare di più, fino a un massimo di 6 mesi. La sospensione dell’attività sportiva deve prevedere lo stop solo degli stress provocativi e non essere un riposo assoluto, ma, al contrario, essere accompagnato da un percorso riabilitativo attivo. Il trattamento deve basarsi sulla gestione dei sintomi e la presenza di dolore deve tendenzialmente essere un criterio di stop da attività ed esercizi. È importante nel percorso riabilitativo focalizzarsi sul mantenimento della condizione di fitness del giovane paziente (utilizzando strategie come allenamenti controllati in palestra o la cyclette) e iniziare fin da subito con esercizi per il tronco e gli arti inferiori, sia di reclutamento e rinforzo sia di mobilità, in base alla valutazione del singolo paziente, concentrandosi sugli impairment individuati durante la valutazione (ad esempio: flessibilità hamstring, endurance degli erettori, controllo eccentrico degli addominali, forza dei glutei.,,). Solitamente, è opportuno iniziare con lavori che evitano l’aumento della lordosi lombare, focalizzandosi su movimenti in flessione o reclutamento muscolare degli erettori in posizione neutra, per poi ampliarle gradualmente il range of motion e targettizzare l’estensione con il miglioramento dei sintomi. Il trattamento chirurgico deve essere considerato in caso di fallimento della riabilitazione a sei mesi.


Prognosi

La prognosi della spondilolisi è strettamente dipendente dalla precocità della diagnosi: infatti, se individuata in fase iniziale il tasso di guarigione (union rate) è molto alto (73-100%), diminuisce in fase progressiva (38,5-80%) e quasi si annulla in fase terminale. Le spondilolisi di L4 hanno un tasso di guarigione più alto rispetto a quelle di L5. Inoltre, circa il 13-14% dei pazienti va incontro a una recidiva, solitamente entro i 6 mesi dal primo episodio.

Il tasso di return to sport dei pazienti trattati conservativamente è di oltre il 90%, con l’89% dei pazienti che ritorna al livello premorboso[9,15].

È importante ricordare che, nel caso di fallimento riparativo di una spondilolisi bilaterale, il 40-66% dei pazienti va incontro a spondilolistesi istmica, la quale, se sintomatica, necessita di un’adeguata gestione.