Dolore Cronico: Definizione e Trattamento

In questo articolo vedremo insieme definizione e trattamento del dolore cronico.

dolore cronico
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Il dolore cronico è un’esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole associata o simile a quella associata a un danno tissutale effettivo o potenziale (1). Nel 2020, l’Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore (IASP) ha introdotto questa nuova definizione di dolore, modificando quella scorsa datata 1979. Questa nuova definizione – e le note associate nella pubblicazione – sono state accettate all’unanimità dal consiglio della IASP.


Dolore cronico: definizione

Il dolore cronico è un dolore che persiste o si ripresenta per un periodo di tempo prolungato. Tale dolore spesso è o diventa il problema clinico unico o predominante in alcuni pazienti (2). Come tale può giustificare una specifica valutazione diagnostica, terapia e riabilitazione (3).


Dolore cronico: differenze con quello acuto (nocicettivo)

Il dolore si distingue innanzitutto in dolore acuto oppure cronico. Il dolore acuto ha una funzione di protezione, è un segnale di allarme che avvisa la persona della presenza di una minaccia. Infatti questo nasce da uno stimolo nocivo e provoca un’immediata reazione di allarme nella persona (4). Deve essere preservato perchè significa un adattamento all’ambiente indispensabile per il mantenimento della vita. Si prova dolore acuto quando si subisce un danno, una lesione improvvisa in una parte del corpo, come ad esempio uno schiacciamento, una distorsione, un’ustione o un taglio. Quando il dolore acuto si manifesta, attiva il sistema nervoso centrale che reagisce opportunamente preservando il nostro organismo e, a seconda della minaccia, fa intervenire uno o più dei presìdi a tutela della vita di cui il nostro organismo è dotato, questi presìdi sono: il sistema immunitario, il sistema endocrino, il sistema motorio e il SNC. In questi casi, il trattamento della condizione scatenante è cruciale e può risolvere il dolore (5).

Tuttavia, il dolore può persistere, nonostante la corretta gestione della condizione che lo ha inizialmente causato o perché la condizione medica sottostante non può essere trattata con successo, e può cronicizzarsi.

Il dolore cronico non ha la funzione di “segnale di allarme”, come nel caso del dolore acuto, nocicettivo (5).

Si caratterizza piuttosto per la sua persistenza nel tempo e costituisce per ciò, secondo la OMS, una vera e propria patologia, è classificato come tale dalla letteratura scientifica e colpisce oltre il 20% della popolazione mondiale (6-7). Il dolore cronico può certo essere conseguenza di lesioni del nostro organismo a carico di articolazioni, ossa, tendini, muscoli, legamenti, organi, oppure conseguenza di malattie infiammatorie degenerative. Ma non solo: il dolore cronico si manifesta talvolta anche in situazioni in cui il paziente non soffre lesioni o malattie conclamate (3,5). È il caso ad esempio della fibromialgia, condizione nella quale il dolore sopravviene pur in assenza di qualsiasi anomalia dei tessuti. 


Dolore cronico: come trattarlo?

La comprensione tradizionale del dolore cronico è stata recentemente messa in discussione alla luce delle prove a sostegno di un ruolo chiave dei fattori psico-sociali e della sensibilizzazione centrale in questa popolazione. La recente letteratura scientifica incoraggia i fisioterapisti a trovare un equilibrio tra interventi manuali e interventi non manuali, che agiscano maggiormente sugli aspetti psicologici e sociali del dolore e che migliorino le capacità cognitive e comportamentali del paziente nella gestione del dolore e nel miglioramento della loro percezione del controllo sul dolore (8,9)

L’utilizzo di terapie come l’educazione terapeutica sul dolore o il pain coping skills consente ai pazienti di diventare più attivi nella gestione del dolore (10-11). Intrecciato in questo approccio c’è il rafforzamento dell’idea che il paziente non deve essere una vittima passiva del dolore e che i cambiamenti nel comportamento, nei pensieri e nell’umore possono esercitare un effetto significativo, aumentando così la propria auto-efficacia e quindi l’esperienza dolorosa (8-11)

In letteratura viene sottolineata l’importanza di incorporare questi interventi come parte di un piano di trattamento ampio e che includa più figure professionali (8-9). L’approccio multidisciplinare infatti comprende diverse modalità terapeutiche e, secondo le recenti evidenti scientifiche, risulta il più efficace nei pazienti con dolore cronico. Questa condizione infatti è caratterizzata da diverse manifestazioni cliniche in molteplici organi e apparati, sintomi cha hanno poi un forte impatto sulla quotidianità del paziente (1-5) 

Un trattamento basato esclusivamente su un’unica modalità terapeutica, ad esempio esclusivo sull’approccio farmacologico, potrebbe essere insufficiente per migliorare la situazione del paziente. Nei trattamenti multidisciplinari devono essere affrontati anche gli aspetti legati alle conseguenze che la malattia produce nella vita del paziente. Per questo motivo, l’inclusione di molteplici specialisti come psicologi, nutrizionisti, fisioterapisti, medici, terapisti di coppia, sessuologi, assistenti sociali, ecc., nel trattamento globale del paziente con dolore cronico, ha maggiori possibilità di successo (8,9,12).

L’elenco delle terapie non farmacologiche per il dolore cronico è ampio. Tra le proposte più efficaci studiate in letteratura sono presenti l’esercizio di forza e aerobico, la terapia cognitivo-comportamentale, la terapia di rilassamento, la consulenza di gruppo, la terapia manuale, la terapia occupazionale e l’educazione del dolore basata sulle neuroscienze (8-12).


Dolore cronico: come bisogna gestire il paziente?

Si osservano casi nei quali non si prova dolore pur in presenza di lesioni ai tessuti quali tendinapatie, rotture, meniscopatie, ernie del disco. Oppure, ancora,  casi in cui il dolore cronico non è riconducibile a nulla ti tutto ciò.  La conclusione è che non esiste, per tutte le persone, una relazione diretta e scontata tra lesioni o danni e dolore (13).

Il dolore cronico, infatti, può dipendere, per ogni individuo, da fattori di natura diversa: biologica, psicologica o sociale. Questa è la ragione per la quale nell’approccio terapeutico al dolore cronico si utilizza il cosiddetto “modello biopsicosociale” (14). Questo metodo obbliga a considerare, oltre all’ambito di origine fisico-organica del dolore come nel caso di lesioni, malattie o disturbi congeniti, anche l’eventuale sussistenza di cause psicologiche quali ansia, depressione, stress o anche trascorsi traumi di natura sociale come l’abuso, l’abbandono, il bullismo, il rifiuto sociale, cause che possono essere ulteriormente aggravate in condizioni soggettive particolari quali povertà, mancanza di lavoro, lutti (14). Inoltre, il dolore cronico spesso si auto-alimenta in quanto è di solito associato a frustrazione, rabbia, percezione dell’ingiustizia ma anche, purtroppo, talvolta motivo di disperazione e autocolpevolizzazione, condizioni nelle quali il dolore trova terreno fertile per amplificarsi.

La letteratura scientifica ci spiega, inoltre, che atteggiamenti o abitudini di vita come l’inattività fisica, disturbi del sonno, l’uso di alcol o tabacco, l’alimentazione, possono influenzare l’evoluzione del dolore cronico (14,15). 

Si può dunque affermare che l’approccio alla cura del dolore cronico non deve essere un percorso generalizzato per ogni persona, con il ricorso esclusivo a terapie indirizzate agli aspetti fisico-biologici, ma occorre, innanzitutto, esplorare la persona nella sua specificità, indagando molteplici aspetti, non solo di natura fisica, biologica, perchè, come abbiamo detto, le cause del dolore sono diversificate e sono proprie di ogni individuo, in quanto appartenenti ad un essere unico, qual è ognuno di noi. 


Conclusione

Il dolore cronico è spesso il problema clinico unico o predominante in alcuni pazienti (2). Come tale può giustificare una specifica valutazione diagnostica, terapia e riabilitazione. La recente letteratura scientifica incoraggia trattamenti multidisciplinari che uniscano interventi passivi a quelli in cui il paziente ha un ruolo attivo, che agiscano maggiormente sugli aspetti psico-sociali del dolore e che migliorino le capacità cognitive e comportamentali del paziente. Il dolore cronico infatti può dipendere, per ogni individuo, da fattori di natura diversa: biologica, psicologica o sociale.  Questa è la ragione per la quale nell’approccio terapeutico a questa condizione è necessario l’utilizzo del “modello biopsicosociale” (14).