Mal di schiena cronico: possiamo essere specifici?

Il dolore persistente è certamente una bestia complessa e se vogliamo parlare di una parte del corpo in particolare, possiamo dire che il dolore lombare sia il “kraken”* di tutti i disordini muscoloscheletrici. Nel 2018 è stata la causa principale della disabilità globale e ha dominato la classifica per circa 30 anni. (James et al., 2018)

La domanda è: perché?

Del dolore lombare cronico (Chronic Low Back Pain, CLBP) è stato detto che è “enigmatico, a causa dell’assenza di chiarezza eziologica” e “che quando ci confrontiamo con un sintomo inspiegato come il LBP dovremmo pensare a  una diversa strategia.”  (Eriksen, Kerry, Mumford, Lie, & Anjum, 2013). Come evidenziano gli autori, quando non si possono fornire collegamenti causali con una patologia, la gestione biomedica per la riduzione del dolore è spesso inefficace. In ogni caso, ci sono clinici che sfidano  queste affermazioni, sostenendo che strutture pato-anatomiche possano essere  riconosciute come causa specifica del dolore alla schiena. In particolare, il disco intervertebrale, le faccette articolari e l’articolazione sacro-iliaca (M. J. Hancock et al., 2007). Per di più, ci sono procedure diagnostiche che possono confermare che queste strutture siano la sorgente del dolore.

Quindi, riguardo alla persona che ha mal di schiena questo può portare ad un significativo enigma: come può qualcosa che si sente localizzato in modo così specifico (il dolore) nel corpo non essere correlato con una struttura nella stessa area? Questa è la sfida che tutti i clinici affrontano, specialmente nel caso di LBP non specifico, ed è questo argomento che vorrei approfondire e condividere in questo blog.

Il LBP può essere classificato in due modi – specifico e non specifico.


Low Back Pain specifico

Patologia severa – Questa categoria include infezioni, trauma, cancro, malattie vascolari (aneurisma), malattie infiammatorie, cauda equina, ecc. , e richiede un referral immediato al team medico.

Patologia neuropatica – qualsiasi sintomo di coinvolgimento del nervo che rifletta sintomi radicolari o radicolopatia. Con una diagnosi appropriata può essere gestita conservativamente o con interventi sul dolore o in alcuni casi chirurgicamente.


Low Back Pain non specifico (NSLBP)

Definito come LBP non attribuibile ad una causa nota, o la cui causa patoanatomica** del dolore non può essere determinata.  Questo include tutte le strutture dei tessuti molli all’interno e attorno alla colonna. (Maher, Underwood, & Buchbinder, 2017).

Ho evidenziato parte della definizione del NSLBP dato che soprattutto tale parte sembra essere un’area di controversie fra i clinici.

Per questo motivo, per capire perché c’è disaccordo riguardo all’etichetta di NSLBP voglio tentare di approfondire tre argomenti:

  • Valutare le varie evidenze a proposito del perché il LBP sia stato etichettato come non specifico.
  • Le opinioni dei pazienti che si riflettono nell’evidenza qualitativa.
  • Le opinioni dei clinici dai social media e le evidenze che le supportano.

Valutazione dell’evidenza sul perché del NSLBP

Il NSLBP è un problema controverso (ammetto di non aver mai usato il termine direttamente con i pazienti e che non avrò intenzione di farlo in futuro). C’è una divisione fra i clinici che discutono sul fatto che la causa del mal di schiena sia diagnosticabile. L’indagine delle ricerche che affermano la specificità del LBP sarà approfondita in seguito. Prima di affrontare questo argomento, è di particolare importanza discutere le ragioni dell’esistenza del termine NSLBP.

L’accordo sul LBP come sintomo più che come malattia è stato discusso da molti articoli scientifici (Balagué, Mannion, Pellisé, & Cedraschi, 2012; Booth et al., 2017; Hartvigsen et al., 2018; Maher et al., 2017). Questo suggerisce che il LBP sia il risultato di qualcosa che è malato e porta a sviluppare sintomi piuttosto che suggerire che il LBP sia la malattia stessa.  Al contrario, è stato discusso recentemente che il NSLBP, assieme ad altre condizioni di dolore persistente (FMS, IBS, CFS), sia una malattia a sé stante e parte di un sottogruppo di problemi di dolore cronico chiamato “dolore cronico primario”.  “A disease in its own right in that the new pain descriptor ‘nociplastic’ pain is understood to describe some of the underlying mechanisms” (Treede et al., 2018)

Dagli anni 40 fino agli anni 80 il disco intervertebrale  diventò il target del trattamento, essendo considerato causa del LBP (Allan & Waddell, 1989; Lutz, Butzlaff, & Schultz-venrath, 2003; Maharty, 2012). Tecnologie come gli RX, RM e TC emersero, fornendo ai clinici una maniera rivoluzionaria di guardare all’interno del corpo per identificare una patologia, e quindi il pendolo oscillò verso la fiducia nei confronti dei risultati della tecnologia diagnostica rispetto al giudizio clinico (Allan & Waddell, 1989; Lutz et al., 2003; Maharty, 2012). Nonostante questa abilità di vedere all’interno del corpo, i trial clinici che utilizzano imaging diagnostico hanno identificato come si possa avere una patologia asintomatica (Brinjikji et al., 2015; D. Chou et al., 2011; Nakashima et al., 2015). Anche andando indietro fino agli anni ’40 e ’50 la ricerca aveva identificato segni di patologia asintomatici negli anziani (Allan & Waddell, 1989; Lutz et al., 2003). L’ideologia che sta dietro a questo pensiero era la comprensione del corpo come se fosse una macchina (Loftus, 2011), applicando i principi dell’ortopedia strutturale e della biomeccanica per giustificare un’ipotesi di correlazione fra dolore e patologia (Allan & Waddell, 1989). Il fallimento del modello biomedico nel fornire collegamenti di causa fra dolore e patologia e un simultaneo aumento nella disabilità e tasso di dolore persistente è sfociato nella genesi del NSLBP.


Evidenza qualitativa del LBP                                                   

 Esiste una vasta ricerca sui meccanismi pato-anatomici del LBP, ma per comprendere il mal di schiena dobbiamo scavare in come esso influisca sull’individuo. Nella sezione precedente ho parlato di alcune ragioni delle carenze nell’ottenere una diagnosi specifica del mal di schiena. Il dolore è un fenomeno multidimensionale e comprendere il mal di schiena al di là del ragionamento pato-anatomico significa considerare l’esperienza di chi vive con il dolore. Valutando l’evidenza sembrerebbe logico farlo. (Nota – tengo conto del fatto che ci siano limitazioni in ogni forma di studio e accetterò argomentazioni a favore e contro i paragrafi successivi).

Spesso, nel LBP c’è un accordo comune che le presentazioni pato-anatomiche siano presumibilmente il risultato di un danno o di un carico ripetuto come il sollevamento pesi.

La postura, il piegarsi e sollevare sono termini strettamente correlati con il mal di schiena. L’opinione pubblica dalla letteratura di ricerca indicherebbe che una buona postura è molto importante per proteggere la schiena (B. Darlow et al., 2014). Nello studio di Darlow, si fa riferimento ad una ricerca simile che è stata condotta in altri stati sulle attitudini delle persone riguardo il mal di schiena. I partecipanti sono stati intervistati a proposito delle loro attitudini e credenze a riguardo. Molto interessanti sono state le seguenti affermazioni e la corrispondente percentuale di  soggetti che si trovano d’accordo con l’affermazione.

Le affermazioni  ”piegare la schiena fa bene alla schiena” (punteggio 59,3), “una buona postura è importante per proteggere la schiena” (98,7), e “sollevare oggetti senza piegare le ginocchia non è sicuro per la tua schiena” (93,5) hanno dimostrato credenze particolarmente forti. Inaspettatamente un’affermazione successiva dello studio di Darlow “per trattare efficacemente il mal di schiena, devi sapere esattamente cosa non va”  ha riscontrato l’86,2 di accordo. Questo ha senso, perché naturalmente le persone vogliono sapere cosa non va in loro.

I punteggi nell’articolo di Darlow del 2014 erano simili a quelli degli altri stati. Questo suggerisce che tali credenze sono uniformi nella società globale.

È interessante che mentre la postura, il piegarsi e sollevare indicati dallo studio di Darlow siano identificati come immagini negative per la schiena, le evidenze pubblicate (dal lontano 1965) suggeriscono che piegare le ginocchia prima della schiena non sia maggiormente protettivo per la colonna durante i sollevamenti (Davis, Troup, & Burnard, 1965; Potvin, Norman, & McGill, 1991; Veres, Robertson, & Broom, 2010), e che fornendo informazioni su quella che storicamente è intesa come buona postura potrebbe portare alla credenza che sollevare con altre strategie rispetto alla buona postura sia pericoloso (Caneiro et al., 2018; B. Darlow et al., 2014).

Nella sua sintesi qualitativa “Esplorare l’esperienza del CLBP”, Samantha Bunzli ha identificato tre temi che descrivano l’esperienza del CLBP: ‘la costruzione sociale del CLBP, l’impatto psicosociale della natura non prevedibile e onnipresente del dolore e le strategie impiegate per gestire il dolore e proteggersi dall’assalto a se stessi’ (Bunzli, Watkins, Smith, Schutze, & O’Sullivan, 2013). Il suo articolo continua discutendo che  l’esperienza del CLBP ‘potrebbe essere concettualizzata come una sospensione biografica’, a significare che gli individui che vivono con il CLBP sono in uno stato di animazione sospesa, la loro vita è vista come se il pulsante pausa fosse stato premuto sulla traccia video della loro vita. Solo una volta raggiunta l’assenza di dolore si potrebbe ricominciare a vivere.

Con così tanta enfasi sulla correlazione fra dolore e patologia come parte del ragionamento biomedico,sembra ingiusto da parte dei professionisti sanitari il non considerare i più ampi fattori contestuali di una cornice biopsicosociale.

Ci sono due brevi punti che vorrei evidenziare qui. 1) l’impatto che i professionisti sanitari possono avere sui pazienti con LBP se orientiati verso un modello più biomedico (Ben Darlow et al., 2013; Domenech, Sánchez-Zuriaga, Segura-Ortí, Espejo-Tort, & Lisón, 2011) e 2) la scorretta rappresentazione del modello biopsicosociale. Alcuni studi accusano che sia stato dimenticato il bio (Mark J. Hancock, Maher, Laslett, Hay, & Koes, 2011) a causa della svolta verso la ricerca psicosociale o che l’approccio BPS sia stato capito male e comunque applicato (Pincus et al., 2013).

Risponderei che c’è continua ricerca all’interno delle professioni biomediche, e che abbiamo fatto pochissima strada dall’articolo iniziale di Gordon Waddel intitolato “Un nuovo modello clinico per il trattamento del LBP” (Waddell, 1987). Per questo sembrerebbe ragionevole allargare le nostre prospettive più verso la ricerca qualitativa, verso come comunicare con i nostri pazienti e capire cosa rappresenta in realtà il bio nel modello BPS, come per esempio la fisiologia, i meccanismi biocomportamentali, la personificazione, come l’aspetto cognitivo può influenzare il più ampio spettro di quello che il comportamento rappresenta e viceversa, non semplicemente la patologia e la biomeccanica.


Cos’hanno da dire i social media?                            

Sono sicuro che la maggior parte di chi sta leggendo sarà d’accordo che il LBP sia un argomento di discussione molto popolare sui social media, davvero enorme! Una recente conversazione di twitter a proposito non è durata meno di 5 settimane! Questo ha anche portato ogni tipo di opinioni, credenze, bias, attacchi personali e qualche deliberata presa in giro.

Tutto sommato, la conversazione è stata ragionevolmente civile e rispettosa. Così, per questa più estesa sezione finale ho deciso di considerare parte della discussione avuta sui social media riguardo l’affidabilità clinica nei confronti del riconoscimento di strutture specifiche come causa di LBP.

Andiamo al punto, c’è una forte argomentazione a favore della capacità di identificare la causa patoanatomica del Low back pain non specifico (Tabella 1). Molti articoli hanno evidenziato la prevalenza di strutture specifiche come sorgente del LBP. Più comunemente esse includono il disco intervertebrale, le articolazioni faccettarie e l’articolazione sacro iliaca. Una selezione di articoli è stata identificata qui sotto.

Titolo dell’articoloAutori% di prevalenza della struttura
Systematic review of tests to identify the disc, SIJ or facet joint as the source of low back pain(M. J. Hancock et al., 2007)39% = Disco

 

15% = Faccette articolari

13% = Articolazione Sacro-iliaca

Pain Originating from the Lumbar Facet Joints(van Kleef et al., 2010)5% – 15% = Faccette articolari
Pathomechanisms of discogenic low back pain in humans and animal models(Ohtori, Inoue, & Miyagi, 2015)39% – 42% = Disco
Mechanisms of low back pain: a guide for diagnosis and therapy(Allegri et al., 2016)39% = Disco

 

30% = Faccette articolari

10% – 62% = Articolazione Sacroiliaca, dipendentemente dalla selezione del blocco

What Is the Source of Chronic Low Back Pain and Does Age Play a Role?(DePalma, Ketchum, & Saullo, 2011)42% = Disco

 

31% = Faccette articolari

18% = Articolazione Sacroiliaca

Tabella 1. selezione degli articoli che identificano la percentuale di prevalenza delle strutture.

È generalmente accettato in campo accademico e clinico che l’affidabilità dell’identificazione di strutture dolenti utilizzando l’imaging sia scarsa.  L’imaging non fornisce al clinico l’abilità di discriminare se una struttura generi dolore o sia asintomatica (vedere figura 3).

Figura 3. Brinjikji 2015

Il problema è che è più difficile spiegare perché c’è il dolore, e la sua relazione con il tessuto. Questo ha anche portato a qualche dibattito che accusava i clinici di essere colpevoli di nichilismo diagnostico (DePalma, 2015). La mia opinione in risposta a ciò è che tali clinici nel campo del LBP non specifico non suggeriscano che non vi sia niente a provocarlo, bensì che non sia possibile che vi sia una singola causa.


Quindi come si può identificare strutture tissutali come causa del dolore?

La risposta è che non si può. Potremmo dire che i tessuti sono, a un certo punto, una fonte di nocicezione (ovvero la trasmissione di informazione nociva), ma il dolore è un’esperienza umana. Come già detto in precedenza, l’imaging è un metodo, ma non è affidabile. Le alternative attuali includono blocchi per le faccette articolari e la sacro iliaca (Bogduk, 2004). Per il disco intervertebrale esiste una procedura chiamata discografia e proprio questa sarà il focus principale della prossima sezione.


Discografia provocativa

Una procedura di discografia mira ad identificare il disco intervertebrale come sorgente del dolore – a cui ci si riferisce con il termine dolore discogenico. È una procedura invasiva, il che vuol dire che lo specialista inserirà un ago nella colonna dell’individuo al livello che si presume sia la sorgente dei sintomi. Una volta che il disco selezionato è localizzato (la procedura è svolta con imaging concomitante) una soluzione di contrasto è iniettata nel disco portando ad un aumento della pressione nel suo interno. È questo aumento di pressione nel disco che si dice riproduca il dolore del soggetto e si correli con il fatto che il disco sia la fonte del dolore. Il mezzo di contrasto aiuta anche ad identificare lo stato dell’interno del disco, inferendo che se la soluzione si sparge nell’aspetto esterno allora 1) c’è un’interruzione interna del disco e 2) i nervi che innervano tale area siano stati sensibilizzati a causa del danno interno al disco.

Si ottiene la conferma di ciò se l’iniezione di un disco adiacente non provoca dolore, e può essere fatta la diagnosi risultante che il disco affetto sia la fonte del dolore (Laslett, Öberg, Aprill, & McDonald, 2005).


Trattamento conservativo

In aggiunta all’identificazione del disco come fonte del dolore, i protocolli di cure conservative sono stati sviluppati proponendo che se effettuando movimenti ripetuti o sostenuti si verifica una rapida riduzione dei sintomi periferici (alla gamba) associati con il mal di schiena, o essi si muovono verso una posizione più centrale (colonna), si assume che il disco sia la fonte del dolore e dei sintomi. Ci si riferisce a questo fenomeno clinico con il nome di ‘centralizzazione’ o ‘fenomeno di centralizzazione’ (McKenzie & May, 2003). Per di più, Laslett et al., (2005) hanno scoperto che con l’applicazione del protocollo di movimento McKenzie in relazione agli standard di riferimento concordati, se ci fosse stata una preferenza direzionale, c’era un 90% di specificità che il disco fosse la fonte del dolore.

Dato che una serie di articoli fa raccomandazioni sul valore prognostico della discografia (Bogduk, 2004; DePalma et al., 2011; Depalma, Ketchum, Trussell, Saullo, & Slipman, 2011; Laslett, Öberg, et al., 2005) e l’utilizzo del protocollo di movimento Mckenzie per determinare un dolore discogenico (Donelson, Grant, Kamps, & Medcalf, 1991; Laslett, McDonald, Tropp, Aprill, & Öberg, 2005; Werneke & Hart, 2001; Werneke, Hart, & Cook, 1999) è appropriato:

  • Valutare l’evidenza a proposito della discografia lombare;
  • Valutare l’evidenza a proposito della diagnosi e terapia meccanica come metodo di identificazione di dolore discogenico.

La discografia è un metodo affidabile per determinare il dolore discogenico?

La discografia provocativa (DP) è stata considerata il “procedimento più specifico per diagnosticare LBP discogenico” (Manchikanti et al., 2018)L’International Spine Society raccomanda 4 criteri per definire il dolore discogenico: 1)la stimolazione del disco sospettato deve indurre un dolore coerente, 2) il dolore deve essere almeno 7/10 sulla NRS, 3) il dolore è provocato da meno di 50 psi (pound per square inch) in più rispetto alla pressione di apertura e 4)la stimolazione di almeno un disco adiacente non deve indurre dolore (Willems, 2014).

Comunque, i criteri sono stati criticati a causa di ritrovamenti falsi positivi durante la procedura, come il fatto che il dolore sia un’esperienza soggettiva o alte pressioni provocative (più di 50 psi). È stato dimostrato che la pressione sopra i 50 psi provochi dolore in dischi asintomatici (Willems, 2014). Per di più, la discografia provocativa è stata associata a discite post-discografia (Willems, 2014) e ad accelerazione della malattia degenerativa del disco (Cuellar et al., 2016). Per finire, gli standard di riferimento disponibili per la DP sono considerati inaffidabili (Willems, 2014) e gli stessi standard di riferimento potrebbero essere soggetti a bias significativi che influiscono sull’accuratezza diagnostica delle procedure (Reitsma, Rutjes, Khan, Coomarasamy, & Bossuyt, 2009).

Uno dei molti problemi con la DP è che mentre si sostiene che attualmente sia la via diagnostica più efficace per il dolore discogenico, una volta che la procedura è stata svolta ci sono un numero limitato di procedure per gestire questa condizione. È stato dimostrato lo scarso effetto che hanno le infiltrazioni di steroidi nel lungo termine (Deyo, Mirza, Turner, & Martin, 2009; Staal, de Bie, de Vet, Hildebrandt, & Nelemans, 2009) e anche la chirurgia di fusione spinale ha fornito ben poco miglioramento nel mal di schiena (R. Chou, 2013; Deyo et al., 2009; Harris, Traeger, Stanford, Maher, & Buchbinder, 2018; Maher et al., 2017).


Diagnosi e terapia meccanica      

La diagnosi e terapia meccanica (Mechanical Diagnosis and Therapy, MDT) è un metodo popolare fra i fisioterapisti per la diagnosi e trattamento nel dolore lombare e cervicale. Originariamente sviluppato da Robin McKenzie, tale approccio classifica i sintomi riportati dai pazienti in sottogruppi basati sui ritrovamenti della valutazione. Assieme ad una anamnesi soggettiva, i clinici svolgono test neurologici e valutano deficit di movimento e modificazioni dei sintomi attraverso la valutazione del movimento ripetuto e delle posture sostenute. I 3 sottogruppi meccanici della MDT includono il disequilibrio, la disfunzione e le sindromi posturali. Un altro sottogruppo considera problematiche di causa non meccanica, patologie severe, problemi post-chirurgici, spondilolisi e spondilolistesi o dolore cronico.

L’intento della MDT è far provare al paziente, attraverso l’utilizzo di movimenti ripetuti, una centralizzazione dei sintomi dalla periferia a localizzazioni più centrali, vicine all’area che si sospetta sia la fonte dei sintomi. In base alla storia soggettiva e alla valutazione del movimento se con uno specifico movimento sono riferiti sintomi in diminuzione si dice che c’è una preferenza direzionale***. Studi hanno identificato che la maggior parte degli individui dimostrano una preferenza direzionale in estensione (Donelson et al., 1991; Werneke & Hart, 2003), e uno studio la riporta nel 83%dei casi. È interessante che alcuni individui dimostrino una preferenza direzionale in flessione (attorno al 7%).

Per di più, uno studio di Laslett et al. (2005) ha riportato che in relazione agli standard di riferimento della discografia provocativa ‘la centralizzazione osservata durante una valutazione McKenzie di movimento ripetuto (che ha come scopi principali di determinare la preferenza direzionale e raggiungere un fenomeno di centralizzazione) ha una specificità dell’89% in pazienti con disabilità severe e fra i pazienti senza disabilità o stress severi è del 100%. In ogni caso, in presenza di severa disabilità, la specificità è ridotta al 80%’. Per questo può essere affermato che una maggioranza di partecipanti nello studio di Laslett avesse una preferenza direzionale verso l’estensione. Ciò che non è chiaro è il numero dei partecipanti allo studio destinati ai gruppi a rischio, stress depressivo e stress somatico come indicato dal metodo Distress and Risk Assessmente Method (DRAM )(Main, CJ, Wood, 1992).

Per di più Laslett, McDonald, et al., (2005) hanno indagato se si potesse creare un accordo fra un fisioterapista che usa MDT e un radiologo che usa varie procedure diagnostiche invasive. La domanda che effettivamente ci si pone è se un fisioterapista che usa MDT come metodo diagnostico sia affidabile comparata agli standard di riferimento degli studi di imaging con discografia provocativa, blocchi articolari di faccette, sacroiliaca e anca, infiltrazioni epidurali. È importante riconoscere che (in accordo con le evidenze) non sembra che esista uno standard di riferimento formale per la discografia (Bogduk, Aprill, & Derby, 2013).

Basandosi sulle diagnosi secondo gli standard di riferimento****/opinione degli esperti, la possibilità di un fisioterapista di indovinare la diagnosi è del 13%. I risultati riportano che l’accordo generale sulla base della probabilità era fra il 32 e il 57%. L’uso della statistica Kappa di Cohen è servito a determinare l’accordo fra le diagnosi fisioterapiche e le diagnosi secondo gli standard di riferimento. Il punteggio della Kappa era 0.31, che denota o un range di accordo da minimo a discreto (McHugh, 2013; Viera & Garrett, 2005).

Mentre ci sono forti difese del metodo McKenzie, penso che quello che ciò ci dimostra è che sia una grande sfida identificare con certezza che una specifica struttura sia la sorgente del dolore. Non era mia intenzione di essere troppo critico sul lavoro di Laslett dato che deve essere lodato per il suo impegno ad un metodo che è veramente la pietra d’angolo della pratica della fisioterapia muscolo scheletrica per il LBP.

Comunque ci sono molte questioni che sorgono dalla lettura e interpretazione di questa estesa lista di ricerche. Quindi, senza andare nei dettegli chiuderò questo articolo lasciando una serie di punti su cui riflettere:

  • Che relazione c’è fra la nocicezione e la meccano-sensibilità? Una proporzione di Meccanocettori ad Alta soglia può essere descritta come Nocicettori (Dean, Gwilym, & Carr, 2013).
  • Quali cambiamenti biochimici ci sono all’interno dei neuroni sensoriali nel ganglio della radice dorsale come risultato del rilascio prolungato di mediatori infiammatori, che risultano in un abbassamento della soglia di attivazione e nell’aumento dell’ipereccitabilità? (Edgar, 2007; Schmid, Coppieters, Ruitenberg, & McLachlan, 2013)
  • Il CLBP relativo a un disco degenerato è una forma di dolore viscerale dovuto al fatto che le afferenze nocicettive siano situate vicine ad esso e si comportino come afferenze simpatiche? (Edgar, 2007).
  • Che associazione c’è fra meccanocettori, propriocettori e nocicettori? È da considerare la recente ricerca di Stanton, Moseley, Wong, & Kawchuk, (2017)e le revisioni sull’argomento di Moseley & Vlaeyen, (2015)
  • I comportamenti da dolore e l’alta proporzione di CLBP dimostrano paura delle attività basate sulla flessione (Vlaeyen., 2013)
  • La recente identificazione dei descrittori del dolore nociplastico riflette cambiamento nella funzione delle vie del dolore? (Eva et al., 2016)
  • Dove mettiamo il contesto nella MDT?

Per riassumere

Il LBP è complicato, mentre ci sono clinici che preferiscono far parte del campo “specifico” dobbiamo considerare che ci sono molteplici fattori coinvolti nella relazione terapeutica fra clinico e paziente che possono influire sul risultato (Ferreira et al., 2013).

Ci sono delle sfide per quanto riguarda l’imaging diagnostico e i sistemi di classificazione come l’MDT a causa delle loro limitazioni e dei molteplici fattori associati al CLBP (Rabey, Beales, Slater, & O’Sullivan, 2015). Questo può anche portare a difficoltà nel determinare i risultati del trattamento in persone con CLBP (Rabey, Smith, Beales, Slater, & O’Sullivan, 2017).

Quello che si può dire è che sappiamo molto di più di come qualcosa così complesso come il LBP (senza considerare la sua classificazione) possa essere gestito. Per i fisioterapisti, utilizzare la conoscenza che ci viene da Mckenzie e Laslett  è probabilmente benefico e utile ad un certo punto del percorso di una persona, nonostante possa non essere adatto per tutti e potrebbe anche non essere migliore di altri trattamenti simili (Lam et al., 2018). Questo non è un tentativo di non considerare il fatto che le persone vogliano sapere il perché del loro dolore e cosa non vada in loro. In maniera importante, una domanda che tutti i clinici dovrebbero considerare quando si interfacciano con casi complessi è “perché questa persona si presenta così in questo momento?”


Grazie!

Prima di tutto, se hai letto fino a questo punto mi congratulo con te! Ho semplicemente discusso parte della letteratura a proposito dell’affidabilità nell’identificare una specifica struttura tissutale come sorgente del dolore.

Spero che questo blog abbia stimolato pensieri, domande e anche confutazioni, dato che sono sempre disponibile ad imparare.

Grazie per aver letto,

TNP


 Glossario

*Kraken

Il Kraken è forse il più grande mostro mai immaginato dall’umanità. Nel folclore nordico, si diceva che popolasse i mari dalla Norvegia all’Islanda e fino alla Groenlandia.  http://theconversation.com/the-real-life-origins-of-the-legendary-kraken-52058

** Pato-anatomico

Il termine ‘pato-anatomico’ significa essenzialmente che una struttura (spesso un organo o tessuto) nel corpo è malata e all’interno del campo muscolo-scheletrico si presume che spieghi la sorgente o la causa del dolore o della disfunzione dell’individuo. Per questo, ciò vorrebbe dire anche che c’è un consenso generale su cosa sia considerata l’apparenza normale di tessuti o organi.

***Preferenza direzionale

Una preferenza direzionale è definita come il movimento ripetuto che produce la centralizzazione o l’abolizione o diminuzione dei sintomi, o un aumento nel range di movimento ristretto.

****Standard di riferimento

I ricercatori usano il miglior metodo disponibile per determinare la presenza o l’assenza delle condizioni target, e tale metodo si chiama ‘standard di riferimento’ piuttosto che ‘gold standard’.


Riferimenti

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Allegri, M., Montella, S., Salici, F., Valente, A., Marchesini, M., Compagnone, C., … Fanelli, G. (2016). Mechanisms of low back pain: a guide for diagnosis and therapy. F1000Researchhttps://doi.org/10.12688/f1000research.8105.2

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Bogduk, N. (2004). Management of chronic low back pain. The Medical Journal of Australia180.

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Booth, J., Moseley, G. L., Schiltenwolf, M., Cashin, A., Davies, M., & Hübscher, M. (2017). Exercise for chronic musculoskeletal pain: A biopsychosocial approach. Musculoskeletal Care, (April). https://doi.org/10.1002/msc.1191

Brinjikji, W., Luetmer, P. H., Comstock, B., Bresnahan, B. W., Chen, L. E., Deyo, R. A., … Jarvik, J. G. (2015). Systematic literature review of imaging features of spinal degeneration in asymptomatic populations. AJNR. American Journal Of Neuroradiology36(4). https://doi.org/10.3174/ajnr.A4173

Bunzli, S., Watkins, R., Smith, A., Schutze, R., & O’Sullivan, P. (2013). Lives on Hold A Qualitative Synthesis Exploring the Experience of Chronic Low-back Pain. Clinical Journal of Pain29, 907–916.

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